Filosofa, psicologa e psicoterapeuta, Mara Giglio è docente presso il corso di laurea di Psicologia dello Iusve, l’istituto Universitario salesiano di Venezia, nell’area della Metodologia del lavoro scientifico, della Psicologia delle organizzazioni e dell’Etica della cura.
Nell'ultimo numero della rivista GiocoNews abbiamo realizzato un corposo speciale per “celebrare” la bella stagione, con un focus sulle tendenze del turismo post pandemia e dell'intrattenimento, da cui sempre di più emerge la voglia di condivisione, socialità e di “normalità”. Come ci dicono alcuni illustri studiosi e anche gli operatori del settore. Ieri, 25 luglio, abbiamo proposto l'intervento di Paolo Corvo, professore associato presso l'università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e docente di Progettare l'esperienza turistica presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore.
Oggi continuiamo dunque con la dottoressa Giglio, che oltre ad avere un'attività clinica si occupa anche di formazione e consulenza aziendale in ambito sanitario e del terzo settore, pubblico e privato.
Soprattutto la sua attività in ambito clinico la pone a contatto con moltissime persone che assieme a lei scandagliano la condizione del loro animo, e attorno a questo abbiamo registrato una breve chiacchierata chiedendole alcune indicazioni sul come affronteremo i prossimi mesi. Senza voler entrare nella sfera personale di alcuno, che impatti hanno lasciato, o lasceranno, la pandemia e le restrizioni che questa ha comportato a livello sociale e personale?
“Certo, la pandemia ha avuto effetti importanti sul piano emotivo e psicologico delle persone, ha rappresentato un vero e proprio trauma per la maggior parte di noi. Molta rabbia, frustrazione, paura, senso di minaccia, di instabilità e impotenza hanno scoperchiato tante emozioni e interrogativi. Un tema importante nella mia esperienza, è stato quello della solitudine, quella inquietante sensazione di essere profondamente soli, senza supporto e calore umano. Tuttavia va anche detto che non tutti stanno reagendo alla paura allo stesso modo, dipende anche dai significati che le persone danno ai vari avvenimenti, dalla disponibilità personale all’ascolto di sé e alla rielaborazione di quello che accade, dalla presenza o meno di legami interpersonali. Occorre per il futuro prendersi cura di se stessi in modo più intenzionale, ad esempio prevedendo più attività piacevoli nel proprio quotidiano, momenti per recuperare energie, per ascoltare e affrontare le proprie emozioni e perché no, per chiedere un aiuto professionale”.
Il suo ultimo libro si intitola “Sulla Cura. La relazione tra medico e paziente alla prova della comune umanità”. Un titolo molto attuale in un periodo in cui la fiducia nella scienza, e nella medicina in particolare, in molti sembra vacillare. Lei cosa ne pensa?
“Probabile che qualche errore lo abbia fatto anche la scienza, da qui il successo delle terapie alternative alla medicina scientifica occidentale, come l’omeopatia, la fitoterapia ecc. le quali, a differenza della medicina scientifica, sono invece molto attente alle dimensioni relazionali e comunicative. Ma la questione è certo molto complessa e ricca di implicazioni. Certo, la medicina moderna risulta sempre più competente sul piano tecnico-scientifico, ma forse è meno preparata nella relazione di cura, non considerando che ‘relazione’, però, è già ‘cura’. Di fatto non sembra esserci più posto per quelle dimensioni etiche e relazionali che saprebbero approcciare la sofferenza del paziente non solo come condizione meramente biologica ma anche emotiva, psicologica e spirituale. Se questo accadesse, in un modo più sistematico e intenzionale di quanto non avvenga attualmente, si vedrebbe l’utilità concreta di quei meccanismi di rispecchiamento che trovano riscontro anche nelle neuroscienze, non solo nella psicologia o nella filosofia. E ancora: cultura. Si parla di scienza, ma il cittadino si sente manipolato da informazioni contrastanti, compito della scienza riavvicinarsi in modo più intenzionale, semplice e trasparente”.
Tornando a scandagliare l’ambito del tempo libero e della voglia, o esigenza, di “staccare”, in base alla sua esperienza, nello scenario attuale (segnato, giusto ricordarlo, anche da una preoccupate guerra alle porte dell’Europa) pensa che prevarrà la paura o sarà più forte la voglia della gente di divertirsi?
“Dal mio osservatorio personale, è difficile generalizzare; penso che i comportamenti saranno diversi a seconda di tante variabili, in primis dalla struttura di personalità. Da quanto osservo, posso cogliere un generale ma prudente bisogno di riappropriarsi delle proprie abitudini, un indiscusso bisogno di socialità e convivialità oltre che di ritorno ai personali riti anti-stress (chi attraverso lo sport, chi attraverso le cene sociali, chi attraverso lo shopping…). Si sta ritornando al divertimento ma con più ‘pensiero’. La guerra in corso poi, non potrà non influire: spensieratezza ma anche ulteriore senso di minaccia e paura, com'è comprensibile”.
Ritiene che sia cambiato il modo in cui le persone cercano momenti di evasione nel quotidiano?
“Registro un netto bisogno di relazioni; sia il timido che l’espansivo, esprimono a gran voce il loro bisogno di uscire, vedere gente, fare delle esperienze come da contrappasso al periodo di restrizioni. Non più attività virtuali, chat e community, ma presenza fisica che condivide, accompagna e attenua un po’ di quella paura e insicurezza che è rimasta dopo la pandemia. Va assecondato questo bisogno che è naturale e sano; esserci con l’altro, mentre ci si diverte a coltivare degli hobby e a fare esperienze insieme. Tuttavia un po’ di solitudine consente di lavorare su di sé, permette di riconoscersi e di gestire le proprie emozioni. Impariamo a godere della nostra compagnia, aumenteremo il nostro benessere”.