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Un altro gioco è possibile

29 gennaio 2018 - 11:06

Il settore del gioco pubblico sta cambiando e può ancora evolvere, in meglio: ma serve la partecipazione di tutti, e qualche passo indietro.  

Scritto da Alessio Crisantemi

 

Il gioco pubblico può avere un futuro migliore. Sotto tutti i punti di vista: dalla distribuzione e gestione del mercato, alla tutela dell'ordine pubblico, all'integrazione col territorio e, soprattutto, riguardo alla tutela dei giocatori. Ma se per quest'ultimo aspetto, è necessario puntare alla costruzione di “un uomo nuovo”, caratterizzato da una maggiore consapevolezza e conoscenza dei rischi legati alle attività di gioco, per raggiungere l'ambizioso obiettivo è comunque necessario arrivare prima alla creazione di una “nuova industria”, che sappia mettere al centro la responsabilità di impresa. Sposando e promuovendo valori come la formazione, l'informazione, la sicurezza e la prevenzione, a tutti i livelli. Un processo che, è bene ricordarlo, è già stato avviato nel corso degli ultimi anni e che viene sposato appieno già da varie aziende e organismi che operano all'interno del comparto, come appare sotto gli occhi di tutti (anche se non tutti vogliono realmente vederlo): è tuttavia evidente che tale percorso virtuoso non è ancora stato intrapreso all'unanimità. Ed è proprio su questo che bisognerà lavorare nei prossimi mesi ed anni, se si vuole davvero arrivare a un futuro sostenibile, e possibilmente anche stabile.

Va però detto che la partita della responsabilità non può essere giocata unicamente dall'industria. Anzi. E' del tutto necessaria – e imprescindibile – una guida generale: in grado di governare questi processi e di dettare le linee di azione di quella che viene definita “cultura del gioco responsabile”. Una cabina di regis identificabile nel Legislatore nazionale e, di conseguenza, nell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, quale soggetto ad oggi incaricato di attuare le norme previste. Per arrivare davvero a una diffusione di una tale “cultura”, però, non è sufficiente – anche se necessario – avere un impianto di regole adeguato, se non si può contare sulla partecipazione di tutte le parti coinvolte: politica e istituzioni, addetti ai lavori e parti sociali. Le tre gambe sulle quali si poggia il tavolo della responsabilità e, diciamolo pure, il futuro di questo settore. Un tema che è stato opportunamente affrontato nei giorni scorsi, in Senato, in occasione della presentazione del libro “Il senso del gioco”, a cura del professor Riccardo Zerbetto, il quale ha messo al centro il tema del Gioco Responsabile richiamando l'attenzione, appunto, sulla creazione di una cultura di questo tipo, senza la quale non potrà mai esserci quel “giusto equilibrio” che il governo dice di ricercare da tempo, sul gioco, ma rispetto al quale non è mai riuscito a trovare una convergenza e una partecipazione attiva da parte degli altri “pezzi” dello Stato. A partire dagli Enti locali, che lamentano una mancanza di strumenti, denari o fiducia per poter concorrere al processo di regolamentazione del gioco insieme all'Esecutivo. Ed è proprio qui che i conti non tornano. Nonostante da più parti si rifiuti l'etichetta di “proibizionista”, essendo noto anche ai sassi che tale tipo di politica non paga mai, nella gestione di un'offerta, anche se delicata e a rischio di derive patologiche, la scelta di alcune amministrazioni locali sembra proprio andare in toto verso quella direzione. Puntando a un abolizionismo che non può rappresentare in nessun modo una soluzione, ma tant'è. Aprendo un dibattito tristemente tipico, oggi, nel nostro paese, tra la libertà di impresa e l'esigenza di mantenere l'occupazione, nonostante i rischi sanitari di una determinata attività economica. Proprio come avviene oggi a Taranto, riguardo all'acciaio, e come si discute nel frattempo in Piemonte, in Emilia o nella stessa Puglia, riguardo al gioco. Solo che qui, a differenza delle acciaierie, non siamo ancora arrivati al punto di non ritorno (oltre a non avere a che fare con un rischio di morte, come avviene invece con gli episodi di cancro causati da alcuni impianti industriali) e un'inversione di tendenza è ancora possibile. Ma solo attraverso la partecipazione di tutti. Con l'industria chiamata a compiere alcuni passi in avanti, come pure il governo: che deve senz'altro impiegare strumenti più rigidi e solidi per la gestione del comparto. Ma occorrono anche, al tempo stesso, dei passi indietro: da parte di chi promette un futuro migliore ai cittadini, “liberandoli dall'azzardo”, salvo poi non poterlo raggiungere. Limitandosi a cancellare un'offerta legale, e con essa varie aziende e posti di lavori, e lasciando campo libero all'illegalità: proprio come auspica la criminalità, che da sempre deve scontrarsi con il presidio della rete legale per poter imporre i propri affari e che non aspetta altro che l'abolizione del gioco lecito. O, al limite, anche una seria riduzione: meglio ancora se attraverso delle distanze stabilite da un'amministrazione, in modo da poter definire in maniera analitica il nuovo perimetro dell'illegalità. Eppure, non serve neppure un grande sforzo per capire il rischio a cui si sta andando incontro: basterebbe rileggere le pagine di storia contemporanea e i vari rapporti ancora disponibili sullo stato dei locali pubblici prima della “bonifica” avviata nel 2003. Un'esperienza da non dimenticare e, al contrario, da cui ripartire nella definizione delle nuove regole che permettano di arrivare un vero e definitivo riordino del settore, nella sua totalità. E con l'aiuto di tutti.

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