Gioco pubblico: prove tecniche di normalità
L'industria del gioco continua ad essere vista in modo critico, superficiale, anomalo: colpa anche dei suoi componenti: ma qualcosa, forse, sta finalmente cambiando.
“Penso che il solo fatto di dover chiarire il concetto di gioco legale rappresenti, se non un fallimento, ma è un’anomalia. Il gioco pubblico non può essere illegale. Questo già la dice lunga sulla percezione che dobbiamo combattere”. Sono le parole con cui il Presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, è intervenuto all’Assemblea pubblica “Una riforma condivisa nell’interesse del Paese”, di qualche giorno fa. Evidenziando l'anomalia alla base di tutti i problemi del gioco pubblico, che risiede cioè nella percezione distorta che ha l'opinione pubblica rispetto alla realtà di un comparto. Parole che fanno riflettere (o, almeno, così vorrebbe la logica, oltre alla prassi politica di un tempo), ma non a tutti. Non quella parte di governo (e Parlamento) che continua ostinatamente a scagliarsi contro il settore, come se rappresentasse il peggiore dei mali per la comunità e per il paese.
Del resto, non si tratta certo dell'unica anomalia che contraddistingue il comparto del gioco pubblico. Anzi. Analizzando il settore con un minimo di attenzione, emergono chiaramente una moltitudine di situazioni anomale e, spesso, addirittura surreali. Si pensi ad esempio alla frammentazione e alla separazione interna che esiste nella filiera: altra caratteristica, questa, senz'altro diffusa nel nostro paese e che accomuna ancora una volta tanti settori dell'economia, ma che trova nel gioco pubblico, ancora una volta, una delle sue massime espressioni. Altro aspetto che non è affatto sfuggito al leader di Confindustria, il quale ha sottolineato la necessità di “fare squadra”, ricordando quanto sia “necessaria una riforma condivisa”, e quanto sia “importante anche la tempistica entro cui farla”. Invitando gli addetti ai lavori e la politica a “trasformare la confusione in coerenza e fiducia. Mettere al centro un fine comune, che è il lavoro e l’occupazione. Se vogliamo cercare di capire come questo settore può contribuire alla ricchezza del Paese, ad un incremento occupazionale, c’è un problema di linguaggio, metodo e merito. Non bisogna individuare le colpe, ma costruire un percorso”. Parole sante, verrebbe da dire. Con l'auspicio che possano anche essere messe in pratica, un giorno o l'altro.
Di buono, va detto, c'è già il semplice fatto che la stessa Confindustria, attraverso la Federazione Sistema Gioco Italia, ha mosso un primo passo chiamando all'adunata le principali organizzazioni che rappresentano la filiera, invitando alla propria Assemblea pubblica anche Confesercenti e Confcommercio, in un incontro organizzato “per permettere alle rappresentanze di confrontarsi con le istituzioni sullo stato del settore del gioco legale e sul suo necessario riordino nell’interesse dei consumatori, delle istituzioni, degli operatori e delle imprese”. Un evento che, nel settore, ha qualcosa di straordinario, se non fosse così maledettamente normale, addirittura “scontato”, in qualunque altro comparto. E nonostante l'evidente tardività con qui la filiera sembra mostrarsi matura e disponibile a un dialogo e confronto aperto, a tutti i livelli e tra tutti i soggetti, è pur sempre un (nuovo) inizio. Che rappresenta una prima prova concreta non solo di dialogo e di confronto, ma di normalità. La principale caratteristica che continua a mancare a questo settore e il primo obiettivo da dover perseguire, a tutti i livelli.