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Retail, i dati dicono che quello di crisi è un concetto da reinterpretare

31 marzo 2023 - 10:55

Secondo l'esperto Bragantini (Cncc) "ci sono tre tipi di aziende: quelle che determinano il cambiamento, quelle che lo gestiscono al meglio, quelle che si chiedono cosa sia successo".

Foto di Anna Dziubinska (Unsplash)

Foto di Anna Dziubinska (Unsplash)

Uno dei temi attuali oggetto di conversazione, è scaturito da un intervento di Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, durante il quale ha utilizzato il termine permacrisis: neologismo che vuole indicare un periodo esteso di instabilità e insicurezza, che è stato definito “parola del 2022”.

Nel nostro settore conviviamo con instabilità e insicurezza da sempre: aspetti che per altro non solo legati a momenti di incertezza di mercato, ma spesso - forse troppo spesso - a tempeste normative e cambi delle regole del gioco mentre si sta giocando. Anche perché il mercato, a voler essere sinceri, si sta comportando bene, con numeri che, a detta degli stessi operatori, ricordano il periodo pre-pandemia (chissà se esiste già un acronimo tipo a.C. o d.C.). Sicuramente sono cambiate abitudini e frequenze di consumo, sia per il retail tradizionale che per quello legato al tempo libero. Il concetto di “crisi” va quindi interpretato non come una situazione in cui emergenze continue si susseguono senza tregua e su più fronti, ma ritornando al significato etimologico originale della parola, un termine agricolo che indica un’attività di separazione del grano dalla pula. Quindi “crisi” diventa separazione, scelta, una nuova modalità, una svolta.

Partiamo da qui per ribadire, repetita iuvant, che è quindi decisamente più corretto parlare di nuovi parametri di normalità, piuttosto che di periodi negativi perduranti, prima di tutto perché, come abbiamo già detto, non è poi tutto così nero, poi per non permettere uno scarico di responsabilità verso entità terze, giustificando oltretutto la mancanza di reazioni energiche. Primo passo, conoscere veramente il target di riferimento. E spendiamoli due soldi per fare delle ricerche di mercato serie che ci permettano di conoscere davvero i nostri clienti, quello che vogliono, che cercano, come lo vogliono, quanto spesso e quanto quello che vogliono deve costare. L’Italia evidenzia un mercato retail maturo, alla ricerca di nuove formule per diventare attrattivo, scenario che comprende anche il nostro settore.

Conoscere vuol dire acquisire nuovi standard di competitività, convincersi che oggi non basta solo sapere cosa proporre, livello al quale dobbiamo onestamente ammettere di esserci spesso fermati. Oggi le polarità commerciali parlano sommariamente di leisure, con il rischio di una tendenza alla semplificazione, alla riduzione a imprecisate forme di sedicenti modelli di svago o di aggregazione sociale. Ma ci sono casi virtuosi, Centri commerciali che attraverso opportune survey, tracciano attendibili modelli di consumatori e centrano l’offerta leisure con efficacia, con risultati che fanno riflettere anche chi, come chi scrive, fa questo lavoro da anni ed a volte pensa, ahimè, di sapere già tutto. Il nostro valore si esprime quindi nella lettura dei dati certi, nell’interpretazione corretta di nuovi modelli e nella conseguente capacità di elaborare efficaci leve strategiche di marketing, di gestione, di mix di offerta.

Un’analisi profonda e professionale, tornando a bomba, permette di individuare strade e formule nuove che ci permettano di essere performanti nel momento della svolta. Ma non basta. Quanto abbiamo visto finora è un procedimento complesso, che ha necessità di informazioni, di capacità di analisi e di una metodica ed attenta applicazione. Ha bisogno di una squadra preparata, in grado di rendere concreti i pensieri e trasformali in azione con coerenza. Le informazioni diventano quindi un valore condiviso, gli obiettivi strategici dell’azienda un patrimonio comune del gruppo di lavoro, assicurando l’impresa che l’equipaggio remi compatto, tutti nella stessa direzione. E come in tutti i team che si rispettino, l’affiatamento tecnico e la sincronizzazione fanno la differenza e determinano il successo, che si raggiunge con l’allenamento. Nel nostro caso, vorrei sostituire la parola “allenamento” con “condivisione e formazione”. Sulla condivisione non mi soffermerei, mi sembra palese come sia indispensabile condividere con il team, gli obiettivi che si intendono raggiungere. Sulla formazione mi citerei: e spendiamoli due soldi per formarci e formare i nostri collaboratori.

Gli scenari cambiano, come abbiamo visto, gli strumenti di lavoro si evolvono, le tecnologie  si perfezionano: tutti elementi che necessitano di piani di formazione continua, qualificata e mirata, con programmi gestiti da professionisti che conoscano il settore e aiutino l’impresa a implementare i risultati. Il 2023 offrirà interessanti possibilità, ma solo a chi sarà preparato a coglierle.

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