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Emilia Romagna: il Tar chiude il contenzioso ma non la questione territoriale

29 dicembre 2020 - 09:29

Con i verdetti della vigilia emanati dal Tar dell'Emilia Romagna si spengono le aspettative degli operatori sulla via giudiziale e la legge regionale miete vittime tra le aziende.

Scritto da Ac
Emilia Romagna: il Tar chiude il contenzioso ma non la questione territoriale

La “Questione territoriale” c'è ma non si vede. Non in Emilia-Romagna, dove continua ad apparire inesistente per i giudici del Tribunale amministrativo locale. O, meglio, a non manifestarsi, agli occhi dei giudici emiliani, è il cosiddetto “effetto espulsivo” della legge regionale che disciplina il mercato del gioco pubblico. Pur prendendo atto, dati alla mano, che in un territorio come quello del Comune di Bologna risultano interdette agli operatori del settore oltre il 97 percento delle superfici urbane, sulle quali non possono alloggiare le loro attività. Sembra assurdo, ma tant'è. Secondo i giudici emiliani il 2,8 percento del territorio tecnicamente disponibile applicando le restrizioni è da ritenere sufficiente per ricollocare le attività che vengono estromesse dalla città.

E' questo uno dei temi più critici contenuti all'interno della sentenza plurima emessa dal Tar Emilia Romagna e pubblicata nel giorno della Vigilia di Natale, come riportao que queste pagine, nei confronti di una serie di ricorsi presentati dagli operatori locali, dichiarandone l’inammissibilità.

L'altro aspetto critico riguarda inoltre la non retroattività della normativa regionale (legge 18/2016) che non riguarderebbe le attività esistenti. Un aspetto, anche questo, che appare a dir poco assurdo agli occhi degli addetti ai lavori, tenendo conto che le attività esistenti soggette al cosiddetto distanziometro non hanno la reale possibilità di delocalizzare e, quindi, devono chiudere anzi tempo. La cosa addirittura peggiore, tuttavia, tra quelle indicate nella pronuncia del Tar emiliano è la dichiarata impossibilità della Regione di concedere deroghe per le attività esistenti per evitare distorsioni del mercato: una valutazione fin troppo restrittiva, tenendo conto che le concessioni risultavano in scadenza a marzo 2022 e non potevano essere cedute.

"Purtroppo questa sentenza segue l’indirizzo negativo della precedente - la n.703/2020 del 2 novembre 2020, che aveva già giudicato l’inammissibilità dei ricorsi contro i provvedimenti finali di chiusura delle sale, considerandoli come meri atti esecutivi - rispetto ai precedenti provvedimenti riguardanti le mappature comunali - che applicavano le delibere regionali nn.831/17 e 68/19”, spiega l'avvocato Gianfranco Fiorentini, tra i rappresentanti dei ricorrenti.
Non solo. L’ultimo “schiaffo” preveniente dal Tar Emilia riguarda la richiesta di indennizzo sollevata dagli operatori che secondo i giudici non è dovuta perché la licenza ex articolo 88 del Tulps è concessa dalla Questura con valutazioni di pubblica sicurezza mentre in questo caso tutto si regge sulla tutela della salute. Quindi la tutela della salute sembra poter giustificare ogni provvedimento, travolgendo ogni diritto di impresa considerato sempre recessivo. “Diventa quindi lecito domandarsi – aggiunge Fiorentino - quali sono i dati scientifici non citati dal Tar? I dati dell’istituto superiore di sanità non segnalano emergenze rispetto al fenomeno del Disturbo da gioco d'azzardo patologico e le stesse Asl della Emilia Romagna non pubblicano dati che parlano di un'emergenza. Quindi non si comprende come possa sussistere un ragionamento di questo tipo, anche se su questo punto la sentenza accoglie del tutto le valutazioni allarmistiche della Regione e dei Comuni, pur non essendo realistiche e fondate”. Secondo il legale pertanto “non sono rispettati i principi di adeguatezza e proporzionalità ma si apprezza solo l’argomento ad effetto della tutela della salute”. 
Una serie di potenziali criticità e anomalie riscontrate nelle valutazioni dei giudici che rendono forse inevitabile il ricorso in appello da parte degli addetti ai lavori. Tenendo anche conto che la parte peggiore della sentenza di questi giorni – forse - è che si tratta della prima pronuncia di merito che affronta in maniera articolata tutte le questioni sul tappeto dall’anno 2018, riguardando il rigetto nel merito dei motivi di impugnazione presentati contro le delibere regionali n.831/17 e 68/19 che costituiscono – di fatto - il perno di tutte le difese nei ricorsi contro la Regione e i vari Comuni che sono stati presentati in precedenza. Assumendo quindi un carattere in qualche modo “definitivo” rispetto all'intera questione territoriale, se non sarà ribaltata – o comunque ridimensionata - dai giudici di Palazzo Spada. Anche se l'unica soluzione, giunti a questo punto, sembra essere affidata dal Legislatore nazionale: secondo i legale Fiorentini, infatti, l'unica svolta concreta potrebbe (e dovrebbe) arrivare da parte del governo, attraverso il più volte annunciato riordino del comparto, senza il quale risulta oggi difficile scorgere altre prospettive: “Se non ci sarà una soluzione politica per il settore del gaming – spiega - vedo lunga e complessa la strada giudiziaria,  che richiede la prospettiva dell’appello al CdS e dell’eventuale impugnazione alla Corte Europea di Giustizia”.
Con la sensazione generale e il timore, oggi sempre più forte, che se non interviene in fretta il governo per mediare sulle posizioni degli enti locali e delle regioni, a rischiare di saltare è l'intero il sistema concessorio: con danni incalcolabili per le imprese, gli occupati e l’erario e le inevitabili ricadute in termini di illegalità.

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