Su cosa dovrà concentrarsi la ricerca sul gioco responsabile nei prossimi cinque anni? E' questa una delle domande (centrali) lanciate in occasione della European conference on gambling studies and policy issues (Easg) che si è appena svolta a Roma (per la prima volta), dalla comunità scientifica di riferimento. Una domanda alla quale, peraltro, sono state fornite anche una serie di (interessanti) risposte, proponendo una sorta di piano di azione per il prossimo lustro. Ma la stessa domanda, forse, dovrebbe porsela l'intera industria del Gaming, estendendo anche il raggio di azione, portando cioè la questione a un livello più ampio e generale. Chiedendosi, per esempio, su cosa doversi concentrare in generale nei prossimi cinque anni (e se possibile, guardando anche oltre a questo stretto orizzonte temporale). Sì, perché la ricerca sul gioco d'azzardo patologico, pur essendo uno dei pilastri fondamentali sui quali costruire il futuro dell'intero comparto, rappresenta comunque soltanto una parte del puzzle (complicatissimo) che descrive lo scenario complessivo dell'industria. O, meglio, forse è la cornice entro la quale deve essere dipinto il quadro del gioco: regolatorio, industriale, sociale, e via dicendo. Del resto, l'attività di ricerca su questi temi, è bene che sia portata avanti proprio dalla comunità scientifica e dagli esperti che ben conoscono la materia – visto che, come l'Easg ha mostrato ancora una volta, questo lavoro viene fatto anche straordinariamente bene, a livello globale – sia pure con il supporto dell'industria stessa, come sta accadendo oggi più che mai. E dalla conferenza di Roma è emersa anche questa significativa tendenza virtuosa.
Gli addetti ai lavori, tuttavia, comprendendo qui anche gli stakeholder istituzionali, farebbero bene a concentrarsi anche (e soprattutto) sulle attività di ricerca e sviluppo di tutte le altre componenti del mercato, che comunque impattano direttamente e si intrecciano con le stesse attività di contrasto al gioco patologico. Del resto, come ben spiegato a Roma dal professor Gerhard Bühringer dell’Università di Dresda - la cui ricerca si è incentrata soprattutto sullo studio delle dipendenze e in seguito della regolamentazione guardando in particolare al rapporto fra il gioco e le nuove generazioni - “I giovani non si rendono conto che spesso vengono fatte attività non regolamentate e questo è un rischio”. Evidenziando che “fino a tre anni fa non esisteva una vera regolamentazione e c'erano giochi dove si poteva perdere tanto”, parlando naturalmente della Germania. Ma proprio guardando alle nuove generazioni, come ha spiegato Maris Catania dell’Università di Malta, “i giovani sono nati nel mondo online e per via della tecnologia non ci si incontra più con loro”. Perché “l’industria sta ancora pensando in maniera tradizionale, per esempio tramite bonus, ma le giovani generazioni pensano al gioco da un punto di vista di gaming. Nella vita reale tutto è vietato ma nell’online tutto è possibile", aggiunge.
Senza dover ripercorrere tutti i contenuti e gli infiniti spunti preziosi emersi durante l'Easg di Roma, tanto basta per rilanciare e approfondire il tema che stiamo invece proponendo in queste colonne, invitando l'industria a una più ampia revisione e indagine sul proprio futuro. Ciò che dovrebbe essere evidente è l'enorme cambiamento che è in corso e la sfida che esso ci consegna, alla quale non si può rispondere soltanto finanziando una ricerca o uno studio sul gioco responsabile. Ma serve molto di più. Intanto, nel ricercare prodotti e soluzioni di gioco che possano rendere più semplice e godibile l'esperienza di gioco per i consumatori, ma anche più sicura, moderata e comunque profittevole per chi la propone. Insomma, per dirlo in una sola parola: sostenibile. Ma tutto questo non deve soltanto essere studiato e quindi realizzato, ma deve anche essere comunicato, promosso e divulgato. Ecco quindi un altro ambito su cui concentrare le attività di ricercadelle aziende, in aggiunta a quella enorme già compiuta oggi dal punto di vista delle tecnologie da utilizzare. Oggi lo scenario globale è caratterizzato da una forte sensibilità rivolta al tema della promozione del gioco, con una serie di restrizioni sempre più stringenti nei confronti delle pubblicità e delle campagne marketing eseguite dalle aziende di gioco. Con qualche deriva eccessiva, come quella dell'Italia prima e del Belgio poi, che rappresentano dei casi limite, ma comunque da analizzare e, soprattutto, da comprendere, sia pure nelle loro storture. Per questo gli addetti ai lavori dovrebbero analizzare a fondo, comprendere e rispondere a queste esigenze studiando nuove modalità (sostenibili) di promozione del gioco e (soprattutto) di comunicazione della loro attività. Invece di trincerarsi, come troppo spesso accade, dietro al silenzio generale, con la scusa che non è consentito fare pubblicità o promuoversi come tutti gli altri settori. Limitandosi semmai alla promozione di qualche iniziativa sociale, scientifica o benefica rivolta al gioco responsabile, che è sicuramente attività nobile e anche preziosa, ma non sufficiente, come abbiamo provato a spiegare fin qui.
Quello che serve, dunque, è uscire dalla comfort zone e provare a compiere quel passo in più che consentirebbe di raggiungere la vera svolta. Che non è detto che arrivi – forse non nel breve periodo – ma è necessario provare a inseguirla ("Punta sempre alla luna, male che vada avrai camminato tra le stelle", disse Les Brown, anche se in questo caso non è soltanto una questione motivazionale).
Un esempio (ahinoi negativo) arriva proprio dall'Italia e dalla triste situazione che riguarda il divieto assoluto di pubblicità, che è tornato a occupare le pagine dei giornali e le copertine di qualche trasmissione in Tv. Ciò accade perché, di fronte a una legge sbagliata e a un'imposizione insulsa, le aziende non hanno saputo rispondere in nessun modo. E dopo anni di silenzio assoluto sui media, invece di provare a riversare quei fondi (ingenti, peraltro) fino a quel momento destinati nelle campagna pubblicitarie in tv, negli stadi o nelle sponsorizzazioni dei club, verso attività di ricerca e sviluppo mirate a individuare altre forme e soluzioni di marketing sostenibile, hanno pensato bene (nella maggior parte dei casi, ma per fortuna non in tutti) di tornare semplicemente a promuovere i propri brand sugli stessi canali, modificando soltanto l'oggetto delle promozioni. Per un'attività di mero branding, peraltro anche minima e piuttosto sterile dal punto di vista del cosiddetto ritorno degli investimenti, il cui risultato principale è quello di infastidire l'opinione pubblica e di stuzzicare le voglie proibizioniste di alcune frange anti-gioco, offrendo il fianco a strumentalizzazioni varie.
Purtroppo, non è questo l'unico caso di lassismo o semplice miopia attribuibile agli stakeholder del gaming che, a onor del vero, non possiamo non ricordarlo, continuano ad essere vittime di attacchi sistematici, ripetuti e gratuiti quando non strumentali, che non fanno altro che destabilizzare le attività quotidiane, insieme ai repentini cambiamenti normativi, all'insegna dell'incertezza e spesso anche della pura instabilità (guardando in particolare all'Italia) che rischiano soltanto il risultato di di far passare la voglia anche a quelli che vorrebbero provare a spostare l'asticella più in alto.
Ma proprio perché lo scenario continua ad essere difficile, impervio e avverso per le imprese che operano nel comparto, la sfida centrale è proprio quella di provare a cambiare le cose: ma per farlo bisogna rompere il guscio sotto al quale si è cercato riparo in questi anni per difendersi dai tanti attacchi e lavorare per un nuovo futuro. Ora più che mai. Adesso o mai più.