Il settore del gioco pubblico deve seguire la moda. Non nel senso più stretto dell'espressione, cioè quello di cavalcare i trend in corso o di assecondare i gusti dei consumatori attraverso una proposta efficace e un appeal adeguato: su questo, l'industria, non ha certo bisogno di consigli ed è già in grado di farlo benissimo da sé. Il riferimento, al contrario, è al comparto della moda dal punto di vista industriale, traendo spunto dalle manovre in corso tra i maggiori produttori e rivenditori di questi giorni. Nel difficile percorso che si trova ad affrontare l'intera filiera gioco pubblico nell'uscita dalla crisi – assolutamente senza precedenti – provocata dalla pandemia, diventa necessaria una completa revisione del comparto sotto ogni profilo. Dall'organizzazione alla rappresentanza, passando per la distribuzione ma anche (e soprattutto) per la comunicazione. In questo cammino di inevitabile rinnovamento, che potrebbe (dovrebbe?) portare anche all'adozione di nuovi modelli, un esempio interessante da cui poter trarre spunti preziosi arriva appunto dall'industria della moda, che si è appena compattata per rilanciare il settore. Come emerso dall'ultimo incontro tra Confindustria, alla presenza del presidente, Carlo Bonomi, e la delegazione del Comitato strategico di Camera nazionale della Moda (alla quale aderiscono 234 grandi brand, ai quali è riconducibile il 90 percento del fatturato del settore) convocato per mettere a punto un documento da proporre al governo: con investimenti per defiscalizzazione, digitalizzazione e formazione, i principali attori della filiera hanno deciso di fare un fronte comune per rilanciare un (altro) comparto duramente provato dalla pandemia, che nel 2020 ha avuto una perdita di fatturato del 27 percento, mettendo a rischio la tenuta di una filiera riconosciuta in tutto il mondo, con un impatto negativo sull'occupazione. Il mondo della moda si compatta, quindi, per “agganciare la ripresa e sviluppare tutte le potenzialità di un settore simbolo, nonché strategico, dell'Italia”. In un momento in cui si stanno delineando a livello italiano ed europeo le “giuste condizioni per dare impulso a importanti attività del nostro Paese”, come emerso in occasione del summit: nella speranza generale che il “giusto momento” ravvisato dagli operatori della moda possa essere considerato tale anche dagli altri settori. Come quello del gioco, tra i più colpiti in assoluto dalla pandemia e che ancora non conosce la data certa di ripartenza delle proprie attività terrestri, dopo i ripetuti rinvii e la nuova scadenza delle misure restrittive fissata provvisoriamente al 6 aprile, ma sempre in attesa di sviluppi. E in attesa di ritrovarsi presto in una Penisola in “zona bianca” dove poter riaprire i locali.
Certo è evidente a tutti che in una fase così critica quanto straordinaria come quella della pandemia, nessuno si salva da solo: come stigmatizzato qualche tempo fa anche da Papa Francesco (e non ce ne vorrà il Santo Padre per una citazione in tale contesto). Ciò significa che prima di ogni altra cosa conterà la risposta che sarà in grado di dare il governo ai singoli settori, oltre a quella di carattere generale, per uscire dall'emergenza e ripartire con l'intera sistema economico e produttivo. Sta di fatto però che nessuno può permettersi il lusso di rimanere fermo ad aspettare, rimboccandosi le maniche fin da ora per individuare azioni e soluzioni da mettere in atto nei prossimi giorni, non appena sarà possibile tornare a lavorare. Cercando anche nuove strade rispetto a quelle percorse in precedenza, visto che l'unica certezza diffusa è che nulla sarà più come prima. Per questo anche il gioco pubblico, come ha fatto il settore della moda, dovrà cercare di arrivare a un fronte comune e unitario per affrontare le nuove sfide, tutt'altro che banali. Proprio come suggerito (e ricordato) ancora una volta dall'ex sottosegretario all'economia delegato ai giochi, Pier Paolo Baretta, che in occasione del suo ultimo intervento pubblico ha ribadito la necessità di una rappresentanza unitaria del comparto, superando le divisioni, evitando la frammentazione e favorendo, dove possibile, la concentrazione, oltre alla concertazione. Del resto, il comparto del gioco ha già dimostrato, una volta tanto, di poter ragionare anche in ottica di insieme, in occasione della recente manifestazione di Roma e Milano, in occasione della quale – per la prima volta nella storia – tutte le sigle del comparto in rappresentanza di tutti i lavoratori, sono riuscite a marciare insieme per chiedere il diritto al lavoro. Esprimendo un potenziale (enorme) che non può e non deve andare sprecato. E che giunge il momento di consolidare e concretizzare, attraverso uno slancio ulteriore e uno sforzo collettivo. Già prima di conoscere le eventuali risposte governative.
Nel settore della moda, che abbiamo deciso oggi di prendere come temporaneo riferimento, le principali organizzazioni del comparto hanno dichiarato di voler “contribuire insieme allo sviluppo del settore post pandemia”. Discutendo, tra i vari temi, del potenziamento delle misure necessarie per rendere più competitivi prodotti unici che hanno il loro punto di forza nella manifattura qualitativa e nella ricerca innovativa. Tra questi, è emersa anche la necessità di preservare il patrimonio delle professionalità della manifattura italiana che supportano l'attività delle microimprese e delle Pmi, altrimenti destinate alla chiusura. Tra le proposte, la defiscalizzazione per l'avvio di nuove realtà imprenditoriali, con l'inserimento di giovani talenti, per le società che realizzano il prodotto in modo tracciabile, nel rispetto della sostenibilità. La leva del cuneo fiscale è determinante, dice il comunicato, per incentivare le assunzioni e creare filiere integrate, anche dal punto di vista digitale. Delle questioni dibattute, in effetti, la digitalizzazione è stata definita un elemento cardine del futuro. Ma si è parlato anche di sostenibilità ambientale ed economia circolare e di sostenibilità sociale, dalla parità di genere all'inclusione della diversità. Decisiva la formazione, con particolare riferimento alla trasformazione ed evoluzione dei mestieri e alla creazione di condizioni favorevoli per il ricambio generazionale e il calo della disoccupazione giovanile.
Una serie di temi, questi, che non possono e non devono sfuggire anche al comparto giochi, il quale però deve dapprima partire dall'unione e dalla nuova rappresentanza.
Tra le altre cose che vale la pena osservate nel caso della moda è il fatto che l'incontro si è tenuto proprio nel giorno in cui a Milano ha preso il via la settimana della moda donna, in un formato “phygital”, con un calendario ricco e fitto, che testimonia la vitalità del settore e la volontà di reagire. Per un altro esempio da seguire, anche dal punto di vista della comunicazione e della ricerca di una nuova forma e modalità di espressione del settore.
Tutto questo ha bisogno quindi di un vero e proprio cambio di passo da parte dell'industria del gioco pubblico, che dovrà essere compiuto in fretta, senza aspettare oltre. Ma altrettanto urgente, tuttavia, dovrà essere la risposta del governo, non tanto e non solo in termini di riaperture, ma anche – e soprattutto – in termini di ristori (o “sostegni” che siano) e di riforme più in generale, pensando ai lavoratori e alle imprese, prima ancora che all'oggetto del business, che è il gioco “di azzardo”: elemento, questo, ancora oggi decisivo e troppo spesso fuorviante. In primis, perché in ballo c'è anche il futuro dell'intrattenimento in senso più ampio e generale (visto che nel blocco totale del gioco rientrano anche le attività del cosiddetti “amusement”, quindi anche l'industria di calcetti, flipper e via dicendo): inoltre, guardando ai dati economici e occupazionali, non è certo il momento di fare distinzioni o altre valutazioni, sapendo che – come riportato da vari studi - un dipendente privato su 3 è a rischio povertà. Con gli indicatori economici che indicano pure che nei prossimi mesi andrà addirittura peggio. Nell’ottobre del 2020, la Caritas ha stilato un primo bilancio sull’impatto del Covid sulla povertà in Italia e i dati emersi, ricordati anche da Draghi nel suo discorso al Senato, registravano un aumento dei nuovi poveri dal 31 al 45 percento, per via del boom di disoccupati e inattivi nei mesi più critici della pandemia, quando i vari lockdown hanno messo in stand by interi settori dell’economia. E il gioco, lo abbiamo detto più volte, è uno di quelli sottoposti alla maggiori restrizioni durante la pandemia, e alle peggiori vessazioni già prima dell'emergenza sanitaria. Per un mix di cause che annuncia effetti devastanti, se governo e industria non saranno capaci di reagire adeguatamente, ognuno per ciò che gli compete.