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Lo Stato senza memoria che gioca sul futuro

21 gennaio 2019 - 08:46

La linea seguita dall'Esecutivo sui giochi tradisce i principi fondativi del comparto e vanifica i risultati: senza nessuna garanzie per il futuro. Neanche di cassa.

Scritto da Alessio Crisantemi
Lo Stato senza memoria che gioca sul futuro

Che fine ha fatto il Riordino del gioco pubblico? È ciò che si chiedono gli addetti ai lavori del comparto, dopo i repentini cambi di scenario dettati dalle varie leggi che si sono susseguite negli ultimi mesi, mettendo le mani sul settore e nelle tasche delle imprese che lo compongono. Senza però arrivare a quella famigerata riforma generale annunciata dal governo con il Decreto Dignità e mai attuata. Né tanto meno discussa. E neppure citata, o nondimeno, rimandata. Niente di niente. Nonostante la promessa fosse stata messa nero su bianco nel decreto legge approvato lo scorso agosto, con tanto di scadenza temporale fissata entro i successivi sei mesi. 

Eppure, mentre i lavoratori del gioco pubblico attendevano il Riordino e i cittadini aspettano (pur senza averla mail chiesta) l’abolizione del gioco d’azzardo, il governo delibera una serie di aumenti della tassazione su quello stesso settore: dopo quelli disposti dal Decreto Dignità, a modificare di nuovo le carte in tavola sono stati la Manovra di bilancio prima e il Decreto sul reddito di cittadinanza poi. Andando quindi in direzione del tutto contraria rispetto alle due promesse citate poc’anzi: rendendo cioè ancora più difficile un Riordino del settore e di certo scostandosi decisamente dall’idea di abolirlo visto che su di esso si basano gran parte delle iniziative future previste dell’esecutivo.
Ma ciò che è peggio e senz’altro preoccupante è che in questo modo vengono traditi, pericolosamente, i principi fondativi attorno ai quali lo Stato aveva costruito il comparto del gioco legale, raggiungendo - piaccia a no - risultati straordinari che hanno reso il nostro paese un modello da seguire in Europa e nel mondo. Per via dell’emersione di un’immensa economia sommersa e per le garanzie di sicurezza e tutela dei consumatori che si è riusciti a garantire. Anche se i governi che si sono alternati ne tempo, non bisogna nasconderlo, si sono cullati fin troppo su questi risultati spingendo anche troppo sulla crescita e diffusione del gioco (sempre a scopi di cassa, esattamente come l’attuale esecutivo). Ma questa è un’altra storia, che non cancella gli importanti risultati ottenuti. Tra i principi fondativi del comparto che sentiamo la necessità di invocare e ricordare all’attuale classe dirigente, oltre alla Riserva di legge (in virtù della quale non dovrebbero neppure esistere leggi regionali sul gioco, che a sentirlo oggi fa davvero ridere), c’era la necessità di mantenere il gioco “conveniente”: per i giocatori, cioè rendendolo competitivo, in termini di offerta e vincita, alle tante altre proposte illegali, ma anche per gli operatori, rendendolo quindi profittevole, per evitare di farli cadere nella tentazione di preferire l’illecito, benché più rischioso, ma senz’altro assai redditizio. Per questa ragione la linea adottata nell'attuale legislatura nei confronti del comparto preoccupa seriamente chi ha un minimo di conoscenza del settore e di questa importante realtà dell'economia nazionale. Ma ciò che spaventa di più, in questo momento, è che nessuno, a livello governativo e ormai anche tra le istituzioni più in generale, sembra avere la minima coscienza di ciò che sta accadendo e che potrebbe accadere nel settore. Salvo pochissime eccezioni, nei ministeri chiave, che però hanno sempre meno voce in capitolo.
Certo ci sarà pure chi continuerà a pensare, come faceva fino a qualche tempo fa anche il vice premier Luigi Di Maio, che il fatto di compromettere l'industria dei giochi, anche a causa di una tassazione sproporzionata o di misure raffazzonate, sia da considerare una cosa “positiva”, o comunque di cui non preoccuparsi, visto che il risultato sarebbe quello di “liberare i cittadini dalla morsa dell'azzardo”. Peccato però che adesso non stia più in piedi neanche quel ragionamento e se dovesse saltare il settore, a questo punto, a farne le spese sarebbe proprio il governo, quindi il paese e i cittadini, visto che a saltare con esso sarebbero anche le coperture per finanziare tutte le iniziative sopra elencate. Ma soprattutto, cosa accadrebbe, oggi, se gli operatori della filiera, ormai stremati dalla pressione fiscale, dovessero bloccare la raccolta e iniziare a scioperare, e non solo a scendere in piazza? Fino tutto questo non è successo, anche se l'astensione alla raccolta è stata più volte ipotizzata e talvolta sfiorata. Stavolta però è diverso perché nella filiera in molti iniziano a pensare che si stia imboccando una strada senza ritorno. E prima o poi dovrà rendersene conto anche (e soprattutto) anche il governo. Almeno per quanto riguarda i giochi.

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