C’è una notizia che ha fatto il giro mondo nelle ultime ore, in maniera istantanea, repentina, come avvengono ormai abitualmente le comunicazioni nella società contemporanea. Ovvero, il licenziamento del Ceo di Open Ai, Sam Altman: la società californiana, divenuta celebre per il lancio di ChatGpt, lanciata come una no-profit nel 2015 con il sostegno del Ceo di Tesla, Elon Musk, che a quanto pare ha investito 1 miliardo di dollari nel progetto. Fino a poche ore fa, Altman era uno dei Ceo più importanti della Silicon Valley, e forse dell’intera industria tecnologica globale. Proprio per questo, il suo licenziamento, disposto dal Cda dell’azienda, è diventato un vero e proprio caso globale. Anche perché è avvenuto proprio nel giorno in cui in Europa nasce il primo laboratorio sull’Intelligenza Artificiale (AI), che in qualche modo sembra voler seguire le orme di OpenAI. Ed è così che la news ha presto fatto il giro del mondo, sconvolgendo, però, l’intero universo del business e l’intero ecosistema tecnologico mondiale, visto che tutti gli ultimi sviluppi nel settore sembrano in qualche modo legati o comunque conseguenti all’invenzione di ChatGpt.
Anche il mondo del gaming, a livello globale, è alle prese con lo studio, l’analisi e l’implementazione dell’intelligenza artificiale, a tutti i livelli. A partire da quello regolamentare e non solo di business, che rappresenta una nuova, enorme sfida. Ma mentre tutto questo avviene (nell’industria e in OpenAi), in Italia l’industria del gaming è sconvolta da un altro avvenimento: ovvero la fuoriuscita da Palazzo Chigi della prima bozza del prossimo decreto attuativo della legge delega, contenente i dettami del prossimo bando di gara per il rilascio delle concessioni online. Un testo fortemente discusso e criticato da parte dei rappresentanti del comparto, per via della sua impostazione generale e, in particolare, di alcuni punti che appaiono centrali nel decreto, relativi ai requisiti minimi per l’accesso alla gara. Secondo il testo di legge, nella sua prima stesura (che comunque è stata più o meno rimangiata dal Mef) ogni concessione costerà 7 milioni di euro (rispetto ai 300mila attuali) oltre a un canone concessorio del 3 percento annuo sul margine lordo della raccolta (giocate – vincite – imposte). Ogni gruppo societario potrà partecipare per massimo cinque concessioni, con un unico “brand” commerciale per singola Concessione. Tralasciando quindi, in questa sede, le ulteriori disposizioni relativa ai Pvr (Punti di Vendita Ricariche) e altri adempimenti in capo ai concessionari, è evidente come gli oneri previsti per le nuove gare potrebbero determinare l’espulsione dal mercato della stragrande maggioranza dei concessionari italiani attualmente operanti (in tutto sono 85 le concessioni vigenti), per l’impossibilità di sostenere costi così elevati, con le drammatiche dirette conseguenze di perdita di posti di lavoro e di presidio della legalità sul territorio.
Secondo molti, infatti, una gara di questo tipo potrebbe avere conseguenze notevoli all’interno dell’industria italiana: questo perché, con tali requisiti di accesso, solo pochi colossi (“nazionali” ed esteri) potranno partecipare ai nuovi bandi (con più concessioni) sbaragliando in questo modo la concorrenza delle Pmi Italiane. Ma i veri rischi per lo Stato potrebbero essere diversi: a partire dalle entrate erariali che potrebbero risultare anche molto inferiori alle previsioni formulate dal Ministero. Con l’ulteriore, drammatica, conseguenza che in questo caso si andrebbero inevitabilmente – sia pure indirettamente - a rafforzare i canali distributivi di gioco illegale (i cosiddetti “.com”), che abbiamo visto essere ancora molto presenti e difficile da sterminare, come hanno tristemente evidenziato anche le ultime vicende di cronaca di alcuni sportivi professionisti.
Bisogna infatti sottolineare che, nonostante si parli di una gara di livello internazionale, che come normative Ue vuole deve essere necessariamente aperta a tutti gli operatori del mercato economico europeo (e non solo), anche se il gaming italiano interessa potenzialmente qualunque gruppo mondiale, è difficile immaginare che possano affacciarsi sul nostro mercato nuovi grandi gruppi dall’esterno, andando a compensare l’eventuale perdita di candidati dal nostro paese. Essendo praticamente impossibile poter avviare una nuova attività e un nuovo brand di gioco sul territorio nazionale, essendo ancora vigente un divieto totale di pubblicità, promozione e comunicazioni del gioco d’azzardo, come voluto dal ben noto decreto Dignità.
Per questo, come chiesto ed evidenziato dalle associazioni di categoria in maniera congiunta, in assenza di un riordino complessivo dell’intero settore della raccolta di giochi pubblici, che comprende quindi sia il mondo online che quello terrestre, diventa impensabile poter bandire qualunque tipo di gara. Se non con gli effetti (devastanti) sopra indicati. E con lo scenario alquanto nefasto evidenziato dalle associazioni di un ulteriore rischio, rappresentato dal probabilmente definitivo “Ko” della filiera di gioco terrestre (apparecchi in pubblici esercizi e sale dedicate) che rappresentano ancora oggi oltre il 60 percento delle entrate erariali con oltre 150mila di addetti e migliaia di aziende distribuite sul territorio.
Cosa c’entra tutto questo con l’intelligenza artificiale e il caso di OpenAi di cui si parlava in apertura? C’entra eccome. Non soltanto perché, come indicato, ciò avviene mentre l’intera industria globale sta studiando gli effetti, in termini di impatti e di impieghi dell’IA nel settore, ma anche e soprattutto perché tali scenari sembrano non essere presi in considerazione, in maniera seria e avanzata, all’interno del nuovo testo di legge italiano che potrebbe approdare in Consiglio dei Ministri proprio questa settimana (anche se, ad oggi, appare improbabile vederlo comparire sui banchi governativi, essendo a quanto pare in fase di riscrittura). Al di là delle singole criticità – tutt’altro che banali – che possono essere rilevate nella prima stesura del decreto e sui requisiti di accesso alla gara, ciò che forse stona più di ogni altra cosa, nell’analisi di questo testo, è la mancanza di una visione, di uno sguardo al futuro del settore e al nuovo scenario competitivo in cui si trova immersa non solo l’industria ma anche il consumatore moderno. Tenendo conto che le nuove regole che vengono scritte oggi per il settore dovranno essere mantenute quanto meno per i prossimi dieci anni. In questo senso, dunque, il testo di legge appare già “vecchio” sul nascere, nascendo in maniera forzata, raffazzonata e forse anche scomposta, figlio di una situazione politica ed economica tutt’altro che semplice, ma che proprio per questo merita una maggiore attenzione. Richiedendo molto più tempo di quello che si è preso l’esecutivo, preoccupato come al solito soltanto di racimolare fondi da inserire in manovra.
Eppure la storia di OpenAi dovrebbe ricordarci ancora una volta la repentina velocità con cui variano oggi gli scenari tecnologici, competitivi e industriali nel panorama globale: e anche di questo bisognerà tenere conto, all’interno di una riforma degna di tale nome. Sapendo anche che l’intelligenza artificiale non è soltanto utilizzata e utilizzabile dall’industria e – volendo – dallo Stato nelle attività di controllo, ma anche dalla criminalità per lo sviluppo delle sue attività sul territorio. Meglio quindi prendersi un momento in più per riflettere e capire come sistemare le cose una volta per tutte, nel settore del gioco pubblico italiano. A meno che non si vuole chiedere a ChatGpt come regolamentare efficacemente il settore.