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Diversità di genere, anche nel gioco conta più la cultura

08 marzo 2025 - 07:47

L'economista Giulia Zacchia dell’Università La Sapienza di Roma spiega come la disuguaglianza tra i sessi sia un concetto che può cambiare nel tempo e attraverso le civiltà.

Scritto da Daniele Duso
foto tratta dalla pagina X di Fondation Jean-Jaurès @j_jaures

foto tratta dalla pagina X di Fondation Jean-Jaurès @j_jaures

Il tema delle disuguaglianze di genere in Italia è purtroppo ancora attuale, oltre che essere trasversale ai vari settori economici e produttivi del Paese. Per avere uno sguardo approfondito sulla situazione attuale abbiamo interpellato, sul numero di marzo della rivista Gioco NewsGiulia Zacchia, economista, ricercatrice presso il dipartimento di Scienze statistiche della Sapienza Università di Roma, dove insegna Economia Politica e Gender and Society. 
La chiacchierata con lei non può che partire dalle certezze che ci danno i numeri.

Dottoressa Zacchia, parlando di disuguaglianze di genere qual è la situazione attuale in Italia, a livello politico, universitario e/o aziendale?

“I dati ci possono aiutare a comprendere la realtà e a confrontare diversi fenomeni nel tempo e nello spazio. Per questo, per definire le disuguaglianze di genere in Italia, fenomeno complesso da quantificare, parto dall’indice dell’uguaglianza di genere creato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) che costituisce uno strumento di misurazione unico, che sintetizza la complessità del fenomeno e ne permette un confronto con gli altri paesi europei. Quello che emerge dai dati relativi al 2024, è che in Italia le disuguaglianze di genere sono particolarmente pronunciate nel settore del lavoro. Da ben 14 anni (dal 2010), l'Italia si è costantemente conquistata la maglia nera, classificandosi ultima tra tutti gli Stati membri quando si vanno a considerare le differenze di genere nei tassi di partecipazione al mercato del lavoro retribuito, e nella qualità del lavoro. I dati Istat (Rilevazione sulle forze di lavoro 2023) ci dicono che in Italia ben il 42 percento delle donne in età lavorativa sono inattive, contro il 24 percento degli uomini. Ci sono, tuttavia, grosse differenze se andiamo a considerare il titolo di studio, in quanto per chi possiede almeno la laurea la percentuale di inattivi scende a 11,5 percento per gli uomini e a 17,6 percento per le donne. Questo ci mostra l’importanza dei dati intersezionali, che vanno oltre la concezione binaria uomo/donna, facendo emergere differenze significative tra le donne e tra gli uomini a seconda dell'età, dell'istruzione, della classe sociale, dello status di migrante, delle disabilità, dell'orientamento sessuale e di altre caratteristiche individuali.

Ci sono altri dati allarmanti che riguardano i giovani ovvero il tasso dei Neet ovvero quei giovani che non sono occupati o in percorsi di studio o formazione. In Italia il 18 percento dei giovani sotto i 35 anni sono Neet e le differenze di genere sono evidenti: le giovani sono più a rischio di essere al di fuori del mercato del lavoro retribuito e dai percorsi di istruzione/formazioni in particolare se sono madri: ben il 50,6 percento delle ragazze con almeno un figlio sono escluse dal mercato del lavoro retribuito e da percorsi di formazione contro il 37 percento dei ragazzi con almeno un figlio. Questi dati mostrano l’urgenza di politiche che siano specificamente concepite per ridurre i differenziali di genere, come per esempio una maggior trasparenza sulle condizioni di lavoro, l’istituzione del salario minimo e il riconoscimento, riduzione e redistribuzione del lavoro di cura non retribuito attraverso l’investimento in infrastrutture sociali accessibili e di buona qualità (sia per la cura dei bambini che degli anziani).”

Il concetto di “data feminism’”sottolinea l’importanza di utilizzare i dati per ridistribuire equamente potere e risorse. In che modo il femminismo dei dati può concretamente favorire una maggiore inclusione finanziaria delle donne e abbattere le barriere all’accesso al credito?

“Produrre statistiche in prospettiva femminista vuol dire non solo aumentare la consapevolezza delle disuguaglianze attraverso la lettura dei dati, ma ispirare la formulazione di politiche per il cambiamento e per l’eliminazione degli stereotipi di genere. Il genere è modellato dalla storia delle relazioni sociali e può quindi cambiare nel tempo e attraverso le culture. Tenendo questo a mente, i dati si devono basare su concetti e definizioni che riflettano adeguatamente la diversità degli individui in tutti gli aspetti della loro vita e devono garantire che i metodi di raccolta dei dati evitino stereotipi di genere e fattori sociali e culturali che possono indurre a bias (alterazioni). Alcune distorsioni derivano anche da come vengono formulate le domande, vi faccio un esempio che ho appena individuato nei dati raccolti dalla Banca d’Italia sull’alfabetizzazione finanziaria degli adulti. Se viene chiesto chi usa il denaro, le differenze di genere sono inferiori rispetto a quelle che si registrano quando viene chiesto chi è il responsabile della gestione quotidiana del denaro familiare. I dati ci dicono che il 12,8 percento delle donne affida la responsabilità del denaro a terzi, contro il 6,2 percento degli uomini. E questo dato fornisce una rappresentazione più veritiera della inclusione finanziaria e dei divari di genere nella dipendenza finanziaria, che può suggerire politiche e campagne di sensibilizzazione mirate come quelle messe in atto dalla Global Thinking Foundation, dall’Abi-Associazione Bancaria Italiana, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per le pari opportunità e Fondazione per l’Educazione Finanziaria e al Risparmio e dal Museo del risparmio di Torino.”

L'istruzione, sia tradizionale che finanziaria, sembra avere un effetto preventivo significativo sulla violenza economica, dunque l’alfabetizzazione finanziaria può aiutare le donne e ridurre il rischio di dipendenza economica?

“Sempre nel nostro studio abbiamo cercato di identificare i fattori che espongono le donne a un maggior rischio e quelli invece che le proteggono. Dati alla mano il maggior carico di cura familiare è un importante fattore di rischio per le donne che incrementa del 20 percento la probabilità di essere a rischio di violenza economica. Anche avere figli minorenni conviventi aumenta del 3 percento il rischio. Passando alle note positive, abbiamo riscontrato che l’effetto preventivo dell’istruzione è sistematicamente maggiore per le donne. Avere una laurea riduce il rischio di violenza economica del 31,8 percento, ed inoltre comprendere i concetti finanziari di base ed avere una conoscenza finanziaria minima è un fattore significativo di protezione dal rischio di violenza economica. Di conseguenza investire in istruzione e alfabetizzazione finanziaria è una strategia vincente nel contrastare la violenza economica.”

Spostandoci al tema del gioco pubblico, in base alla sua esperienza ritiene vi sia, o vi possa essere, una differenza tra il gioco maschile e il gioco femminile? 

“Non mi sono mai occupata del tema del gioco, di conseguenza, non posso riportare che una percezione che mi induce ad essere cauta quando si riportano le differenze di genere come fattori naturali e non connessi al contesto sociale e culturale. Per esempio, molti studi in materia di economia e finanza concludono che le donne siano, per natura, più avverse al rischio rispetto agli uomini. Tuttavia, come ben dimostrato da Julie Nelson, questa conclusione merita di essere riconsiderata, assicurandosi che le deduzioni tratte dagli studi statistici riflettano solo i risultati statistici e non l'influenza di fattori soggettivi come le norme culturali e sociali soggettive sul sesso e sul rischio.”

A questo proposto pensa sia possibile individuare delle differenze per quando riguarda il gioco patologico?

“Non escludo che ci siano delle differenze di genere nel gioco, ma ritengo che sia necessario analizzare il contesto sociale andando a definire, per esempio, come la vulnerabilità sociale ed economica abbiamo un ruolo nel gioco patologico e come queste condizioni di marginalità siano più diffuse tra le donne, in modo dal poter suggerire politiche di prevenzione e cura più efficaci e dirette.”

Una maggior presenza di donne tra i decisori politici o ai vertici delle aziende può portare, e in che modo, a suo parere, a trattare con un approccio differente i problemi del gioco d’azzardo patologico?

“Come già detto non credo nelle differenze ‘naturali’ tra uomini e donne e nel fatto che appartenere a uno dei due sessi comporti automaticamente una maggiore o minore sensibilità rispetto a diversi temi.  L’importante è essere competenti e capaci di interpretare e gestire la realtà nella sua complessità e diversità.”

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