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Tra assembramenti e deserti: Natale di beffe per i giochi

14 dicembre 2020 - 10:25

Mentre le sale da gioco restano serrate da mesi, gli italiani continuano ad assembrarsi tra shopping e movida: un duplice schiaffo per gli operatori che però vedono la luce.

Scritto da Alessio Crisantemi
Tra assembramenti e deserti: Natale di beffe per i giochi

Da Torino a Napoli, passando per Milano, Roma e tante altre città (grandi o piccole) della Penisola, si succedono una serie di immagini di gente accalcata nei negozi o nelle strade, davanti alle vetrine o di fronte ai bar in orario aperitivo. Immagini che fanno terrore, se affiancate a quelle delle terapie intensive negli ospedali, ma che suscitano anche grande rabbia se guardate insieme ai dati che riguardano il contagio da Coronavirus nel nostro paese, oltre a quelli della mortalità. Figuriamoci poi cosa dovrebbe provare (e sta provando) in queste ore un operatore del gioco pubblico: alle prese con la più grossa crisi economica di tutti i tempi, senza poter fare nulla per tentare di salvare la sua attività, con la saracinesche dei locali di intrattenimento che devono rimanere chiuse, senza alcuna condizione, almeno fino al prossimo 15 gennaio. Creando delle aree deserte in determinate zone delle città, che cozzano appieno con le masse dello shopping. Con la possibilità, peraltro, che il termine previsto dall'ultimo Pdcm del 3 dicembre possa essere ulteriormente spostato in avanti, nel caso in cui i contagi dovesse riprendere a salire, dopo le festività. Da qui l'ulteriore rabbia che si aggiunge all'inevitabile frustrazione e al senso di totale impotenza degli addetti ai lavori, nell'evidente discriminazione che ha sempre svilito il comparto, fin dal primo momento della pandemia, quando le attività di gioco sono state immediatamente chiuse, senza sé e senza ma. Sulla base di un maldestro (e incoerentemente applicato) principio di “essenzialità” di un'attività economica in virtù del quale l'esecutivo ha deciso il mantenimento o meno dell'esercizio di alcuni settori. Senza che nessuno si sia mai preoccupato delle esigenze della categoria dei lavoratori del gioco, per i quali – al contrario – quelle attività sono più che essenziali. Per non dire vitali, come lo sono per l'intero indotto (circa 150mila lavoratori) che dal gioco traggono il proprio pane quotidiano. Nonostante gli infiniti (e spesso insopportabili) dibattiti sulla riapertura o meno delle piste di sci, che hanno seguito quelli sugli stadi, sui centri commerciali e addirittura – nei mesi precedenti – anche sulle discoteche, nessuno si preoccupa dei locali di gioco. Introducendo, evidentemente, dei “livelli essenziali di intrattenimento”, che dovrebbero permettere al legislatore di valutare quale attività riaprire tra quelle del campo del cosiddetto “fuori casa”.

Ci sarebbe da ridere, nel giudicare l'atteggiamento del governo (e di molti governatori regionali) nei confronti del gioco e di altre attività, se non fosse così maledettamente drammatica questa situazione: sia per le tante vittime del Covid-19 - che scaturiscono anche da certi atteggiamenti scellerati di politica e cittadinanza – ma anche per quei lavoratori che devono trascorrere il Natale in cassa integrazione, pur assistendo a tale scempio, fatto di strade piene e negozi che trabordano persone. Tutto questo di fronte alla realtà (e non all'opinione), più volte dimostrata e declamata dalle associazioni di categoria, dei locali di gioco caratterizzati da elevati livelli di sicurezza e da contenute frequentazioni, che avrebbero probabilmente permesso una perfetta continuità di queste attività senza arrivare alla chiusura autunnale che si sta rivelando sempre più una vera e propria beffa, più che una precauzione. Non essendo accompagnata da alcuna coerenza nelle ulteriori iniziative governative sulle riaperture. 
Non è dunque un caso se pure il Tribunale amministrativo del Lazio – sempre “fedele” alla linea rigorista dell'esecutivo durante la pandemia e raramente incline alle istanze del comparto giochi – arriva ad “ascoltare” la voce degli addetti ai lavori. Pur respingendo – finora – tutte le richieste di sospensione provenienti dal settore nei confronti degli ultimi Dpcm di chiusura, il Tar del Lazio ha comunque aperto un importante spiraglio sul fronte dei ricorsi, imponendo alla Presidenza del Consiglio di depositare i verbali delle sedute del Comitato tecnico-scientifico per valutare legittimità dei Dpcm che hanno imposto chiusura delle attività di gioco. Un modo per vederci più chiaro, prima di prendere una nuova e ulteriore decisione sulla materia, fissando una trattazione collegiale che avverrà in camera di consiglio il prossimo 13 gennaio 2021. Data che, come detto prima, potrebbe rivelarsi "inutile” dal punto di vista delle riaperture, pensando alla scadenza delle misure restrittive fissata ad oggi al prossimo 15 gennaio, ma che potrebbe diventare addirittura cruciale nel caso in cui, al contrario, le restrizioni dovessero essere ulteriormente prorogate. In attesa, magari, del vaccino e di tempi (e numeri) migliori in termini di contagio.
Del resto, i segnali di schiarita - o, al contrario, di offuscamento della linea governativa – erano già arrivati dalla precedente pronuncia del tribunale capitolino, nella quale veniva sì respinta la richiesta degli operatori, ma introducendo un principio particolarmente rilevante durante la trattazione come quello della “limitatezza temporale” delle misure restrittive adottate dall'esecutivo per il contenimento del virus e la tutela della salute. Come a dire: non potete lamentarvi di rimanere chiusi, se ciò avviene in un periodo breve (e nel frattempo venite anche “ristorati” dall'esecutivo) che, all'epoca, veniva individuato nel periodo di un mese inizialmente stabilito dal precedente Dpcm. Peccato però che adesso le settimane di chiusura continuano a susseguirsi, come pure i decreti restrittivi, mentre nel frattempo vengono allentate le maglie su vari fronti, provocando (in)evitabili assembramenti. E troppi mal di pancia, per i quali si dovrà comunque trovare una cura.
E' dunque giunto il momento di occuparsi – in un modo o nell'altro – anche del gioco pubblico: se non sarà il governo a farlo, quindi, toccherà ancora una volta ai giudici e ai tribunali vestire il ruolo di supplenti di un legislatore sempre poco attento, e che continua ad abdicare i propri poteri, non soltanto di fronte alle regioni. Salvo poi pagarne le spese, a tutti i livelli. Solo che adesso il conto è davvero troppo salato. Lo è per gli operatori del gioco ma lo è pure per l'intero paese, com'è evidente dai numeri che caratterizzano la manovra di bilancio multi miliardaria che si sta concretizzando in queste ore in Parlamento: per la cui definizione sono ormai del tutto indispensabili i soldi prometti dalla Commissione europea attraverso il Recovery fund, senza i quali non potremmo mai ripartire. Altro motivo per cui appare ancora più urgente e necessario occuparsi del gioco: non solo in chiave di ripartenza ma anche – e soprattutto – in ottica di riordino. Ricostruendo l'economia anche attraverso questo settore, che sarà pure scomodo, ma comunque utile e rispettabile, nonché strategico dal punto di vista dell'ordine pubblico e della sicurezza, in Italia come in qualunque altro paese dell'Occidente.

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