Nella settimana dell'8 marzo e della tradizionale festa della donna, vogliamo soffermarci su una tematica più distante dal business e dalla sua regolamentazione di cui ci occupiamo normalmente, provando a guardare il ruolo che ricoprono le donne all'interno del comparto del gioco. Un aspetto che comunque ha dei riflessi di carattere normativo e regolamentare, se si pensa al tema delle cosiddette “quote rosa” che da tempo interessano il panorama occupazionale e lavorativo generale. Anche se la situazione, proprio in questi mesi, sembra essere degenerata. In effetti, guardando ciò che accade a livello internazionale, è bastato un “semplice” cambio di guardia al vertice degli Stati Uniti per scardinare anni di politiche orientate all'inclusione e al tentativo di creare una cultura della parità di genere. Tentativo evidentemente fallito, visto che molte imprese americane (e non solo) stanno ridimensionando le proprie politiche Dei (Diversity, Equity and Inclusion), all'indomani dell'endorsemnt inverso – e politicamente scorretto - lanciato da Donald Trump, che ha parlato di “estremismo ideologico progressista”, riferendosi proprio alle politiche di inclusione. Anche se il tema vero, spesso tangibile per molte aziende, è che l’eccessiva rigidità ideologica applicata all'approccio Dei è finita col generare più divisione che inclusione. Ricoprendo con un alone di ipocrisia moltissime scelte strategiche e aziendali, creando malcontento e spesso senza dare alcun tipo di beneficio alle aziende stesse: se non al limite qualche apparente contributo in termini di Esg o nei vari bilanci di sostenibilità. E' dunque evidente che non basta una norma o una legge speciale a creare una vera cultura paritaria e orientata alla diversità e all'inclusione: anche se le norme, comunque, possono costituire un punto di partenza o di appoggio, se non altro per mitigare gli eccessi opposti. Sotto questo aspetto è interessante osservare i dati che provengono sempre dagli States e relativi ai fondi di investimento, che dopo aver investito a lungo sulla sostenibilità, sembrano aver “scaricato” questo driver: o comunque lo hanno ridimensionato fortemente. Come riporta il quotidiano economico IlSole24Ore, se si guarda agli anni passati gli afflussi nei fondi sostenibili globali hanno raggiunto il picco massimo di 645 miliardi di dollari nel 2021, in concomitanza con un anno record per il mercato generale, che ha registrato oltre 2,4 mila miliardi di dollari in nuove sottoscrizioni, secondo i dati Morningstar. Già nel 2022 il dato aveva però registrato un crollo del 75 percento, pur rimanendo in territorio positivo, mentre il mercato più ampio ha subito deflussi significativi, penalizzato da un contesto macroeconomico sfidante caratterizzato dalla guerra in Ucraina, dall’elevata inflazione e dai timori di recessione. Se poi nel 2023 i fondi sostenibili hanno mantenuto una certa resilienza (con la sola eccezione degli Stati Uniti), nel 2024, invece, gli afflussi si sono dimezzati, a fronte di un boom del mercato generale, che ha registrato il secondo miglior anno degli ultimi sette per nuove sottoscrizioni, sostenuto dal forte rally azionario Usa. La diversità, tuttavia, è solo una delle tante componenti del cluster della sostenibilità, che ha registrato grandi passi indietro negli ultimi tre anni, anche e soprattutto in Europa.
I dati relativi ai deflussi dai fondi che investono in società focalizzate su strategie di diversity sono stati pari a 376 milioni nel 2024, praticamente un terzo rispetto al dato di 1,2 miliardi del 2023. E anche se riconoscere un trend strettamente connesso alla politica della nuova amministrazione Trump è ancora prematuro, di certo la commistione dei due fenomeni potrebbe costituire un mix fatale.
Ma è proprio qui che si può valutare l'impatto delle norme: se, in effetti, l’impatto di questo fenomeno può essere da noi mitigato in parte dalla componente geografica, visto che sul mercato dei fondi sostenibili l’Europa pesa per l’84 percento con 2.679 miliardi di dollari e 5.502 fonti (pari al 73 percento del totale), mentre gli investimenti in sostenibilità degli Usa pesano per l’11 percento pari a 344 miliardi divisi in 612 fondi (8 percento del totale a livello globale), la seconda motivazione è proprio di tipo normativo. Negli Stati Uniti esistono legislazioni statali che regolano gli investimenti da parte dei fondi pensione anche in tema di diversity. Lo Stato di New York, ad esempio, ha approvato nel 2010 la Retirement Legislation, che prevede che impone ai piani pensionistici pubblici dello Stato e al New York State Insurance Fund (20 miliardi di dollari gestiti) di adottare “una strategia per aumentare la partecipazione di gestori di investimento emergenti e di altre imprese di asset management di proprietà di minoranze e donne”. La normativa statale definisce diverse managers quei gestori con una quota di proprietà minima del 51 percento detenuta da almeno una donna o un membro di un gruppo minoritario e a loro i grandi investitori istituzionali devono dedicare una serie di iniziative. Come la settimana di incontri organizzati a metà febbraio dal New York City Retirement Systems (279,7 miliardi gestiti), che ha visto la partecipazione di 850 fondi definiti emergenti.
Anche lo stato del Texas ha una normativa che sebbene non citi la diversità come un criterio esplicito nella politica di selezione dei gestori emergenti da parte dei fondi pensione, richiede a questi ultimi di riferire sulle decisioni di allocazione, includendo dati disaggregati per razza, etnia, genere e dimensione del fondo. Un sistema, quindi, complesso di normative incrociate che non rendono così immediato lo smantellamento dei criteri di diversity nelle decisioni dei grandi investitori istituzionali. A ciò, infine, si aggiunge la nascita dell’ultimo decennio di fondi dedicati, negli Stati Uniti, che hanno come focus principale quello di sostenere imprenditrici, nella maggior parte dei casi. E tanto basta a tenere “vivo” il tema della diversità e della parità di genere, facendo riflettere dunque sull'importanza di base di una legislazione specifica sul tema, che tuttavia non basta, abbiamo visto, se non accompagnata da una vera cultura ed educazione civica sul tema.
Per quanto riguarda l'industria del gaming, dicevamo, si sta già facendo qualcosa di buono a livello globale: basti pensare al tema Dei che è ormai inserito nelle agende di tutti gli eventi di settore. O si osservi per esempio le varie iniziative che sono sorte all'interno del settore, come il movimento del Global Gambling Women, che peraltro sta per approdare anche in Italia, in occasione dell'evento IGE – Italian Gaming Expo & Conference di Roma, dove la sostenibilità e l'inclusione rappresentano dei temi centrali nei due giorni di dibattito.
Proprio per supportare la causa e suscitare più di una riflessione sul tema, in Gioco News abbiamo dedicato anche quest'anno uno speciale di approfondimento sulla materia della parità di genere nel gaming, nel numero di marzo della rivista, approfittando della ricorrenza dell'8 del mese, in cui viene fatto il punto della situazione e si prova anche a guardare in avanti, nonostante tutto. Una lettura che consigliamo a tutti (e non solo alle donne, anzi!), con l'invito di dedicare la giusta attenzione al tema, non soltanto dal punto di vista intellettuale, ma in concreto: nelle proprie aziende, nelle proprie vite, nella propria quotidianità. Perché in questo caso, non si tratta di un gioco.