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Perché riaprire (responsabilmente) è meglio che ristorare

04 gennaio 2021 - 09:51

Il comparto del gioco pubblico rischia il collasso generale, insieme a sicurezza e legalità. Ecco perché il governo deve riaprire, in sicurezza, già dal 16 gennaio.

Scritto da Alessio Crisantemi

 

Di riaprire il gioco pubblico non se ne parla prima del 15 gennaio, ed è un fatto. Ormai noto e (solo parzialmente) digerito dalla platea degli addetti ai lavori, che hanno dovuto accettare già oltre 180 giorni di chiusura forzata, come nessun altra attività, e senza che il “piano” governativo nei confronti dei giochi sia mai stato messo in discussione da nessuno al di fuori della filiera. Del resto, la linea delle attività essenziali sembra stare in piedi, a livello logico, come del resto ha spiegato anche il Tar del Lazio, ribadendo la ratio dei vari Dpcm impugnati dagli operatori: purché sia supportata da criteri di “ragionevolezza e proporzionalità” e, soprattutto, purché rimanga confinata del tempo. Con il tempo ritenuto ragionevole per l'applicazione delle restrizioni tramite decreto del presidente del Consiglio dei Ministri pari a un mese. Solo che adesso i mesi di chiusura dei giochi diventano sei, di cui tre consecutivi: al punto che qualche tribunale ha iniziato a far questa anomalia del prolungato ricorso ai Dpcm che inizia a far scricchiolare l'intero impianto normativo di gestione della pandemia. Da qui l'ipotesi di un allentamento delle maglie, a partire dal 16 gennaio, che gli operatori del settore sperano possa riguardare anche il gioco.

Nonostante il freno del ministro della Salute, Roberto Speranza, secondo il quale “La terza ondata arriverà e bisogna organizzarsi”, il Comitato tecnico-scientifico ha dato l'ok per abbassare la soglia che fa entrare le regioni nelle aree di rischio che impongono il blocco degli spostamenti e la chiusura dei locali pubblici, insieme alla novità della cosiddetta “zona bianca” - proposta dal ministro alla cultura Dario Franceschini - che dal 15 gennaio dovrebbe consentire di far ripartire tutte le attività, palestre, cinema e teatri compresi.

Una misura, questa, che potrebbe sancire anche la ripartenza dei giochi. Anche se, dopo i primi vertici di inizio anno, la materia non è ancora stata affrontata nei dettagli. Solo che stavolta il governo non potrà fare a meno di valutare la situazione del gioco, continuando a ignorarne la realtà, come avvenuto finora, per varie ragioni. La prima delle quali, probabilmente, deriva proprio dal contenzioso ancora in essere al Tribunale amministrativo, con i giudici capitolini che hanno invitato l'esecutivo a scoprire le carte che hanno portato alla linea iper-rigorista nei confronti del settore. Dovendo dimostrare, quindi, che non ci siano stati eccessi di rigore o, al contrario, che vi sia stato un “difetto di istruttoria”, cioè un'assenza di valutazione precisa del comparto, al punto da rendere i giochi vittima di discriminazione. Ma al di là delle valutazioni effettive del Tar (che difficilmente, andranno in direzione contraria a quella del governo), l'approfondimento giudiziale sarà probabilmente utile per evitare ulteriori eccessi nel prossimo e immediato futuro: visto che oggi sarebbe difficile continuare a tenere serrate le attività di gioco anche di fronte ai nuovi protocolli di sicurezza proposti dall'industria, che si è impegnata spontaneamente nell'attuazione di un piano di super-sicurezza per la ripartenza dei propri locali, per una strategia “lacrime e sangue” che sarebbe comunque il male minore rispetto all'ulteriore chiusura totale dei giochi. Una proposta che diventa difficile da rifiutare, o da non prendere neppure in considerazione, di fronte al fatto che nel periodo di ripartenza estiva dei locali di gioco non si sono mai verificati focolai né tanto meno sono mai emerse notizia di contagi legati alle attività di gioco. E la riaperture di tutte le altre attività, tra cui palestre e piscine, non dovrebbe consentirebbe eccezioni.

Del resto, va detto, i provvedimenti di ristoro attuati finora dall'esecutivo nei confronti della filiera non sono affatto necessari a tenere in vita le attività: senza contare, poi, che non è ancora stata inclusa l'intera filiera del gioco, con i produttori di macchine che risultano ancora esclusi dalla lista dei codici Ateco che beneficiano degli incentivi messi a disposizione dal governo. Sei mesi di fatturato pari a zero, di fronte a costi fissi non azzerati e al mantenimento dell'occupazione, rappresentano un peso già troppo gravoso per qualunque settore: figuriamoci per quello dei giochi, già vittima di una sfrenata serie di rincari della tassazione che ha portato a un'imposta da record nel nostro paese, con l'ultimo rialzo che è scattato proprio a partire dal nuovo anno. Ma solo virtualmente, visto che per ora non c'è nulla da incassare né da fatturare per gli addetti ai lavori. Oltre alla beffa, tuttavia, l'ulteriore aumento del Prelievo erariale unico rappresenta un'ulteriore spada di Damocle per il settore, che arrivato a questo punto non sa neppure da che parte ricominciare, ma chiede soltanto di farlo. Con la riapertura che oltre ad essere necessaria, diventa quasi doverosa: ma dovrà essere soltanto il primo passo di una strategia, che il governo è chiamato ad attuare per scongiurare la chiusura delle imprese, di fronte alla quale non ci sarà moratoria che tenga per evitare la perdita di posti di lavoro. Senza contare le ricadute in termini di illegalità, che già adesso, con i ripetuti lockdown, ha visto la criminalità riorganizzarsi, pronta a cogliere ogni nuova opportunità che potrebbe scaturire da un passo falso dello Stato nella gestione dei giochi. Come certificato anche oggi dal Direttore generale dell'Agenzia Dogane, Marcello Minenna. Perché la storia italiana ci insegna, che dove manca lo Stato, il vuoto viene presto riempito da altre forme di organizzazione della società e dell'economia. Uno scenario, questo, di fronte al quale non si può più giocare. Riaprire, dunque, è ormai inevitabile. Per poi adottare un piano di vera emergenza per una gestione straordinaria del gioco che permetta alle imprese di rifiatare (magari attraverso la sospensione dei versamenti e la rimodulazione delle aliquote), per poi occuparsi del riordino. In modo da garantire una sostenibilità, presente e futura, oltre alla tenuta e, quindi, alla continuità.

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