Il popolo vuole risposte: il gioco, pure
All'indomani delle elezioni regionali (e del referendum) si delineano nuovi scenari per governo e parlamento, ma anche per il gioco pubblico.
Dopo il sostanziale pareggio con cui si è conclusa la partita elettorale giocata in occasione delle elezioni Regionali - di cui abbiamo già analizzato le possibili conseguenze per il mercato del gioco pubblico, ancora osteggiato dall'annosa “Questione territoriale” - ciò che appare con estrema chiarezza è il messaggio lanciato dagli italiani attraverso le urne. Anche in virtù del verdetto del referendum costituzionale che ha accompagnato le elezioni locali: dove la vittoria del “Sì” al taglio del parlamentari vede affermarsi il principio ideologico gridato a gran voce, fin dalle origini, dal Movimento 5 Stelle (consentendo all'auto-proclamato “nemico” numero uno del comparto, Luigi Di Maio, di riprendersi la scena), pur rendendo comunque evidente che il Movimento non può più vivere di sola antipolitica. Sì, perché, nonostante il palese risentimento manifestato dalla cittadinanza nei confronti della “casta” e di un certo modo di fare politica, emerge con altrettanta chiarezza che il populismo – pur continuando ad avere una certa presa sugli elettori – ha cambiato forma ed espressione. E, forse, anche gli obiettivi. Dopo i tanti strali e i troppi annunci, spesso anche non corrisposti da fatti, è arrivato il momento di dare risposte concrete al paese, magari anche attraverso (vere) riforme. Ora che anche i capisaldi del Movimento cominciano a scricchiolare, mettendo in evidente tutta la limitatezza delle proposte che avevano raccolto grande consenso nella precedente campagna elettorale, non c'è più spazio per tutte quelle battaglie puramente ideologiche che il consenso non lo hanno neppure mai avuto, pur essendo state comunque assimilate di default dagli elettori a 5 Stelle, anche senza crederci del tutto. Proprio come avvenuto con la battaglia “anti-gioco”: che non ha certo trovato oppositori, fin dalle sue origini, visto che non c'è niente di male nell'invocare la tutela dei consumatori o della salute, come viene sistematicamente annunciato quando si deve inveire contro il settore. Ma adesso, a distanza di anni, si è ormai palesata l'inconsistenza di certe battaglie, soprattutto nel gioco: dove i vari territori che hanno dato spazio alle rivendicazioni a 5 Stelle hanno dovuto fare marcia indietro per manifesta inapplicabilità ma anche per il disastro occupazionale che certe disposizioni avrebbero provocato e senza alcun beneficio per la comunità. Anzi. Anche a livello nazionale comincia a essere evidente l'inconsistenza e criticità di altre misure, come quella del divieto di pubblicità voluto dallo stesso Di Maio con il decreto Dignità, che passerà alla storia, forse, più che altro per le frasi a dir poco “buffe” con cui è stato accompagnato: tipo quella (celebre) dell'abolizione della povertà. Peggio ancora guardando alle conseguenze provocate dall'argomento cult del Movimento: ovvero, il Reddito di cittadinanza. Alla luce della recente inchiesta di Goffredo Buccini e Federico Fubini per il Corriere della Sera in cui viene messo in evidenza come tale misura di (presunta) assistenza nei confronti della fasce deboli della popolazione si sia dimostrata un autentico flop, andando addirittura ad alimentare il lavoro nero.
Questo, del resto, è l'inevitabile destino di tutte le misure scaturite da iniziative di stampo puramente elettorale, adottate sui due piedi senza alcuna reale analisi di impatto sulla società e sull'economia reale del paese. Senza preoccuparsi delle distorsioni o alterazioni che possono essere causate in termini di mercato, di concorrenza e, quindi, di economia e benessere generale. Basta guardare, di nuovo, a cosa è accaduto al settore del gioco pubblico dopo l'adozione del decreto Dignità, che è finito col favorire il gioco illecito: oppure, ancora, all'introduzione delle restrizioni locali, quando il governo (precedente) è riuscito addirittura ad elevare a norma nazionale anche una misura palesemente incoerente con il diritto costituzionale come quella del bollino “no-slot” per i locali pubblici (quando le stesse slot rappresentano un prodotto dello Stato, offerto in concessione).