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La nuova faccia del gioco pubblico (e del governo)

15 luglio 2019 - 08:49

Dopo un primo anno caratterizzato da un approccio marcatamente proibizionista, il governo guarda al gioco da un'altra prospettiva e apre a nuovi giochi: oscurando gli altri.

Scritto da Alessio Crisantemi

 

Un anno fa entrava in vigore il ben noto decreto “Dignità”, voluto fortemente dal vice premier Luigi Di Maio e attuato dall'allora neoeletto Esecutivo, che sanciva il divieto totale di ogni forma di pubblicità e comunicazione del gioco con vincita in denaro, traducendo in legge le logiche proibizioniste sbandierate dal Movimento 5 Stelle durante la lunga campagna elettorale che lo aveva visto diventare il primo “partito” del paese, fino a conquistare (un pezzo di) Palazzo Chigi. Nonostante l'evidente ridimensionamento rispetto alle promesse del giorno prima, quando il Movimento prometteva, a dirla tutta, la totale abolizione del settore, più che della sola pubblicità – salvo poi rendersi conto dell'assurdità dell'idea –, con quel provvedimento, emanato in nome della Dignità dei cittadini e dei lavoratori, il governo confermava nei fatti la sua dichiarazione di guerra all'industria del gioco. Andando così a togliere Dignità, e non a portarla, a tutti quei cittadini e lavoratori che vivono dell'industria del gioco di Stato, attraverso un'occupazione legittima e magari anche di altro livello, che in tutti gli altri paesi civili viene vista con orgoglio (visto l'elevato livello di tecnologia e di competenze notoriamente richiesto e utilizzato dall'industria del gaming), mentre in Italia è da ritenere una vergogna. Almeno, così appare per una parte dell'Esecutivo e del Parlamento.

Oggi, a dodici mesi di distanza dall'entrata in vigore di quello scellerato decreto (almeno per la parte relativa ai giochi), che l'Autorità garante delle Comunicazioni è stata costretta a interpretare e tradurre in norme attuabili, prendendo atto dell'assurdità dei dettami previsti dal diktat governativo (basandosi, semplicemente, su criteri di proporzionalità, coerenza normativa e applicabilità e non certo su considerazioni morali o personali), scade anche il periodo di transizione previsto dall'Esecutivo per il completamento dei contratti pubblicitari già in essere al momento dell'entrata in vigore della legge, avendo concesso un anno di tempo entro il quale terminare i servizi eventualmente prenotati con sponsor ed editori. Per uno “switch off”, andato in scena a partire dal 14 luglio, che vede spegnersi i riflettori sul gioco, facendolo sparire dalle maglie delle squadre di calcio, dalle pubblicità negli stadi, dalle radio e dalle tv, e via dicendo. Per un bavaglio che, come riportato anche dalla stampa sportiva, farà perdere più di 35 milioni soltanto ai club di Serie A. Tenendo conto che, fino a ieri, 15 club su 20 nella massima serie calcistica avevano stretto negli ultimi anni rapporti con le società di betting. Come avviene in tutto il resto del mondo, anche in maniera molto più spregiudicata (specialmente in Spagna e Regno Unito). Ma non è tutto. Sì, perché, secondo le stime dei pubblicitari, vi saranno introiti attesi minori di 150 milioni rispetto all’anno passato, sempre a causa del Dignità.
Eppure, a un anno di distanza da quel decreto, così fortemente restrittivo per l'intera industria del gioco (che non colpisce, pertanto, solo il gioco online o le scommesse sportive, ma l'intero comparto), nonostante lo spegnimento dei riflettori venga confermato su tutta la linea (eccetto la stampa specializzata, coerentemente con quanto avviene in tutti gli altri settori in cui vige un divieto analogo, vedi tabacchi, armi o farmaci, ma solo grazie alle precisazioni di Agcom), l'approccio utilizzato dal governo nei confronti del gioco con vincita in denaro sembra del tutto diverso a un anno fa. Non quello nei confronti dell'industria, però: sotto quel profilo, tutto sembra essere rimasto come prima, con un dialogo e un confronto pressoché inesistente e un totale disinteresse – più che lassismo - di fronte alle esigenze della filiera. Anche se le richieste degli addetti ai lavori sono ormai palesemente rivolte al mantenimento del presidio di legalità e sicurezza garantito dal sistema del gioco legale e non mirate all'aumento del profitto o all'espansione del proprio business. Al di là della promessa di un Riordino generale del comparto, già più volte tradita e non ancora mantenuta, l'Esecutivo non è mai intervenuto provando a risolvere le numerose criticità riscontrate sul territorio. Neanche di fronte alle richieste palesate dalle stesse Regioni o dai Comuni che un tempo avevano sposato la battaglia “anti-gioco”, salvo poi ritrovarsi a dover tutelare il proprio tessuto economico, ma anche sociale, prendendo atto che la scomparsa dell'offerta legale comporta il ritorno all'illegalità. E neppure di fronte agli inviti dei vari tribunali amministrativi chiamati ad esprimersi sull'annosa Questione territoriale che più o meno apertamente invocano a una soluzione ex lege, invece di procedere con sospensioni o rinvii.
Qualcosa, però, è davvero cambiato nella strategia dell'Esecutivo. Almeno nella visione generale del gioco che ora inizia ad essere visto (sia pure in senso astratto a livello politico, ma molto concreto sotto il profilo legslativo, visto il susseguirsi di leggi ad hoc) come una vera e propria risorsa per lo Stato. Da un punto di vista economico, senza dubbio, visto che si continua a fare cassa con i giochi, creandone addirittura dei nuovi: ma anche sotto gli aspetti più “istituzionali” di tutela della legalità e contrasto all'evasione. Sono questi, infatti, i motivi con i quali l'Esecutivo ha sancito l'introduzione di nuove forme di gioco (nello stupore più generale): partendo, dapprima, con il restyling del Totocalcio, che porterà a un nuovo gioco nei prossimi mesi, per poi passare alla creazione della Lotteria degli scontrini a partire dal prossimo anno. Quel passo, cioè, che molti governi precedenti avevano già ipotizzato ma mai nessuno aveva avuto il coraggio di concretizzare, proprio per via del rischio di spingersi troppo in là, in un paese in cui il gioco è già molto presente e in tantissime forme. E ora a compiere il salto in avanti è proprio il governo gialloverde, che fino a un anno fa prometteva di liberare il paese dal “Demone dell'azzardo”. A prevalere, evidentemente, sono state proprio le ragioni di carattere politico e istituzionali dettate dalle virtù del sistema del gioco legale, che il governo sembra aver compreso anche attraverso l'attività che si sta svolgendo, con risultati straordinari, in termini di matchfixing, in cui l'Italia rappresenta ancora oggi un'avanguardia. Pur continuando a mantenere le distanze dalla filiera, nonostante sia proprio quest'ultima il baluardo su cui si basa ogni presidio di legalità. E' dunque evidente che in questo clima di confusione generale, dove permangono gli enormi problemi per il comparto del gioco e per i suoi addetti (aggravati, in queste ore, anche dal divieto di pubblicità, che pone gioco legale e illegale allo stesso piano), un Riordino appare sempre più necessario ed urgente, anche alla luce dell'introduzione di nuove forme di gioco. Anche se la prima cosa da riordinare, evidentemente, sono le idee del governo, ancora oggi decisamente confuse sul tema.
 

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