Il caso delle sale lan in Italia ha portato sotto gli occhi di tutti una realtà fin troppo evidente, ma fino a ieri solo agli addetti ai lavori: o, meglio, due. La prima è quella degli “esports”, le competizioni di videogame che vengono disputate su videogame normalmente di uso domestico, spesso anche all'interno di locali pubblici o circoli, finora sconosciute agli occhi dell'amministrazione; mentre la seconda è la mancanza di un'opportuna regolamentazione sia per quanto riguarda gli stessi sport elettronici, ma anche – e soprattutto – per quanto riguarda l'offerta di questo tipo di giochi al pubblico. Un vuoto normativo (ma non certo l'unico) all'interno di una iper-regolamentazione di un comparto come quello dell'intrattenimento, da sempre assimilato all'intera industria del gioco pubblico e, quindi, affidato al controllo dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, pur rappresentando una realtà ben diversa rispetto a quella del cosiddetto “azzardo”, affidato in concessione ad una schiera selezionata di operatori.
Il trait-d'union tra i due segmenti è rappresentato dal Testo unico di pubblica sicurezza il quale disciplina, all'articolo 110, tutte le forme di gioco che è possibile ospitare nei locali. Distinguendo, appunto, tra giochi con vincita in denaro (al comma 6, con varie declinazioni) e quelli senza vincita (comma 7, anche qui, sotto a varie declinazioni). Una classificazione normativa coerente con le prerogative dello Stato di controllo e presidio dell'offerta per la tutela della legalità e dell'ordine pubblico, dunque comprensibile, tenendo conto del passato che ha caratterizzato l'offerta di gioco – prima della sua regolamentazione – quando si potevano incontrare dei temibili “videopoker” nascosti all'interno di finti videogame arcade trasformati in dispositivi di azzardo. Motivo per cui il legislatore ha pensato bene, a suo tempo, di sottoporre l'intero settore a un controllo serrato, anche preventivo, di tutto ciò che poteva essere installato nei locali pubblici, sottoponendo ogni apparecchi a un processo di certificazione e omologazione, con opportuno rilascio di certificato amministrativo per l'autorizzazione all'esercizio. Un sistema complesso e macchinoso, ma necessario per evitare le derive di cui sopra, con il possibile taroccamento dei videogame in dispositivi di azzardo.
Solo che adesso, a distanza di quasi venti anni dalla legalizzazione del comparto, i videopoker sono solo (e per fortuna) un triste e lontano ricordo: come pure i videogame all'interno dei pubblici esercizi, che sono pressoché scomparsi e ormai destinati quasi e unicamente alle sale giochi, bowling o Fec, quindi alle location dedicate alle famiglie, dove l'azzardo non trova spazio e, soprattutto, dove i giochi sono diventati ormai talmente complessi ed evoluti (si pensi alle attrazioni come simulati di guida, di spari o di realtà virtuale), e pure costosi, che difficilmente potrebbero essere alterati nel funzionamento per ospitare qualcosa di illecito. Da qui la necessità, più volte richiesta a gran voce dagli addetti ai lavori, di prevedere uno snellimento delle norme, per evitare la scomparsa di un settore sempre più in difficoltà e che dovrebbe invece essere tutelato e favorito dal legislatore, andando a rappresentare l'unica vera alternativa al gioco d'azzardo. Ed è proprio all'interno di questo ragionamento che gli stessi addetti ai lavori del comparto “Amusement”, da qualche tempo (sia pure, forse, troppo timidamente), continuano a chiedere la separazione del loro settore di competenza da quello del gioco a vincita, magari affidandone la competenza a un altro ministero, come per esempio quello dello Sviluppo economico (Mise), già competente – per esempio – in materia di concorsi a premio. Sapendo, peraltro, che il legislatore già negli anni precedenti aveva promesso di doversi occupare della regolamentazione delle ticket redemption e delle operazioni a premio che spesso ne accompagnano l'offerta nelle sale giochi, questa migrazione di competenza era sempre apparsa come un obiettivo ragionevole per gli operatori. Ma mai, a quanto pare, per il legislatore, che non se ne è mai occupato, fino al punto da procedere – al contrario – con una revisione normativa delle regole di omologazione di giochi, sempre affidata al Monopolio, introducendo regole ancora più rigide e severe, che sono finite col passare in omologa (addirittura) anche flipper e calcio balilla.
Se, fino ad oggi, le richieste e le lamentele degli addetti ai lavori sono rimaste pressoché inascoltate, adesso c'è stato il colpo di scena delle sale lan (scaturito, non a caso, proprio dalla denuncia di un operatore Amusement) a riaprire il dibattito sul tema. Portando la questione dell'intrattenimento nei locali – sia pure sotto altre forme e modalità – sotto i riflettori. Al punto che il regolatore, oltre ad aver emanato in tempi da record un provvisorio inquadramento di tutte le attività di gioco diverse dalle normali fattispecie già considerate dal Testo unico di pubblica sicurezza, starebbe pensando anche di rivedere l'intero impianto normativo al fine di intervenire anche in modo diretto (e non solo indiretto) sull'intero settore degli esports.
Che sia questa la giusta via per tutelare adeguatamente tutti gli interessi, pubblici e privati, dietro a queste operazioni di gioco e a queste forme di intrattenimento? Di certo i punti di contatto sono molteplici: non solo perché le competizioni di videogame, come detto, vengono spesso giocate anche all'interno di locali pubblici o privati, la cui competenza e a tutt'oggi di Adm: ma anche perchè sulle competizioni ufficiali di videogame, ovvero sulle manifestazioni sportive internazionali riconosciute, si può addirittura scommettere (anche in Italia, sia pure sotto ad alcune importanti restrizioni). Con la possibilità anche che questo tipo di offerta possa esplodere nei prossimi anni, specialmente con l'approdo degli esports alle Olimpiadi. Allora, è opportuno farsi trovare preparati, come il Legislatore non è mai stato finora.
Ma la domanda che ora è lecito porsi è dunque un'altra: non sarà forse arrivato il momento di separare davvero i due mondi tra i due ministeri? Da un lato quello a vincita, affidato ad Adm, quindi al Mef, e dall'altro quello senza vincita, affidato al Mise: naturalmente dietro a un confronto e a un dialogo serrato tra le due amministrazioni per via delle inevitabili competenze richieste da questo processo.
Tenendo anche conto che l'industria degli esports, completamente diversa e ben distante da quella del gioco pubblico, stava già tentando un percorso di regolamentazione attraverso il Mise, l'ipotesi potrebbe essere quella di unire Amusement ed Esports sotto un ministero, lasciando soltanto il mondo dell'azzardo all'Agenzia delle Dogane, che sul punto ha già un bel da fare.
L'ipotesi è suggestiva, ma difficilmente verrà presa in considerazione dal legislatore, che ha anch'esso ben altro da fare, in questo particolare momento storico. Ma allora, se non ci sarà questo passaggio, che si punti allora all'emanazione di una vera riforma del settore del gioco, quell'atteso riordino ormai accantonato (e per l'ennesima volta) dall'esecutivo, andando a inserire in questo contesto e in quel nuovo paradigma anche un'adeguata regolamentazione dell'Amusement, con un passaggio anche sugli esports. Rivedendo, con l'occasione, non soltanto il Tulps, ma magari creando un testo unico interamente dedicato alla materia gioco. Come si chiede, anche qui, da molto tempo. Troppo, a dire il vero.
(Foto di Peggy und Marco Lachmann-Anke da Pixabay)