Una proposta che arriva da vari scranni e sembra diventare, nelle ultime ore, il nuovo leitmotiv della campagna anti-gioco esercitata da vari politici e amministratori locali. Al punto da ritrovarla in atti parlamentari, leggi regionali e, peggio ancora, nei piani regolatori degli impianti pubblicitari, come avvenuto nella Capitale. E poiché la divulgazione di una teoria non corrisponde necessariamente alla bontà della stessa, è opportuno fermarsi a riflettere (e, magari, a far riflettere la nostra classe dirigente) sui rischi che si correrebbero qualora certi principi venissero applicati fino in fondo e a livello generale.
Senza soffermarsi troppo sulla violazione dei principi di libera circolazione dei servizi e sulla limitazione alla libertà di impresa che tali restrizioni comporterebbero – con conseguenti danni alle imprese che, fino a prova contraria, esercitano un'attività autorizzata dallo Stato e in nome di esso, per giunta, in virtù del rapporto concessorio che regola il mercato – bisogna prima di tutto evidenziare la carenza di efficacia di tali misure proprio in termini di prevenzione e di tutela dei consumatori. Rappresentando, addirittura, un serio pericolo in senso opposto. E per gli stessi principi per cui sappiamo che non si può rinunciare all'offerta di gioco pubblico: cioè, ancora una volta, per la diffusione dell'illegalità. Nonostante la grandissima diffusione del gioco lecito – ritenuta, appunto, eccessiva – non si può (e non si deve) dimenticare che sul territorio esiste ancora oggi una grande offerta di gioco illegale o non autorizzato. Basti pensare alle bische clandestine che ancora oggi esistono, seppure in numeri assai più limitati rispetto al passato (con una diminuzione, peraltro, dovuta proprio all'esistenza di un'offerta legale), o alle sale di scommesse che operano senza concessione (che risultano essere oltre 5mila in Italia a fianco delle circa 9400 agenzie regolari) o, ancora, ai circoli in cui si gioca (illegalmente) al poker live. Ebbene, per distinguere tra l'offerta di gioco dello Stato – quella che porta entrate erariali e garantisce ai giocatori la certezza delle vincite secondo a criteri ben definitivi e certificati – e quella che va 'contro' lo Stato, l'unico strumento in mano all'industria e proposto ai consumatori è proprio quello della pubblicità. Se le offerte di gioco non regolari continuano a insediarsi sui territori e a trovare appeal sul pubblico, sfruttando la mancanza di consapevolezza tra i cittadini (e le amministrazioni, diciamolo pure) e l'inefficacia delle norme, l'unica cosa che non possono fare liberamente è la pubblicità. O, meglio, non potrebbero farlo, visto che anche in questo caso si riescono a trovare spazi, seppure in violazione delle norme nazionali, come si vede andando allo stadio e osservando le tante proposte di pubblicità di scommesse fuori concessione. O guardando i manifesti per le strade che troppo spesso riportano le promozioni di locali non del tutto legittimi. Ma sui giornali, sulle riviste e in tv (ossia, dove i controlli e le sanzioni sono assai più severi), diventa molto più difficile far passare messaggi pubblicitari di prodotti di gioco o locali non autorizzati. Vietare tout court la promozione del gioco lecito, quindi, significherebbe equipararlo a quello illegale. Rendendo così impossibile ai cittadini riuscire a distinguere tra cioè che è legale e ciò che è border line. Vanificando, pertanto, i numerosi sforzi compiuti in questi anni – o che si andranno a compiere – in termini di prevenzione e i cultura della legalità.
Per questo è opportuno, ancora una volta, fare i conti con la realtà, e proporre soluzioni che siano davvero efficaci e in grado di tutelare i cittadini. Evitando le soluzioni facili che raramente portano ai risultati auspicati. Coinvolgendo, magari, anche l'industria nella definizione di un certo tipo di norme - che certo aiuterebbe a far comprendere i rischi a cui si andrebbe incontro in termini di illegalità - e studiando soluzioni adeguate in termini di prevenzione. Per una vera e più efficace educazione al consumo. E per una politica, e non solo un gioco, davvero responsabile.