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Gioco e pubblicità: divieto invece di Progresso

03 settembre 2018 - 09:25

Negli anni '70 nasceva la Pubblicità Progresso: ma prima ancora che si possa occupare di gioco pubblico, arriva il divieto assoluto per il settore.

Scritto da Alessio Crisantemi
Gioco e pubblicità: divieto invece di Progresso

 


Una volta si chiamava comunemente Pubblicità Progresso: come la Fondazione che (a volte) se ne occupa, a partire dagli anni '70. Oggi, nel mondo delle imprese e dei media, si parla più genericamente di comunicazione sociale. Quello a cui si fa riferimento, in entrambi i casi, è la moltitudine di campagne di comunicazione che non riguardano la promozione di prodotti o servizi, ma che hanno come unico scopo quello di sensibilizzare l’opinione pubblica su problematiche di carattere sociale - spesso morale e civile - che riguardano quindi l’intera comunità. E, naturalmente, senza scopo di lucro. Quello che la stessa Fondazione, in occasione di un suo anniversario, aveva espresso chiaramente attraverso un claim (come al solito) particolaremente efficace: "L'anima del commercio ha un'anima".

Una realtà di cui si è tornati a parlare molto, di recente, a causa di alcuni (ripetuti) scivoloni su cui era incappato il Ministero della Salute del precedente governo, lanciando le campagne (proposte e poi ritirate) sul Fertility Day. A cui ha fatto da contraltare, al contrario, l'ottima pubblicità (quella sì davvero "progresso", realizzata dall’Associazione Onlus Famiglie SMA nello spot con Checco Zalone. Segno evidente delle difficoltà che esistono ancora oggi nell'affrontare questo tipo di attività (almeno in Italia), ma evidenza anche del valore di questo tipo di comunicazioni quando risultano efficaci. Proprio come nel caso dello spot di Zalone, o delle tante reclame di successo promosse anni addietro dalla Fondazione Pubblicità Progresso: dalla storica prima campagna degli anni '70 a favore della donazione del sangue - caratterizzata dallo slogan “C’è bisogno di sangue. Ora lo sai” - alle altre molto popolari degli stessi anni come quelle a difesa del verde (“Il verde è tuo. Difendilo!”) o  sui rischi per i non fumatori quando entrano a contatto col fumo (“Chi fuma avvelena anche te. Digli di smettere").
Tutte campagne che potrebbero (e dovrebbero) rappresentare un esempio per i "comunicatori" di oggi, alle prese sempre più spesso con nuove tematiche di interesse sociale, mai esplorate prima. Viene subito in mente il tema del gioco e del rischio di dipendenza, di cui si parla in maniera sempre più importante negli ultimi anni, soprattutto in politica. Eppure, anche se il dibattito si è andato vieppiù infiammando nel corso del tempo, non si è mai pensato di dedicare una "pubblicità progresso" a questo settore. O, meglio, contro questa dipendenza: in logica di prevenzione, come è stato fatto in altri settori, spesso - come abbiamo visto poco fa - anche in maniera egregia. Passando direttamente al divieto totale di ogni forma di pubblicità e comunicazione del gioco. Anche indiretta, andando ad includere, addirittura, le comunicazioni di gioco responsabile. Visto che, salvo diverse e specifiche regolamentazioni o discipline, stando ai dettami del Decreto Dignità, una società di gioco non potrebbe neppure fare una campagna sociale e quella che definiremo una "pubblicità progresso" accompagnata dal proprio marchio, senza ricadere nell'ambito della pubblicità indiretta previsa dal decreto. Per il paradosso dei paradossi, che meriterebbe forse anche questo di essere stigmatizzato in un pay off da prima pagina.
In realtà, qualche anno fa, c'era stato qualche timido tentativo di realizzare delle campagne di comunicazione sociale sul tema del gioco responsabile. A muovere il primo passo era stata l'allora Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, sotto la guida dell'ex Direttore generale Giuliano Ferrara, che aveva commissionato uno spot con il chiaro scopo di promuovere il gioco responsabile ed enfatizzare il divieto ai minori. Peccato però che anche in questo caso il risultato fu un colossale fiasco, con lo spot che venne subito cancellato e ritirato dalla programmazione dopo una levata di scudi generale, per un'ambientazione ritenuta fuori luogo da più osservatori. Chi ha buona memoria ricorderà quello spot andato in scena sui canali Rai che aveva come protagonista un ragazzo, divenuto maggiorenne, che condivideva con il papà la sua "prima volta", rappresentata dalla prima giocata con prodotti dello Stato: e nonostante tutto questo avvenisse in un enfatico richiamo al gioco legale e all'approccio responsabile, in molti ci avevamo visto un semplice invito al gioco e pure rivolto ai più giovani, per un vero e proprio autogol, forse meno eclatante di quello segnato dal Ministero della salute nella promozione del fertility day a sfondo razzista e lontano dall'antica e scioccante campagna contro l'Aids che ha terrorizzato un'intera generazione con quegli aloni viola e la musica da incubo. Ma comunque ritenuto un pessimo esempio di comunicazione sociale. O pubblicità progresso che dir si voglia. Ma al di là delle brutte esperienze, a stupire oggi è che, invece di pensare a come promuovere il gioco responsabile o comunque a informare sul rischio della dipendenza, si sia optato per un divieto assoluto che sembra andare in direzione del tutto contraria, aggiungendo il rischio ulteriore di rendere indistinguibile l'offerta legale da quella illecita, ancora molto presente. Anzi, a dirla tutta, la cosa peggiore è proprio il mancato stupore attorno a questo tema, visto che le uniche perplessità sembrano essere rimaste all'interno dell'industria del gaming o al limite entro i confini del mondo dello sport, senza diventare un tema di dominio pubblico. Per questa ragione, appare azzeccata la campagna pubblicitaria lanciata dall'associazione Logico - l'organismo degli operatori del gioco online - che dopo l'entrata in vigore del divieto e del Decreto Dignità, ha pensato bene di sfruttare alcuni degli spazi pubblicitari ancora disponibili in virtà della clausola che faceva salvi i contratti pubblicitari già in essere, per provare a sensibilizzare l'opinione pubblica su questi aspetti, e sull'importanza del gioco legale e responsabile (e della sua comunicazione, purché adeguata). Ma è pur sempre una piccola cosa, che ha trovato spazi enormemente minori rispetto alla campagna "anti-gioco" promossa sui social e sui media dal governo e dai suoi sostenitori. Nonostante i paradossi evidenti di questa vicenda, che meriterebbero davvero una pubblicità progresso: magari invitando a "non giocare sulla dipendenza", o sulla legalità. Oppure, basterebbe anche un semplice e più generale: "Svegliatevi!".

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