Cassazione annulla condanna per gratta e vinci contraffatto
Corte di Cassazione annulla la condanna di una giocatrice che aveva tentato di incassare un gratta e vinci contraffatto.
La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza con cui la Corte di Appello di Lecce aveva condannato a sei mesi di reclusione (con pena sospesa) una giocatrice che aveva tentato di incassare un biglietto di una lotteria istantanea al quale erano stati sostituiti alcuni numeri così da renderlo un titolo vincente, presentandolo al Consorzio Lotterie Nazionali, tramite la propria banca, al fine di percepire la somma di oltre 11mila euro. Scopo non raggiunto perché era stato accertato che il biglietto non era corrispondente alla sua elaborazione originaria.
Per il Collegio, la decisione della Corte di Appello di riformare la sentenza del tribunale di Lecce che in primo grado aveva assolto la giocatrice è priva "del proprio, alternativo, ragionamento probatorio" capace di "confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato".
IL PRIMO GIUDIZIO - Il primo giudice aveva assolto la ricorrente dai reati a questa contestati, "ritenendo non esservi prova della sua consapevolezza della falsità del biglietto della lotteria consegnato per la riscossione del premio al Consorzio Lotterie Nazionali" rilevando che "argomenti di ordine logico inducevano a ritenere che la predetta ricorrente giammai avrebbe presentato all'incasso il biglietto in questione, se fosse stata consapevole della falsità dello stesso, giacché la sua esperienza trentennale di esercente nel settore l'avrebbe resa consapevole che si trattava di una contraffazione di per sé inidonea a raggiungere lo scopo, non potendo la stessa ignorare, proprio in virtù di tale esperienza, che i biglietti vincenti di lotterie, riffe e giochi statali non vengono identificati per il pagamento mediante la ricognizione delle figure o delle combinazioni di numeri sulle stesse rappresentate, bensì mediante il codice a barre e la sigla sugli stessi riportate, incomprensibili al consumatore".
I giudici della Cassazione hanno quindi rinviato ad altra sezione della Corte di Appello di Lecce, affinché provveda ad un nuovo giudizio.