Può una banca chiudere un conto se non approva il tipo di attività rispetto ai suoi princìpi etici? Sì, secondo i giudici del Tribunale di Pescara che attraverso una pronuncia che ha del clamoroso, intervengono su un tema particolarmente "caldo" per gli operatori del gioco. Dopo le ripetute doglianze di tanti gestori che si sono visti interdire i propri conti correnti per ragioni "etiche". Ebbene, secondo il tribunale di Pescara chiamato ad esprimersi sul ricorso di un operatore di gioco, se l’istituto di credito considera che il modo in cui il suo cliente si guadagna la vita ed alimenta il conto che ha presso una sua filiale, può dire al correntista di rivolgersi altrove.
Non perché si tratti di attività illecite: non c’è bisogno di arrivare al traffico di armi o di stupefacenti, alle estorsioni o ai sequestri di persona. Basta, ad esempio, come nel caso dell’ordinanza in commento, che la società titolare del conto gestisca un centro scommesse. Se la banca non approva l’attività può chiudere il conto ed il recesso sarà legittimo.
Il Tribunale di Pescara si è rifatto all’articolo 41 della Costituzione, secondo il quale: "L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana". In virtù di tale principio, anche se un centro scommesse non reca necessariamente "danno alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana", secondo il giudice, in assenza di una specifica limitazione della legge si deve ritenere che ciascuna delle parti abbia la facoltà, per proprie convinzioni etiche, di decidere di avvalersi del diritto di recesso che viene riconosciuto nel regolamento del contratto.
Il tribunale ricorda che la banca deve osservare quanto stabilito nella Dichiarazione consolidata di carattere non finanziario a cui l’istituto di credito è tenuto ad aderire e che prevede in proposito quanto segue: a presidio dei potenziali impatti, il gruppo bancario ha escluso la possibilità di finanziare determinati comparti di attività ritenuti controversi come da Codice Etico e da Politica del Credito; con riferimento ai rischi legati al comparto Corporate, il rischio di finanziamento di attività con criticità ambientali e sociali è presidiato dalle normative interne che regolamentano le specifiche attività di finanziamento; nella policy dedicata al credito, sono state identificate quelle attività o settori economici che, pur compresi tra le attività legali, non possono essere oggetto di finanziamento (salvo eventuali deroghe da considerarsi comunque eccezionali e quanto previsto dalle policy di gruppo pro tempore in vigore) da parte del Consiglio di Amministrazione delle Società del perimetro diretto e delle banche affiliate. In particolare, si tratta dei settori legati alla costruzione, distribuzione e commercializzazione di armi (con esclusione delle armi destinate alle attività sportive o ludiche), apparecchiature e sistemi utilizzabili esclusivamente ai fini bellici, alla costruzione, distribuzione e commercializzazione di apparecchiature per scommesse, video-poker, slot-machines ecc., all’allestimento e gestione di sale giochi e scommesse e tutti i settori attinenti alla pornografia (sexy shop, editoria di settore, ecc.); eventuali operazioni in deroga verso i settori di cui sopra devono essere accompagnate da adeguate motivazioni, riguardo la loro indispensabile necessità (ad esempio l’importanza dell’iniziativa per il tessuto economico, moralità dei soci, attività prevalente dell’impresa rispetto a quella ritenuta non finanziabile ecc.).
Sulla base di questo, dunque, la banca può legittimamente vietare di istaurare dei rapporti con soggetti esercenti le citate attività motivando la loro indispensabile necessità. Il tribunale, infine, sottolinea anche - come già riconosciuto dalla giurisprudenza - la legittimità del diritto di recesso della banca dal rapporto di conto corrente sempre che tale diritto venga esercitato in modo non abusivo.