In occasione dello speciale di GiocoNews dedicato alle donne, pubblicato sulla rivista di marzo (consultabile integralmente online a questo link), Ewa Bakun offre il suo punto di vista su business, "questione femminile" e disuguaglianza di genere.
Si è parlato molto dell’importanza dell’alleanza (allyship), soprattutto negli ultimi due anni, con l’amplificarsi del movimento Black lives matter: ma come si può definire un buon alleato, chi ne ha bisogno e quali sono degli atteggiamenti desiderati da un alleato?
L’alleanza e il mentorship (o tutoraggio) vengono sottolineati come importanti fattori per combattere la disuguaglianza di varie aree, inclusa quella di genere.
Non è quindi una sorpresa se ne hanno parlato in abbondanza le finaliste dell’edizione 2021 dell’iniziativa di Clarion Gaming e Igb: “The Most influential women of iGaming”, che da tre anni invita delle candidature globali per scegliere le top dieci esperte del settore.
La giornalista Marese O’Hagan scrive in un articolo che segue la scelta proposta da questo evento, spiegando che il concetto di alleanza, cioè di dare un appoggio pubblico a una persona o a una causa, è un modo per dimostrare che un business investe in diversità abilitando il progresso delle persone dai gruppi meno rappresentati e non solamente per avere le carte in regola.
Sviluppando il tema, Marese svela diverse interpretazioni e dimensioni di alleanza, che influenzano la sua percezione e accettazione, provenienti dalle stesse donne: da quella di Charmain Mabuza, presidente della lotteria dell’Africa del Sud, Ithuba, in cui il concetto dell’alleanza deve essere implementato nella legge per spingere il progresso anche di fronte al rischio di assumere un carattere paternalistico, come espresso da Tina Thakor-Rankin di All’In Diversity.
Non solo. Anche la domanda sul genere di alleati è da considerare. Da una parte, abbiamo bisogno di modelli femminili con cui identificarci e a cui aspirare. Dall’altra, rimane critico il coinvolgimento degli uomini – visto che sono gli uomini a occupare gran parte delle posizioni di potere. Abbiamo quindi bisogno che diventino degli alleati e che diano il supporto e una spinta ai loro colleghi a crescere e progredire.
Michelle King nel libro “The fix: overcome the invisible barriers that are holding women back at work1” (“La correzione: come superare le barriere invisibili che trattengono le donne dal progredire nel lavoro” – traduzione propria) parla a lungo e con scetticismo dell’idea del mentorship come soluzione da applicare nel mondo di business per elevare le donne. Il classico concetto di tutoraggio, dice King, prevede che le donne debbano imparare ad agire nel mondo del business per ottenere successo e per progredire: che si aggiustino, o, peggio, che debbano essere aggiustate, che cambino e si adottino al mondo attuale, cioè che diventino come uomini. Assume quindi che non ci sia niente di male e inappropriato nella cultura di business di oggi e che ognuno debba accettarla com’è per farne parte, e con successo.
Michelle King scrive invece che le donne se la cavano bene nonostante gli ostacoli che affrontano. Quali ostacoli? Gli esempi sono numerosi e ben basati sulle ricerche e sulle statistiche, come non avere una voce che conta oppure essere interrotte durante le riunioni, non essere considerate nelle promozioni per motivi familiari oppure subire la negativa percezione degli atteggiamenti da parte di donne che non sono considerate femminili (lo stesso atteggiamento viene visto come risoluto quando effettuato da un uomo e come aggressivo se effettuato da una donna). Sono degli ostacoli forse mai notati dagli uomini, perché non vissuti da loro, ma comunque importantissimi da concepire per poter diventare un alleato vero. Per cui King propone l’idea di tutoraggio inverso in cui sono le persone dai gruppi meno rappresentati a educare i gruppi di maggioranza (di genere, di razza, di capacità fisiche ecc.) sulla loro condizione e sugli ostacoli che affrontano – il concetto di lived experience che è diventano ormai ben conosciuto nell’ambito del gioco responsabile.
Il privilegio non è visibile a chi lo possiede, sostiene il sociologo americano Michael Kimmel, ben noto per il suo studio di disuguaglianza e di genere. La conversazione, o piuttosto il desiderio di ascoltare, diventa critico per poter vedere gli altri punti di vista – è importantissimo capire che come vediamo il mondo noi non è necessariamente la percezione degli altri. Infatti, negli studi sulla percezione delle opportunità dagli uomini e dalle donne, come per esempio quello effettuato da Pew research center (“Spring 2019 global attitudes survey”), mentre la dominante maggioranza del 94 percento crede nell’importanza di assicurare uguaglianza di opportunità, la percezione dello status quo e l’ottimismo di poterlo cambiare divergono per genere: l'84 percento di uomini in Italia crede che i diritti sono già uguali o lo diventeranno nell’immediato futuro, rispetto al 71 percento di donne. Osserviamo la simile divergenza in 20 altri Paesi sottomessi allo stesso studio, il che indica dei punti ciechi nella comprensione dell'esperienza femminile nel lavoro da parte degli uomini che infatti non notano molti degli ostacoli di cui ho già parlato in questo articolo. È importante che questi punti ciechi diminuiscano e che la comprensione migliori perché gli uomini possano attivamente affrontare gli ostacoli che le donne incontrano e agire come mentori ed alleati. E il tutoraggio inverso serve proprio a questo obiettivo. Quindi, sì all’alleanza, ma a quella consapevole, adeguata e ben informata.