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Giochi e politica: tutto il mondo è paese (fino a un certo punto)

23 settembre 2019 - 08:33

All'indomani dell'evento Betting on Sports di Londra, emerge un quadro politico simile in molti paesi: ma l'Italia diventa la Cenerentola d'Europa.

Scritto da Alessio Crisantemi
Giochi e politica: tutto il mondo è paese (fino a un certo punto)

 

La limitazione della pubblicità del gioco d'azzardo è una necessità che si ravvisa ormai in tutti i mercati internazionali in cui questo settore rappresenta una realtà consolidata e poggia quindi le proprie basi su un'offerta diffusa e capillare, sia a livello fisico che sul canale online. Vale, quindi, non solo per l'Italia – notoriamente uno dei principali mercati europei e mondiali – ma anche per la Spagna o il Regno Unito, dove il gaming è una realtà anche più antica rispetto al nostro paese e, forse, meglio regolamentata. O, almeno, meglio gestita e tollerata, sia da parte delle politica che dell'opinione pubblica. Eppure anche in quegli stessi paesi sono emerse nuove sensibilità, sempre più diffuse, che stanno portando i regolatori verso l'adozione di misure più restrittive non soltanto relativamente alla distribuzione e fruizione dei giochi, ma anche e soprattutto riguardo alla pubblicità. Un altro campo dove l'Italia ha svolto un ruolo da apripista: questa volta, però, in negativo. Non come nelle altre politiche relative ai giochi, come per esempio nella creazione di una rete legale di apparecchi da intrattenimento, del Totalizzatore o nella regolamentazione dell'online, dove siamo stati dei veri e propri avanguardisti. Qui, al contrario, abbiamo dato il peggiore esempio che si potesse offrire al resto del mondo: con il legislatore che ha introdotto un divieto totale di pubblicità, in barba alle leggi vigenti (sia in materia di pubblicità che di concorrenza) e al diritto europeo.

Senza neppure valutare preventivamente l'effettiva applicabilità di una tale misura. Finendo col rappresentare un assurdo, agli occhi degli altri paesi, portando così il buon nome italiano, guadagnato nel tempo attraverso la costituzione e sviluppo di un sistema ben regolamentato e studiato a livello internazionale, di nuovo ai minimi storici. Un esempio da non seguire, per gli altri legislatori, non più.

Il tema è emerso chiaramente, ancora una volta, nei giorni scorsi, in occasione dell'evento Betting on Sports di Londra, in cui il tema della pubblicità ha tenuto banco, rappresentando un argomento di estremo interesse e a livello globale. Ebbene, nonostante nessuno sembra avere intenzione di ricorrere a un eccesso legislativo come quello italiano, con un “totally ban” palesemente eccessivo e sconveniente sotto tutti i profili (e, sopratutto, in termini di legalità e sicurezza), quello che emerge chiaramente è la necessità di abbassare i toni, con tutti i mercati di gioco più sviluppati che registrano degli eccessi nella pubblicità e promozione dei giochi. Accade in Spagna, come nel Regno Unito e in Italia. Ciò significa, pertanto, che l'industria è vittima di sé stessa, accendendo delle micce pronte a divampare sotto ai forti venti populisti che soffiano in Europa e nel resto del mondo. Se in Italia si è arrivati a un divieto di pubblicità – per quanto assurdo e controproducente possa essere – è perché si era diffuso un risentimento generale nei confronti del gioco dovuto al “bombardamento” pubblicitario che ha caratterizzato praticamente tutti gli avvenimenti sportivi degli ultimi anni. Lo stesso sta accadendo in Regno Unito, dove la Gambling Commission negli ultimi mesi ha ristretto le maglie della pubblicità elevando gli standard richiesti agli operatori e ai media. Questo perché – dati alla mano - durante la Coppa del mondo di calcio dello scorso anno, tanto per fare un esempio, il 60 percento della pubblicità trasmessa durante le trasmissioni televisive riguardava le scommesse. Un dato che viene ritenuto insostenibile. Per questa ragione è necessario intervenire, secondo la politica e il regolatore. Ma anche(alla fine) secondo l'industria, che non ha caso sta lavorando a una autoregolamentazione che consentano di evitare eccessi nella pubblicità e nell’accesso di minori ai prodotti di gioco. Un'azione preventiva, anche per evitare un intervento drastico da parte del regolatore e del legislatore. Analogamente, in Spagna, sono emerse sensibilità analoghe, solo che anche qui, in maniera più simile all'Italia, la ricerca di un governo di coalizione è finita col portare il gioco in campagna elettorale con la pubblicità che potrebbe essere presa di mira dal nuovo Esecutivo. Anche se non è ancora chiaro come. Ma intanto, l'industria cerca di correre ai riparti optando, anche qui, per l'autoregolamentazione. 
In Italia, è evidente, è ormai troppo tardi, con il divieto che oltre ad essere totale, è anche una realtà e ormai da più di un anno. Seppure abbia dato i primi frutti concreti soltanto da un paio di mesi, al termine del periodo di transizione dei contratti pubblicitari già vigenti concesso dall'Esecutivo attraverso il decreto Dignità. Ed è così che si è passati dal bombardamento di prima e ai ripetuti eccessi di promozione del gioco, al silenzio totale. Con il paradosso che le squadre di calcio e presto anche di altri sport stanno adottando sponsor di bookmaker per i mercati esteri, dovendo compensare le mancate entrate che un tempo provenivano dal mercato del betting: mentre le società di gaming internazionali che operano su tutti i mercati europei, hanno spostato i budget che venivano dedicati al mercato italiano in termini di marketing verso gli altri paesi, andando così a impoverire il nostro sport, arricchendolo altrove.
Eppure anche in Italia l'industria si era subito attivata con l'adozione di un codice di autodisciplina pubblicitaria, ormai diversi anni fa, dopo i primi sentori di un possibile intervento limitativo nelle promozioni del gioco, che aveva già portato i precedenti governi ad intervenire sulla materia, con il decreto Balduzzi prima, nel lontano 2012 e con la Legge di Stabilità per il 2016 poi. Peccato però che quelle stesse regole che l'industria si era autoimposta attraverso il codice di disciplina, siano state applicate soltanto da una parte dei concessionari e non da tutti, e comunque senza evitare gli eccessi anche da un punto di vista quantitativo. E ora a farne le spese è l'intero comparto: oltre ai consumatori, però, anche se questi ultimi non se ne rendono neppure conto. Per un giocatore che vuole scommettere oggi su un evento sportivo e magari per la prima volta, diventa impossibile distinguere tra un bookmaker legale e uno illegale. Come pure, a livello terrestre, non si riesce più a distinguere tra un punto vendita legale e uno illecito, visto che non si può neppure pubblicizzare l'apertura di un nuovo locale di gioco. Cosa che, fino allo scorso anno, era vietato unicamente per gli operatori non autorizzati.
E' dunque evidente, oggi più che mai, quanto sia pericoloso e assurdo tale divieto di pubblicità. Eppure, nonostante tutto, c'è chi continua a chiedere misure addirittura più restrittive, praticamente proibizioniste. Mettendo da parte la storia, e non solo le esperienze e le testimonianze degli altri paesi. Così, mentre l'Italia è passata dallo status di Regina d'Europa in materia di regolamentazione del gioco - che è stata studiata e presa a modello, per anni, in tutto il mondo – ad autentico zimbello. Con il plauso di una parte del paese, e un pezzo della politica, ignaro di tutto. Anche se la realtà, prima o poi, presenta il conto. E sarà anche molto salato. Anche se a pagarlo sono sempre, e per primi, gli addetti ai lavori.
 

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