skin

Non c'è sostenibilità senza responsabilità

05 settembre 2022 - 10:42

La politica italiana è impegnata nel propagandare i propri programmi di governo, proponendo un grande futuro, ma senza adottare atteggiamenti responsabili.

Scritto da Alessio Crisantemi
Non c'è sostenibilità senza responsabilità

Mentre il mercato globale del gioco pubblico celebra in questi giorni una settimana all'insegna delle responsabilità, con il ritorno dell'evento di riferimento sulle politiche di gioco responsabile – l'Easg o European Conference on Gambling Studies and Policy Issues, quest'anno in scena a Oslo per la 13esima edizione -, al quale partecipa peraltro un discreto numero di rappresentanze italiane, quello che accade sui singoli paesi, dal punto di vista politico generale, è tutt'altro che all'insegna della responsabilità. Italia in testa, dove nel pieno di una crisi economica e politica gobale, caratterizzata da una pandemia e da un conflitto internazionale che rischia addirittura di sfociare nel disastro nucleare, i partiti hanno pensato bene di far cadere un esecutivo già in sé di “reggenza” per andare a elezioni anticipate. E nell'immancabile siparietto tipico di ogni campagna elettorale che ha caratterizzato l'estate 2022, dopo i vari colpi di scena dovuti ad alleanze siglate o sfumate, e ai toni non sempre raccomandabili con cui si delineando le varie propagande, iniziano ad emergere le prime, vere, preoccupazioni. Dentro e fuori i confini nazionali. In barba a ogni forma di (o appello alla) responsabilità.
Con Mario Draghi ormai con un piede fuori da Palazzo Chigi e le imminenti elezioni politiche, fissate al prossimo 25 settembre, l’Italia è infatti di nuovo al centro dei timori globali. A preoccuparsi, come detto, non sono soltanto i cittadini italiani, ma anche i mercati e gli osservatori (politici ed economici) internazionali. In molti ritengono che il problema che sorge adesso sia (di nuovo) quello del debito pubblico, perché è solo grazie a Draghi se il Paese è riuscito a evitare il default. Ma c'è di peggio. Sì, perché oltre al debito, ci sono una serie di altri ostacoli con cui si deve misurare oggi il paese e, dunque, il prossimo governo. Come rilevato dal quotidiano economico IlSole24ore, infatti, gli ultimi dati disponibili relativi al debito pubblico rivelano che il costo degli interessi è sceso, passando da oltre il 40 percento del gettito fiscale annuo di metà anni Novanta, al 12,4 percento della fine del primo trimestre di quest’anno. Ergo, se il Paese non è andato in default prima, non si capisce – conti alla mano - perché dovrebbe farlo adesso. Anche se, in questi mesi, i tassi sono aumentati, i costi di finanziamento sono rimasti pressoché invariati e ci vorrebbero quindi anni di tassi alle stelle e deregulation per arrivare a un vero default. E questo, francamente, non vogliamo neppure considerarlo uno scenario reale. Ecco quindi che i prinicipali rischi del “dopo” Draghi sono ben altri rispetto al deficit. Quello maggioritario, in effetti, è rappresentato dall'adozione di provvedimenti estremi, come spesso accade quando si insediano governi “nuovi” e all'insegna della discontinuità, come sembra dover accadere proprio questa volta. E come già accaduto proprio in occasione dell'ultima legislatura, con l'avvento della maggioranza parlamentare a 5 Stelle, che ha portato alle conseguenze che tutti conosciamo. Con la caduta di tre governi e all'approdo alle elezioni anticipato con cui dobbiamo misurarci oggi. Nel malcostume politico attuale che sta sempre di più caratterizzando questa indefinibile fase storica, quello che accade più o meno sistematicamente è che il nuovo esecutivo eletto – forte del suo mandato “voluto dal popolo” - per affermare la propria “sovranità”, sia tentato di adottare provveimenti “insoliti”, con il chiaro scopo di far vedere chi comanda, e l'intenzione di voler dare un vero cambiamento alle sorti del paese. Nel bene o nel male, verrebbe da dire. Lo abbiamo visto, appunto, con l'esperienza del governo Conte 1, a matrice pentastellata, che ha portato all'adozione di provvedimenti drastici e divisivi, adottati per giunta anche in conflitto con le indicazioni e warning provenienti dall'interno delle Camere e dei ministeri. Basti pensare al Reddito di cittadinanza, che continua ad essere considerato in larga parte (per come formulato e adottato) inconcepibile in un paese come il nostro. Eppure è divenuto legge. Ma si pensi anche – come non può fare a meno di fare chi lavora nel comparto del gioco pubblico – al celebre decreto Dignità, che oltre alle varie e controverse disposizioni adottate dallo stessa esecutivo, ha portato all'incredibile divieto totale di pubblicità del gioco a vincita, seppure in violazione rispetto ai dettami comunitari che raccomandavano la massima prudenza sull'adozione di misure restrittive in materia di pubblicità, visto che nel caso del gioco la promozione serve soprattutto a permettere di distinguere l'offerta legale da quella illecita o border line, più che a invitare i consumatori a spendere denaro, visto che non ne hanno davvero il bisogno. E anche se alcuni potranno osservare come tale divieto italiano può - forse - aver ispirato anche altre giurisdizioni che oggi stanno intervenendo comunque sul tema delle pubblicità, non si può fare a meno di notare come l'Italia continui a rappresentare un caso limite, isolato, un vero e proprio unicum, essendo l'unico che ha vietato tout court ogni forma di comunicazione, invece di limitare, ridurre o razionalizzare come stanno facendo tutti gli altri paesi, in Europa e nel Mondo.
Per questo, dunque, il maggior timore del momento, pensando al prossimo e ormai imminente esecutivo, è quello di potersi trovare di fronte non solo a una situazione di instabilità e precarietà politica, visto che questo sembra pressoché scontato (risultando difficile l'ipotesi di un'ampia maggioranza da parte di un unico partito): quanto, piuttosto, l'idea di doversi misurare con leggi drastiche e repentine, che potrebbero cambiare radicalmente le sorti del paese. Magari minacciando i diritti di proprietà, oppure – peggio ancora – facendo dietrofront sulle riforme attuate in questo periodo di crisi dal governo uscente, che potrebbero quindi vanificare il Piano nazionale di ripresa e resilienza e, quindi, l'arrivo di quei fondi preziosi che l'Italia era riuscita a ottenere dall'Europa. Con le imprese italiane, ma anche le amministrazioni locali, che si sono impegnate non poco per provare ad accalappiarsene una parte e provare a garantirsi un futuro, in un periodo tutt'altro che semplice da affrontare.
L'altro aspetto critico, però, è quello quasi opposto e cioè del possibile stallo governativo che si potrebbe verificare all'indomani delle elezioni e con cui potrebbe doversi misurare il successore di Draghi, chiunque esso sia. Con la difficoltà di poter attuare piani o politiche concrete, dovendosi scontare sistematicamente con le altre parti politiche, finendo col mantenere lo status quo. E anche se una situazione di questo tipo creerebbe infinite incertezze alle imprese nazionali, al contrario, darebbe continuità di fatto ai mercati, mantenendo il classico stallo che piace molto agli investitori: in cui tutto deve cambiare, purché nulla cambi.
Sta di fatto però che ad oggi, quando il voto è ormai alle porte, la composizione del prossimo governo resta ancora un'incognita. Stando ai sondaggi, Fratelli d'Italia sembra essere in vantaggio, ma l’incertezza è ancora elevata e se nessun partito dovesse ottenere una maggioranza tale da permettergli di approvare provvedimenti drastici e, quindi, potenzialmente sgraditi ai mercati, questi ne saranno sicuramente felici. E, forse, anche gli italiani: soprattutto quelli che hanno puntato o stanno puntando tutto sulla messa a terra di quel già ambizioso Piano di ripresa e resilienza.

Diversa e assai più complessa è invece – al solito – la lettura per gli addetti ai lavori del gioco pubblico. Per loro, lo sappiamo, la situazione di incertezza rappresenta sì lo status quo. Come pure, allo stesso moso, la totale manzanza di visione e prospettive per il futuro. Anche se il governo Draghi, in realtà, aveva fatto presigire un'inversione di rotta, arrivando per la prima volta a mettere nero su bianco uno schema di riforma, sia pure senza riuscire ad attuarlo. Ritrovando, anche qui, una certa continuità con il passato e con qualche precedente governo, ma di altra legislatura. Certo, va detto, non avere provvedimenti drastici, per il gioco, vorrebbe dire non correre il rischio di ritrovarsi ancora una volta alle prese con Diktat severi (e assurdi) come quello imposto dal Decreto Dignità o da altri provvedimenti “punitivi” come accaduto più volte in passato, soprattutto dal punto di vista fiscale. Ma è pur vero che stavolta, il mantenimento dello status quo, per il settore, rappresenterebbe una sorta di accanimento terapeutico, che avrebbe il solo risultato quello di tenere in vita il mercato, fin quando può durare, alle condizioni attuali. Ovvero, nell'impossibilità di effettuare le gare per il rinnovo delle concessioni, eseguire nuovi investimenti o modificare i livelli di servizi e prodotti in circolazione, a causa delle restrizioni locali. L'unica strada per il rilancio, dunque, è quella delle riforme. E non vale solo per il gioco pubblico. Nella speranza generale che almeno alla fine, anche tra i nostri politici, possa prevalere il senso di responsabilità. Ma se il buongiorno si vede dal mattino, si prevedono davvero dei giorni bui. In questo caso, lo diciamo, sarebbe davvero gradita una smentita.

Articoli correlati