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CdS conferma chiusura sala gioco: 'Già consentite varie proroghe'

08 febbraio 2024 - 10:03

Il Consiglio di Stato boccia l'appello di una sala gioco troppo vicina a un istituto scolastico, nel suo caso non vale la norma dell'Emilia Romagna che consente il mantenimento dell’attività per massimo dieci anni per ammortizzare gli investimenti fatti.

Scritto da Fm

“Come correttamente rilevato dal primo giudice, il Comune solo con la seconda mappatura disposta con delibera della giunta comunale di Rimini del 2019 ha effettivamente individuato i luoghi sensibili posti nel raggio di 500 metri dalla sala giochi della ricorrente, nulla dovendosi rilevare nella prima mappatura disposta con delibera del 2017. Quest’ultima ricognizione effettuata dall’Amministrazione comunale, infatti, era stata qualificata come provvisoria, attesa la necessità di ottenere la mappatura da parte dei comuni contermini, secondo le previsioni della delibera di giunta regionale. Ad avviso del Collegio, tale elemento contribuisce ad escludere l’esistenza di un affidamento incolpevole in capo alla ricorrente, trattandosi di un operatore economico che da anni operava nel settore della raccolta del gioco lecito e che, presumibilmente, era a conoscenza delle disposizioni normative e amministrative vigenti”.

 

Questo si legge nella sentenza con cui il Consiglio di Stato ha respinto l'appello presentato dal titolare di una sala giochi contro il procedimento avviato dal Comune volto alla chiusura dell’attività, sul rilievo che i locali sarebbero risultati ubicati a distanza inferiore di cinquecento metri da un istituto scolastico, al quale sono seguite numerose proroghe per la delocalizzazione della stessa, concesse in ragione della perdurante emergenza legata alla pandemia di Covid-19, fino al settembre 2022

Una vicenda sulla quale si era già espresso il Tar Emilia Romagna, che ha respinto la domanda cautelare proposta dall’appellante e successivamente anche il ricorso.

L'oggetto della controversia al Consiglio di Stato, ricorda la sentenza emessa dai giudici di Palazzo Spada, riguarda l’impugnazione del decreto della Questura che ha intimato al titolare della sala gioco la riconsegna della licenza di pubblica sicurezza e la chiusura dell’attività di giochi e scommesse.

La ricorrente in particolare contesta “l’asserita mancata adozione di un provvedimento formale, da parte del Comune che solo avrebbe potuto imporre la chiusura dell’esercizio commerciale, in mancanza del quale, l’invito del questore alla restituzione della licenza, non poteva che ritenersi illegittimo in quanto “meramente attuativo di un atto allegatamente mai adottato (rectius: la chiusura del locale)”.

Come ha ritenuto il primo giudice, si legge ancora nella sentenza del Consiglio di Stato, “la prospettazione della ricorrente si pone in contraddizione con il comportamento tenuto dalla stessa, la quale aveva provveduto a presentare istanza di delocalizzazione dell’attività nella nuova sede di Forlì, corredata dai necessari documenti, quali il contratto di locazione e il permesso di costruire per l’adeguamento dei nuovi locali.

Si deve qui ribadire, a conferma di questo assunto, che 'la gradualità con la quale, nel caso della Regione Emilia-Romagna, l’Amministrazione ha agito, per realizzare la cosiddetta localizzazione costituisce già una misura di salvaguardia degli interessi privati non potendo essere considerata come un ingiustificato ritardo nel conseguimento del fine pubblico per la tutela dei luoghi espressamente qualificati come sensibili'”.

Quanto all'applicazione della clausola di salvaguardia invocata dalla ricorrente, il Collegio per supportare il suo diniego richiama una sentenza del 2022 evidenziando, in particolare, che “la delibera di giunta regionale n. 68 del 2019 consente il mantenimento dell’attività per un massimo a 10 anni nei confronti di operatori economici che hanno già delocalizzato, nel caso in cui, rispetto alla nuova ubicazione, venga a trovarsi successivamente un luogo sensibile prima non esistente”, e puntualizzando che “si è voluto, con tutta evidenza, evitare disparità di trattamento rispetto a coloro che, come l’odierna appellante, non abbiano mai delocalizzato ma siano stati costretti al trasferimento all’esito della prima mappatura”.

 

  

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