Stato contro Stato (e contro il gioco)
Ha fatto discutere, in questi giorni, il parere del Consiglio di Stato sul bando di gara per le scommesse che rilancia la questione territoriale, dopo averla riaperta.
Il Consiglio di Stato che denuncia ciò che il Consiglio di Stato avalla. Ovvero, un pezzo dello Stato che smentisce se stesso e, quindi, lo Stato, a causa di un altro pezzo di Stato ancora. È ciò che accade oggi, alla luce del sole, attorno al comparto del gioco pubblico.
Con la questione territoriale che si fa sempre più aspra e tutt’altro che in via di definizione. Anzi, a compromettere ulteriormente la situazione è stata proprio una pronuncia del Consiglio di Stato, riferita alla legge della Provincia di Bolzano, con la quale veniva sostanzialmente legittimata la linea proibizionista della comunità autonoma altoatesina, seppure in maniera dubbia e tecnicamente opinabile.
In questo gioco di potere e in un tale (enorme) conflitto di attribuzioni, a farne le spese è l’industria del gioco pubblico e i suoi lavoratori, con quest’ultimi che si trovano a dover sloggiare dai pubblici esercizi di tanti territori, pur operando nel pieno della legalità: almeno fino all’entrata in vigore di una legge di carattere locale che ha stravolto i piani industriali senza colpo ferire.
È dunque evidente che il riordino del comparto annunciato dal governo gialloverde e mai messo realmente sul tavolo diventa sempre più necessario: soprattutto alla luce del parere consultivo proveniente da Palazzo Spada in cui quegli stessi giudici che sembravano avere le idee particolarmente chiare rispetto alle restrizioni applicate al gioco, ammettono che la situazione non è affatto chiara né tanto meno definita, quando scrivono che non si comprende quanto l'assenza di un decreto attuativo della Conferenza unificata possa o meno impedire la procedura della gara, chiedendo al ministero di fornire “più approfondite e complete valutazioni sulla possibilità di procedere in assenza di decreto ministeriale di recepimento dell'intesa”, “in assenza delle leggi regionali attuative previste dalla legge”.
L’unico aspetto chiaro di questa ingarbugliata vicenda, dunque, è che più tempo passa e più la situazione si fa complessa e difficile da arginare: per l’industria ma anche per lo Stato, che a questo punto non sa più che pesci pigliare, a tutti i livelli. Regioni comprese, visto che le restrizioni introdotte sui territori non stanno facendo altro che far riemergere l’illegalità invece di calmierare i consumi, con alcuni potevamo ipotizzare. E prima o poi, qualcuno dovrà pure (pre)occuparsene.