La Francia potrebbe far scuola. Dopo la decisione del presidente della Repubblica transalpina, Emmanuel Macron, di introdurre un green pass - legato all'effettuazione di un tampone o al completamento del ciclo vaccinale - per frequentare bar, ristoranti, treni o aerei, anche l'Italia si interroga sull'opportunità di introdurre delle limitazioni di accesso ai luoghi di socialità, fra i quali, ça va sans dire, si annoverano anche le attività di gioco.
La strada, a dire il vero, è stata già percorsa, per un breve periodo, dalla Provincia autonoma di Bolzano, che alla fine di maggio aveva varato il suo Corona pass, necessario, con lo stesso meccanismo francese, per accedere anche nelle sale gioco, che nel territorio altoatesino avrebbero aperto dal 1° luglio, a differenza del resto del Paese.
Come noto, il Corona pass di Bolzano poi era stato
bocciato dal Garante della privacy che ha ritenuto “non ammissibili” certificazioni, che attestino l’avvenuta vaccinazione o guarigione da Covid-19, o l’esito negativo di un test antigenico/molecolare, diverse da quelle indicate nello schema di decreto del presidente del Consiglio dei ministri, “perché non garantirebbero in ogni caso il rispetto del principio di esattezza dei dati trattati e di integrità e riservatezza”.
Ora, complice la decisione di Macron di tentare il tutto per tutto per contrastare la diffusione della variante Delta del Covid e “costringere” i francesi a vaccinarsi agitando lo spettro di non permettergli più di andare liberamente al ristorante o ad un concerto, il Governo italiano si dice pronto a valutare la stessa strada.
Magari per gli over 60, come suggerisce Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e primario di Infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma, mentre c'è chi spinge per “l’obbligo di vaccinazione universale”, come Roberto Burioni, professore di Virologia all’Università San Raffaele di Milano, e come Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Microbiologia dell'Università di Padova, che propone di “togliere la copertura sanitaria a chi si prende il Covid dopo aver rifiutato di vaccinarsi”.
Per tutti i virologi sembra quindi essere “inevitabile” che si arrivi ad introdurre un obbligo analogo a quello francese anche in Italia.
Ma c'è chi non ci sta. Come alcuni politici, a cominciare da Giorgia Meloni di Fratelli d'Italia, per la quale è “un'idea raggelante e anti-costituzionale”, e per il leghista Matteo Salvini, sulla stessa lunghezza d'onda.
Mentre i parlamentari del Partito democratico al momento si dicono favorevoli.
Non altrettanto gli esponenti di alcune delle maggiori associazioni di rappresentanza dei locali pubblici.
“Abbiamo ripreso a lavorare da un mese, lasciateci prendere respiro.
Siamo in piena estate e si vive all’aperto, anche le norme che hanno consentito di allargare gli spazi all’aperto fanno sì che la maggior parte dei locali viva all’esterno e quindi con un rischio di contagio basso o bassissimo, anche i dati delle ospedalizzazioni non sono lontanamente paragonabili a quelli di aprile e ci confortano”, sottolinea Giancarlo Banchieri, presidente di Fiepet Confesercenti. “Secondo noi è prematuro in questa fase stravolgere una situazione che tutto sommato è abbastanza sotto controllo, con comportamenti responsabili, rispettando le regole, si può andare avanti in questo modo.
L’accesso con il green pass che potrebbe evitare nuove chiusure del settore ristorazione sarebbe anche di non facile attuazione. Che cosa comporterebbe? – si chiede il presidente di Fiepet Confesercenti – che un ristoratore o un barista si dovrebbe mettere ad accertare un dato personale o si dovrebbe fidare di quello che dice un cliente? La vedo difficile.
Noi riteniamo che in questa fase non sia necessario il green pass per i locali, se invece i dati dovessero peggiorare e magari si dovesse ricorrere a zone arancioni o rosse, allora sì che andrebbe preso in considerazione”. “Noi comunque speriamo che non sarà mai necessario”, conclude Banchieri.
Per Roberto Calugi, direttore generale di Fipe-Confcommercio, “La campagna vaccinale va sostenuta, incoraggiata e, possibilmente, velocizzata. Questa è la nostra migliore arma per un ritorno alla stabilità delle nostre vite.
Quello che tuttavia non è accettabile è che, per raggiungere l'immunità di gregge, si finisca per penalizzare sempre le solite categorie. I pubblici esercizi hanno pagato più di ogni altro settore nei 16 mesi della pandemia, sia in termini di perdita di fatturati che in termini di posti di lavoro. Andare ancora una volta a pesare sulle nostre attività significa compromettere la ripartenza".