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Come governare il gioco senza il Governo (e le Camere)

02 gennaio 2018 - 08:43

Con lo scioglimento delle Camere e la fine anticipata della legislatura la questione territoriale del gioco pubblico rimane aperta: ma, forse, ancora per poco.

Scritto da Alessio Crisantemi

Il presidente della Repubblica ha sciolto le Camere. Insieme al 2017, quindi, ad andare in archivio è anche la diciassettesima legislatura, che giunge al termine dopo cinque anni movimentati, con l’alternarsi di tre governi e una serie di vicissitudini, per il comparto del gioco pubblico. Con il tema centrale caratterizzato dalla cosiddetta “Questione territoriale”, attorno alla quale ruotano tutti i problemi del settore.

Peccato però che nonostante i diversi tentativi e la volontà dell’Esecutivo di chiudere la partita con gli enti locali sulla regolamentazione del mercato prima di andare alle elezioni, la situazione non sia ancora stata risolta, rimanendo sul tavolo dei lavori da chiudere, e col rischio di finire nel cassetto. Il governo guidato da Paolo Gentiloni, però, resterà formalmente in carica solo per l’ordinaria amministrazione: e poi, quando dovrà dimettersi nel momento in cui si formeranno le nuove Camere - a fine marzo, in teoria, con il voto del 4 - resterà per sbrigare gli affari correnti.

Non esiste quindi un vuoto di potere a Palazzo Chigi dopo la decisione di Mattarella (con lo stesso Esecutivo che dovrà emanare anche il prossimo Def di aprile, se non si sarà ancora formato un nuovo governo) al punto che il premier potrà emanare anche decreti legge, ma solo in caso di urgenza, per fronteggiare eventi straordinari.
 
Non è ancora chiaro, in questo scenario politico di transizione, se il gioco rientra tra i lavori di normale amministrazione da portare a termine prima del voto (né tanto meno se la materia potrebbe consentire anche l’emanazione di decreti di urgenza): anche se, tenendo conto di quanto accaduto (e non) in questi ultimi sette anni della morente legislatura, per gli addetti ai lavori del settore ci sarebbe quasi da auspicare che il Governo accantoni la materia. Con l’approvazione della legge di Bilancio per il 2018, infatti, è previsto – ex lege – che le regioni “adeguano le proprie leggi in materia di dislocazione dei punti vendita del gioco pubblico all'intesa sancita in sede di Conferenza unificata in data 7 settembre 2017”. 
 

Allo scopo di “consentire l'espletamento delle procedure di selezione per il rilascio delle nuove concessioni”: ovvero, bingo e scommesse in agenzia. Una misura che, se rispettata, basterebbe a risolvere una volta per tutte la Questione territoriale, imponendo l’attuazione degli accordi presi tra Governo ed enti locali. Ciò significa, legge alla mano, che i prossimi governi dovranno attuare tutta una serie di previsioni normative relative alla distribuzione dei giochi, limitandola significativamente nei numeri: ma gli stessi enti locali, dal canto loro, dovranno modificare inevitabilmente le loro leggi e norme in modo tale da garantire quegli accordi. Ecco quindi che, sulla base di tali indicazioni legislative, le leggi regionali come quelle del Piemonte non potranno rimanere in piedi così come sono. E se non sarà l’amministrazione locale a prenderne atto, sarà un tribunale o una Corte, con tutta probabilità, ad imporlo: facendo quindi in modo che la legge venga rispettata. Certo, è evidente, la soluzione migliore sarebbe quella di un’unione di intenti “reale” tra Governo ed enti locali, e di un’azione preventiva: in modo da adeguare le leggi regionali, senza mandare perduti i buoni principi emersi, seppure solo in parte, in questi ultimi mesi e anni e quelle misure positive che gli enti locali hanno saputo adottare, in qualche caso, soprattutto in termini di prevenzione. Ma l’avvio della campagna elettorale promette battaglie dialettiche e promesse programmatiche che difficilmente porteranno a una soluzione concreta e a qualche passo indietro, da parte di qualunque delle parti in causa. Anche se il nuovo passaggio in Conferenza unificata previsto per il prossimo undici gennaio potrebbe rappresentare un’opportunità. Ma solo sulla carta. E, forse, per l’industria stavolta è meglio così.

 

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