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La sostenibilità del gioco parte dal confronto

14 febbraio 2023 - 10:08

Nel momento in cui si inizia a parlare della sostenibilità come obiettivo imprescindibile per le imprese e di approccio Esg, per il gioco si apre una nuova sfida. L'esperto di gaming Matteo Marini spiega perchè.

Foto di Dima Pechurin su Unsplash

Nel numero di febbraio della rivista Gioco News si inaugura una nuova rubrica, "Visto da vicino", curata dall'esperto di gioco Matteo Marini. E nel suo debutto, Marini si focalizza proprio sul tema oggetto dell'inchiesta che stiamo riproponendo a puntate anche online, quella sulla sostenibilità del gioco. Ecco il suo contributo.

Esg: ambiente, società e governo delle imprese. Per il settore del gioco è indubbiamente centrale il riferimento alla sostenibilità sociale. Lo stigma che accompagna chiunque si occupa di gioco, infatti, è sempre quello riferito alla pericolosità sociale costituita dell’abuso della pratica di una parte di giocatori che li porta poi a soffrire di disturbi di Gioco d’azzardo patologico (il cosiddetto “Gap” o “Dga”, Disturbo da gioco d'azzardo). La narrativa dei detrattori del settore è che sia inevitabile che questo accada a chi gioca. Ma è veramente pensabile che sia così? A mio avviso, se da un lato è irragionevole pensare che in Italia ci siano 20 milioni di persone affette da disturbi da gioco patologico, tanti infatti sono coloro che praticano una qualche forma di gioco pubblico, dall’altro occorre fare in modo che non vi sia più chi soffre di disturbi da Gap. In questo consiste la sostenibilità sociale. La pratica del gioco deve rientrare ad essere considerata (e percepita come) un’attività normale della vita, una forma di intrattenimento al pari di altre.

Si tratta evidentemente di un fattore culturale, sia per i consumatori che per gli operatori. Ovvero, utilizzando categorie economiche, c’è bisogno di una crescita culturale sia sul lato della domanda che su quello dell’offerta. Per i consumatori-giocatori deve essere chiaro che è altamente improbabile “svoltare” la vita con il gioco – in questo la trasparenza e la visibilità riguardo le probabilità e la frequenza delle vincite è già molto utile – mentre la spesa per praticarlo è il costo dell’intrattenimento. Esistono forme evolute di informazione in questo senso, non solo la Pubblicità Progresso ma anche strumenti come il nudge, una forma di trasferimento di consapevolezza naturale, come ci insegnano Thaler e Sunstein nel loro libro sul tema. Occorrerebbe poi introdurre anche qualche forma evoluta di deterrenza per coloro i quali effettivamente abusano della pratica. Esistono vari studi a cura di esperti in psicopatologia che individuano nel controllo all’accesso ai luoghi di gioco e nella creazione di un registro nazionale degli esclusi, strumenti adeguati allo scopo. Sarebbe utile che legislatore, regolatore e operatori si confrontassero seriamente su questi temi.

Sul lato dell’offerta, ovvero da parte degli operatori, sarebbe, a mio avviso, fondamentale prevedere una formazione continua sui temi più delicati. Non vi è dubbio, infatti, che l’operatore della sala scommesse o della sala Vlt sia il primo punto di contatto con coloro che manifestano i primi sintomi di disturbo. L’operatore deve avere però gli strumenti per individuare i soggetti a rischio, conoscere le modalità di approccio più efficace per indirizzarli verso strutture pubbliche di sostegno. E ciò è possibile solo attraverso la formazione costante degli operatori “di primo contatto”. Anche su questo aspetto un confronto tra le parti in causa è fondamentale. L’Italia ha sviluppato una forma di regolazione del settore – attraverso il sistema concessorio, che ha dispiegato i propri effetti a partire dai primi anni Duemila – decisamente efficiente sotto il profilo del controllo delle attività da parte dello Stato e della fiscalità. Si tratta di un sistema apprezzato internazionalmente. È forse giunto il momento di fare il salto ulteriore. Peraltro, in tema di sostenibilità sociale occorrerebbe anche rafforzare le funzioni del gioco pubblico in termini di tutela della legalità e integrazione con il territorio.

Sarebbe bello e utile vedere un tavolo di confronto serio, scevro da posizioni “partigiane”, tra tutte le parti in causa: Adm, comparto industriale, enti locali e terzo settore da cui la Politica (con la P maiuscola) sia in grado di fare sintesi e disegnare un riordino che non sia un’altra occasione mancata ma costituisca le fondamenta su cui continuare a costruire un settore socialmente sostenibile.

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