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Tar Emilia: 'No indennizzi per sala gioco chiusa, non dimostrato effetto espulsivo'

12 gennaio 2024 - 11:20

Il Tar Emilia rileva che non sono dovuti indennizzi per una sala gioco chiusa per violazione del distanziometro, se non è dimostrato l'effetto espulsivo: 'Giustificati limiti ad attività economica'.

Scritto da Fm
© Tingey Injury Law Firm / Unsplash

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Le distanze dai luoghi sensibili rientranti nella competenza regionale in tema di tutela della salute debbono rispettare il limite della proporzionalità, stretta necessità ed adeguatezza dovendosi contemperare le esigenze di contrasto alla ludopatia quale vera e propria patologia con il diritto fondamentale di libera attività economica, dal momento che non è possibile azzerare la possibilità prevista dalla normativa regionale di delocalizzare l’attività posta entro il limite distanziale dai luoghi sensibili, quale misura normativa appunto deputata al contemperamento dei contrapposti interessi di rilievo costituzionale, non potendosi con il cosiddetto distanziometro impedire l’esercizio di una attività economica peraltro già in essere e del tutto lecita, per quanto foriera di possibili pregiudizi per la salute della popolazione”.

Lo ricorda il Tar Emilia Romagna nella sentenza in cui, citando se stesso, respinge il ricorso presentato da una società titolare di una sala gioco di Modena  per chiedere l’accertamento del diritto alla corresponsione da parte del Comune dell’indennizzo per asserita revoca implicita dei titoli abilitativi ottenuti per l’esercizio dell’attività, che era risultata ubicata ad una distanza inferiore a 500 metri da un “luogo sensibile” ai sensi della legge regionale per il contrasto al gioco patologico, ovvero da una scuola materna.

Con un primo ricorso, nel 2018, la società aveva impugnato i provvedimenti adottati dal Comune di Modena inerenti la mappatura dei luoghi sensibili, per poi rinunciare in seguito al rigetto sia da parte del Tar adito del Consiglio di Stato in sede di appello della domanda incidentale cautelare.

Con questo secondo ricorso la società invece chiama in causa anche la Corte europea dei diritti dell'uomo, sottolineando che i provvedimenti comunali avrebbero azzerato l’esercizio dell’attività di raccolta del gioco lecito e che l’ingerenza da parte del Comune di Modena senza la corresponsione di qualsivoglia indennizzo sarebbe “caratterizzata dalla carenza di 'fair balance' ovvero di un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo, non essendo all’uopo sufficiente la moratoria di sei mesi prevista dalla normativa regionale”.

È indubbio che la Corte di Strasburgo, in merito all’interpretazione dell’art. 1 del Primo prot. add., abbia aderito ad un’ampia concezione della nozione di 'beni', comprensiva oltre che dei diritti reali di quelli patrimoniali ovvero delle utilità economiche derivanti da titolo abilitativo concessorio o autorizzatorio (Corte Edu sez. I, 30 giugno 2022, n. 55617) e che le limitazioni all’esercizio di un’attività economica lecita per sopravvenienze debbono essere compensate mediante indennizzo”, rileva il Collegio.

“L’ingerenza rispetto ai 'beni', ancorché giustificata da scopi di interesse generale, deve infatti mantenere un giusto equilibrio tra le esigenze di interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo”.

Ma, fanno notare i giudici amministrativi emiliani, il Comune di Modena ha accordato ulteriori proroghe rispetto a quella garantita dalla legge regionale, dapprima sino a novembre 2019 e poi a giugno 2020. “La moratoria prevista dalla normativa regionale del termine per la chiusura delle sale non rispettose del limite distanziale, pari a 6 mesi, prorogabile discrezionalmente dai Comuni di ulteriori 6 mesi, rappresenta di per sé un elemento di tutela dell’operatore economico diretto a consentirgli entro un congruo lasso temporale il reperimento di nuovi locali, quale 'equilibrato e ragionevole contemperamento degli interessi privati e pubblici coinvolti' dovendo poi l’ente locale contemperare i contrapposti interessi in sede di pianificazione urbanistica mediante la previsione di aree idonee in cui esercitare l’attività in esame”.

Inoltre, l’asserito effetto espulsivo dei provvedimenti comunali “non è stato provato dalla società, come sarebbe stato suo onere fare nemmeno tardivamente nel presente giudizio, avendo i provvedimenti comunali interdetto l’attività nel locale ma non in riferimento all’intero territorio comunale, non potendosi escludere la possibilità di delocalizzazione dell’attività, secondo gli elementi peraltro forniti dalla stessa Amministrazione comunale riguardanti il trasferimento di altri operatori economici del settore in seguito al cosiddetto distanziometro”.

 

Per i giudici amministrativi “va rilevato che mentre per la tutela del diritto di proprietà il nostro ordinamento disciplina con specifiche norme di legge le modalità di calcolo dell’indennità di esproprio (pari al valore venale delle aree edificabili e non edificabili e degli edifici) tenuto conto delle puntuali indicazioni provenienti dalla Corte Costituzionale (sent. 24 ottobre 2007, n.349) in conformità all’art. 1 Primo prot. add. (quale norma interposta ex art. 117 co. 1 Cost. rispetto all’art. 42 Cost.,) quanto ai diritti non reali - parimenti tutelati dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo - manca una normativa diretta a quantificare tale indennizzo".

 

 

 

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