Quando l'utopia (o il populismo) si scontra con la realtà
Quando i primi nodi della 'Questione territoriale' iniziano a venire al pettine, arrivano le grane per gli enti locali che promettevano l'espulsione del gioco.
Ormai lo diciamo da tempo. La scomparsa del gioco (legale) dal territorio è una misura non solo pericolosa ma anche decisamente inattuabile. Pericolosa per via delle inevitabili ricadute che comporterebbe in termini di illegalità, regalando campo libero alle offerte di gioco illecite che già oggi sono presenti sul territorio nazionale e chissà quale diffusione potrebbero assumere in caso di smantellamento del circuito legale, in un Paese che certo non brilla per i risultati in termini di controllo del territorio e di contrasto all'evasione (e ciò vale in generale, non soltanto per quanto riguarda il gioco pubblico dove, al contrario, si registrano i risultati migliori in termini di recupero del sommerso).
Inattuabile, perché lo smantellamento di un'intera industria, dopo che la stessa è stata costruita, sviluppata e consolidata nel corso degli ultimi quindici anni e anche di più, comporterebbe degli scompensi talmente rilevanti in termini di entrate e di occupazione - in un Paese già affetto da tassi spaventosi di indigenza – da rendere decisamente impercorribile tale soluzione.
La 'battaglia' portata avanti da primi cittadini e rappresentanti regionali ha avuto il merito – che va riconosciuto – di portare alla luce un disagio diffuso e una mancanza di sostenibilità nell'attuale assetto e distribuzione del gioco sui territori. Un aspetto di cui il Governo deve necessariamente tenere conto, come deve, evidentemente, iniziare a fare i conti – letteralmente – con qualche rinuncia, in termini di entrate erariali provenienti da questo settore. Iniziando a ridurre fin da subito l'offerta, e preoccupandosi di attuare una rete di interventi seri e concreti in termini di prevenzione, per riuscire nell'obiettivo di dissuadere i giocatori problematici dal continuare a spendere denaro, e magari convincendo anche gli altri giocatori comunque non problematici, che esistono anche altri passatempi e modi di intrattenersi che non comportano rischi. Magari attingendo, su questo fronte, proprio dalle iniziative messe in atto in questi mesi dagli enti locali, che si sono comunque spesi in vari modi per provare a mettere in piedi campagne di prevenzione, spesso anche efficaci. È qui che potrebbe (e dovrebbe) instaurarsi una sinergia tra lo Stato centrale e le sue diramazioni territoriali, scrivendo la parola 'fine' sulla Questione Territoriale e aprendo una nuova fase politica, che vada nella direzione auspicata da tutti. Visto che l'obiettivo comune, tra Stato, industria e ed enti locali, è quello di rendere il gioco sostenibile, sotto tutti i punti di vista. Quello che cambia, magari, è il mezzo suggerito per raggiungere il nobile fine. Ma del resto, la politica, non consiste proprio nell'arte della mediazione?