È un duro lavoro, ma qualcuno lo doveva pur fare. Sembra questo il messaggio subliminale nascosto dietro alle parole pronunciate nelle scorse ore dal direttore generale di AdM, Roberto Alesse, parlando di gioco pubblico e della necessità - sempre più impellente - di eseguire un riordino generale del comparto. “C’è tanto da fare. Lo faremo. E velocemente", ha detto - testualmente, in questo caso - il numero uno dell’Agenzia.
Certo, si dirà, sono soltanto parole. E sul tema ne sono già state pronunciate fin troppe, negli anni, senza mai vederle tramutate in realtà, come sanno bene gli addetti ai lavori. Solo che stavolta la situazione sembra davvero diversa. A partire dal fatto, non banale e ben noto a chi frequenta Piazza Mastai, che il direttore è una persona che non smania per conquistare i riflettori e abituata a pesare bene le parole di pronunciarle: e tanto potrebbe bastare per capire che questa promessa non è proprio campata in aria, ma rappresenta un obiettivo chiaro e ben definito, sul quale si sta già lavorando. Inoltre, aspetto non secondario, è che l’attuale leader di AdM ha un filo diretto con il governo e un ruolo preciso all’interno del (nuovo) sistema paese e non si trova per caso a occupare una poltrona, in maniera scollata dall’esecutivo, come invece è già capitato in passato. Stavolta la maggioranza di governo è solida, il ruolo dell’agenzia è delineato e la guida della macchina affidata a un pilota esperto e di fiducia. Quindi, adesso, non resta che lavorare. Proprio come dice il direttore. Il quale, peraltro, lo sta già facendo: come dimostra pienamente la riorganizzazione dell'Agenzia avviata già all'inizio del suo mandato, e ora pressoché completata, con
la nomina dei nuovi dirigenti di prima e seconda fascia e l’assunzione di “numerosi funzionari” che completano il lavoro di riforma delle strutture centrali “per rendere più razionale ed efficiente l’organizzazione complessiva”. Per poi completare il tutto mettendo mano alle organizzazioni territoriali per portare a termine quella che Alesse definisce “una riforma dalla portata storica”.
Ma la vera riforma che aspetta il comparto giochi è quella che si identifica con il Riordino. Tema, anche questo, ben noto al direttore ì quale dice che si deve a fare - e presto - anche per “tutelare maggiormente i soggetti deboli, quelli più esposti ai disturbi da gioco, bilanciando la valorizzazione di questo rilevante comparto dell’industria nazionale, da mettere al più presto a gara, con la difesa del principio di legalità”. In questo senso, peraltro, i fatti di cronaca provenienti dal mondo del calcio potrebbero - quasi per assurdo - giocare un ruolo in positivo: nonostante la cattiva immagine con cui fai avvenimenti fanno guardare al mondo delle scommesse da parte dell’opinione pubblica, riportando in auge il tema della “ludopatia” (nonostante il termine e non solo l’argomento sembrava ormai superato), in realtà sembra essere passato in maniera chiara il messaggio che questi giovani rampanti calciatori ricorrevano alle puntate sui bookmaker illegali. Mettendo in luce, quindi, per chi non lo sapeva, che esiste ancora oggi un mercato più che florido completamente illegale e parallelo al gioco di Stato. Un qualcosa che deve far capire, in primis, quanto sia importante mantenere un presidio di legalità sul territorio, ma anche e soprattutto quanto sia relativa l’osservazione di molto che ritengono “eccessiva” l’offerta di gioco sul territorio. Che sarà pure straordinariamente capillare nella Penisola, ma a quanto pare non ancora sufficiente a rispondere alla domanda degli italiani, che è ancora più grande. Al punto da sconfinare in una rete illecita stimata in un giro d’affari di oltre 20 miliardi di euro. Non stiamo certo dicendo, si badi bene, che la soluzione dovrebbe essere quella di ampliare l’offerta di gioco sul territorio, ritenendo - al contrario - che l’Italia ne abbia già a volontà: la riflessione semmai dovrebbe essere sulle modalità con cui viene offerto il gioco, avendo bene a mente che ogni intervento di restrizione o costrizione del gioco (sia in termini di distribuzione che di tassazione o quant’altro) ha come effetto quello di andare ad agevolare l’offerta parallela. Cioè il mercato illecito. Un principio ben noto e più che consolidato per quanto riguarda la vendita dei tabacchi, dove lo scopo del legislatore è da sempre quello di mantenere un’offerta capillare e competitiva per arginare il fenomeno del contrabbando, ma che sul gioco fatica ad essere compreso e assimilato. Ma tant’è.
Nel frattempo però il mercato va avanti e l'interesse nei confronti del nostro paese diventa sempre più alto e generale: basta dare uno sguardo alla fiera Sigma di Malta, in scena questa settimana, dove il "caso Italia" è finito sotto i riflettori e diventa ancora una volta materia di dibattito e approfondimento.
È proprio vero, dunque, che c’è tanto lavoro da fare, sul gioco, come racconta il direttore di AdM. Ma ce n’è fin troppo, sarebbe da aggiungere, guardando ciò che accade sui banchi del Parlamento e del Consiglio dei Ministro, dai quali dovranno partire tutti i provvedimenti attuativi della legge delega di forma fiscale, e non solo. Come svelato dal dossier sui “provvedimenti attuativi delle leggi” pubblicato dal Servizio per il controllo parlamentare della Camera dei deputati, a partire dalla XVII legislatura avviata dal 22 ottobre 2023 restano ancora da adottare ben 534 provvedimenti. Di cui 206 ascrivibili direttamente al Governo Meloni, a cui si aggiungono 57 provvedimenti attuativi derivanti da leggi di iniziativa parlamentare. Tra tutti questi, interessa al settore quello inserito nell'Area Finanze - Fisco, banche e mercati finanziari si fa riferimento alla legge delega per la riforma fiscale (legge 111/2023) e relativo all'articolo 15, cioè alla “Definizione di piani annuali di controlli volti al contrasto della pratica del gioco svolto con modalità non conformi all’assetto regolatorio statale per la pratica del gioco lecito”, per il quale si attende il relativo decreto attuativo ministeriale. La coda quindi è bella lunga e ciò spiega perché per il gioco c’è ancora da attendere, nonostante la volontà (o meno) di intervenire. Ma il fatto di sentirne parlare, e di veder affiorare i primi cambiamenti, almeno all’interno dell’Agenzia, è già un buon segnale.Nel frattempo, lasciamoli lavorare.