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Il sociologo Fatelli: 'Gioco deve essere divertimento, non vergogna'

26 novembre 2022 - 09:56

Il sociologo Giovambattista Fatelli mette in guardia da ricette facili per la crescita del settore industriale e sul gioco auspica che si tenga alta l'attenzione sulla distinzione tra legalità e illegalità.

Scritto da Anna Maria Rengo
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Resilienti, competitive, innovative. E soprattutto: eccellenti. Sono termini che da anni descrivono il modo di essere o l'aspirazione delle imprese, anche di gioco, ma che nel corso del tempo hanno assunto nuove accezioni. Necessariamente, viste le tante variabili che hanno cambiato profondamente il tessuto produttivo e sociale italiano. Su tutto questo facciamo il punto con il sociologo Giovambattista Fatelli, docente di Comunicazione, tecnologie e culture digitali presso la facoltà di Sociologia della Sapienza di Roma e autore, tra le tante pubblicazione, del saggio "Sociologia dell'industria culturale".

Partendo con una panoramica di carattere generale: ora che l'emergenza pandemia sembra finita, come essa ha cambiato in maniera strutturale la società, con particolare riferimento al suo approccio alla cultura e all'intrattenimento?

“Incidere in maniera profonda sulla struttura di una società non è una cosa facile, ma certamente la recente pandemia da Covid ha avuto una portata complessiva e un impatto, anche emotivo, così potente da non consentire scappatoie: ha avuto, sta avendo e avrà ancora nel futuro diversi effetti sul nostro modo di vivere e sulla nostra visione del mondo, non tutti chiaramente individuabili, soprattutto per quelli che agiscono in slow motion e negli strati più intimi della coscienza. Per quanto concerne la cultura e l’intrattenimento, quasi sicuramente avranno una vasta ripercussione nel settore gli effetti 'disaggreganti' della diradazione dei contatti, che peraltro è in perfetta sintonia con un trend di lunga durata in conseguenza della rivoluzione digitale. Non è possibile tracciare un quadro esaustivo delle conseguenze, ma certamente alcuni fenomeni cosiddetti di massa ancora presenti nel turismo, ad esempio, o più genericamente nel consumo dei prodotti culturali potrebbero aver ricevuto una specie di colpo di grazia. È vero anche che l’aumento della 'solitudine' potrebbe favorire un ritorno dell’introspezione e della ricerca di una maggior qualità, ma le condizioni pietose dei nostri sistemi di acculturazione (leggi istituzioni scolastiche) non consentono di nutrire soverchie speranze”.

D'altro canto, quali modifiche ci dobbiamo attendere (si spera non in maniera strutturale) nella società e sempre nel suo approccio alla cultura e all'intrattenimento, a causa del caro energia e del generalizzato caro prezzi?

“Non sembra certo che queste condizioni offrano grandi speranze di crescita o di recupero nel settore del consumo culturale. A voler essere ottimisti, si potrebbe confidare nel ritorno del dialogo fra le persone o in un rifiorire della fantasia, ma mi sembrano più buoni propositi destinati a essere travolti dal ritorno della televisione, l’intrattenimento più stupido (anche se non sempre) e più a buon mercato per superare la 'nuttata'”.

Che cosa significa, oggi, per un'industria, essere eccellente e competitiva?

“Non saprei, perché non sono un esperto. Ma la qualità che viene da associare ora più facilmente all’industria è l’astuzia, una facoltà che ha che vedere con l’inventiva ma anche con la predisposizione all’imbroglio, con la diversificazione ma anche con l’inconsistenza. Non lo so, ma mi sembra che il patrimonio ideale del vetero-capitalismo, quello fatto di etica del lavoro, di previsione e calcolo razionale, di ordine e di stabilità, e anche un po’ di filantropia, sia definitivamente tramontato. E mi pare che gli strumenti critici elaborati a suo tempo per demistificare quel quadro di riferimento aspetti ancora di essere aggiornato per poter acchiappare anche le magagne dello smart capitalism che ora ci assedia molto amichevolmente rubandoci identità e foto e portandoci a casa la pizza”.

Di che cosa ha bisogno un'industria per poter crescere?

“Anche qui l’incompetenza m’impedisce di rispondere a tono. Anche perché i concetti di industria e anche quello di crescita (declinato perlopiù in senso economico) appaiono sempre più, pesanti, ai limiti della sostenibilità, tanto da far sorgere obiettivi che predicano il contrario: la decrescita felice oppure l’outsourcing o la dispersione dell’industria nelle pieghe amichevoli e rilassanti della quotidianità, sia per quanto concerne la produzione, con l’homework, sia per quanto concerne il consumo, con le vendite online. Ma, volendo cogliere forse lo spirito vero della domanda, le proteine di cui abbiamo bisogno per crescere, e cui si gioverebbe anche l’industria sotto qualunque forma voglia assumere, sono la serenità, la speranza e la voglia di sentirsi utili”.

Temi come la sostenibilità e la responsabilità sociale quale spazio trovano nell'attuale contesto industriale e nel modo in cui esso comunica all'esterno?

“Non mi voglio illudere e non voglio illudere nessuno. Mi paiono più che altro degli specchietti per le allodole. Gli stessi soggetti che portano sulle spalle le responsabilità della gestione delle risorse energetiche si autocandidano a risolvere i problemi che essi stessi hanno creato. Esattamente come avviene in politica. Nel grande caleidoscopio della pubblicità vediamo produttori di automobili che ripuliscono l’atmosfera e aziende petrolifere che improvvisamente si vestono di 'verde', magari rimproverandoci per i nostri comportamenti poco attenti all’ambiente. Forse sono solo malfidato. O forse siamo tutti troppo ignoranti per rimettere a posto le cose che abbiamo gettato per aria come bambini scalmanati. Tuttavia non vedo ancora nelle soluzioni attualmente circolanti quella purezza e quella sincerità tali da ispirare fiducia”.

Negli anni il settore legale del gioco con vincita in denaro è stato oggetto di una forte stigmatizzazione e di numerosi interventi politici, volti a limitarlo e tassarlo. Da osservatore esterno, le sembra che questa crociata contro il gioco si sia esaurita e che oggi si faccia la dovuta distinzione tra quello legale e quello illegale?

“Forse la crociata si è esaurita. Ma non sono sicuro che si tratti di una buona notizia. La distinzione fra legalità e illegalità in questo Paese è un problema antico e confesso che, sebbene non si parli più tanto della gestione clandestina e criminale di certe faccende, ciò accade solo perché il problema ci interessa meno e non perché sia stato risolto in modo soddisfacente. E quand’anche fosse solo legale, la stessa idea di gioco mi sembra irrimediabilmente uscita da quella dimensione ingenua e fanciullesca che la rendeva tollerabile e simpatica per entrare in un ambiente semantico livido, cui non sono estranei i concetti di disperazione e di malattia. Forse è per questo che gran parte delle scommesse legali si nascondono ora dietro il paravento dell’informazione sportiva, con un inganno fin troppo scoperto per essere efficace ma che pone comunque un problema di coscienza. E, quando si gioca, dovrebbe regnare il divertimento, se non addirittura l’intelligenza, e giammai la vergogna”.

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