Il divieto di pubblicità per le attività di gioco con vincita in denaro e per il gioco d’azzardo, introdotto dall’art. 9 del decreto Dignità, è entrato in vigore a luglio del 2018. A distanza di cinque anni, è possibile stendere un breve bilancio per vagliare l’efficacia della norma, anche in considerazione degli obiettivi annunciati.
Nell’introdurre il divieto, l’art. 9 del decreto si riferisce esplicitamente al “rafforzamento della tutela del consumatore” nonché a “un più efficace contrasto del disturbo da gioco d’azzardo”. Nelle sue modalità applicative, la norma impone sui soli tagliandi dei gratta e vinci, l’inserimento della dicitura “Questo gioco nuoce alla salute”. In altri termini, il disturbo da gioco d’azzardo appare strettamente correlato alla pubblicità di gioco e, per contrastarlo più efficacemente, tutelando il consumatore, si è deciso di vietarla.
Ma quali sono state le evidenze scientifiche a supporto? Lo studio dell’Istituto Superiore della Sanità, pubblicato proprio nell’ottobre del 2018, ha rappresentato come l’80,7 percento dei giocatori ha dichiarato di non averlo fatto in base alla pubblicità. Ad oggi, non risultano ulteriori analisi comprovanti la bontà della scelta di divieto anziché una revisione della regolamentazione.
La giurisprudenza amministrativa così come i diversi rinvii pregiudiziali dinnanzi alla Corte di giustizia dell’Ue hanno riconosciuto come restrizioni alla libera prestazione di servizi siano ammissibili per favorire una maggiore tutela del consumatore ed il contrasto al disturbo da gioco d’azzardo, purché queste restrizioni siano necessarie, proporzionate (i.e. non eccedano quanto necessario per raggiungere l’obiettivo), idonee allo scopo e perseguite in modo coerente e sistematico.
Occorre quindi effettuare una valutazione dinamica del quadro normativo in cui il divieto di pubblicità si inserisce, tenendo conto anche delle evoluzioni delle circostanze anche successivamente all’adozione della norma restrittiva.
Questa considerazione vale tanto più che il divieto introdotto dall’art. 9 del Dignità annunciava una riforma complessiva del settore: “Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, (…) una riforma complessiva in materia di giochi pubblici in modo da assicurare l’eliminazione dei rischi connessi al disturbo da gioco d’azzardo e contrastare il gioco illegale e le frodi a danno dell’erario...”.
Sono passati cinque anni in cui però non si è legiferato, forse perché vietare sic et simpliciter è più facile che regolamentare efficacemente, con buona pace degli obiettivi prefissati dalla norma.
Un anno fa, il legislatore ha nuovamente demandato al Governo, attraverso lo strumento dell’attuale Delega fiscale, di avviare un progetto di riorganizzazione del comparto dei giochi ma senza alcun richiamo al progetto di riforma annunciato dal decreto Dignità.
In un’ottica di valutazione dinamica della norma, occorre interrogarsi se, a distanza di cinque anni dall’introduzione del divieto, gli obiettivi di tutela del consumatore e di contrasto più efficace al disturbo d’azzardo patologico siano stati raggiunti.
Va premesso che, riguardo alla domanda di gioco, i dati ufficiali dell’Agenzia non evidenziano alcuna contrazione. Anzi, unitamente alla crescita del comparto del gioco legale, si è assistito, secondo le ricognizioni dell’Adm, al rifiorire del gioco illegale, certamente favorito da una maggiore visibilità rispetto a quello legale.
Infatti, analizzando le sanzioni erogate dall’Agcom per violazioni al divieto di pubblicità, appaiono evidenti i limiti dell’Autorità nei tentativi di condanna della pubblicità di gioco illegale, in cui non solo l’operatore/committente non viene sanzionato ma l’hosting provider che ne ha consentito la promozione, risulta privo di responsabilità. Del resto, già con la sua segnalazione al Governo nel 2019, l’Agcom aveva lamentato una scarsa possibilità di contrasto nei confronti della pubblicità del gioco d’azzardo.
È fuor di dubbio che la pubblicità del gioco vada regolamentata ma non proibita. L’evoluzione dell’offerta stessa del gioco ci insegna che il proibizionismo non è mai la soluzione. Il percorso di legalizzazione del gioco online, sia a livello nazionale che internazionale, lo dimostra bene: in Italia, ci sono voluti complessivamente una decina di anni per una prima compiuta disciplina del gioco online, l’apertura di due procedure di infrazione europee contro l’Italia oltre alla decisione di molteplici quesiti pregiudiziali alla Corte di giustizia Ue. In altri Stati membri, il percorso è stato più breve o addirittura più lungo come in Finlandia, dove il monopolio dell’offerta di gioco, sia su rete fisica che a distanza, è stato recentemente messo in discussione.
Ad oggi, nell’ambito della Delega fiscale, si intravede un possibile superamento del divieto introdotto dal Dignità con la delega al Governo per l’introduzione, tra le altre, di nuove misure tecniche e normative per la tutela dei soggetti più vulnerabili nonché la prevenzione del gioco d’azzardo patologico e del gioco minorile tra cui “l’impiego di forme di comunicazione del gioco legale”.
Anche in questo caso, non è però escluso, nel frattempo, il ricorso alla Corte di giustizia europea per una valutazione della compatibilità della normativa di divieto di pubblicità del gioco, ai princìpi dei Trattati europei.