È costituzionalmente illegittima la sanzione amministrativa fissa di 50.000 euro a carico dei concessionari del gioco e dei titolari di sale giochi e scommesse per la violazione degli obblighi di avvertimento sui rischi di dipendenza dal gioco con vincita in denaro. Spetterà al legislatore stabilire una nuova sanzione nel rispetto della Costituzione, con i relativi limiti minimo e massimo.
È quanto si legge nella sentenza n. 185 depositata oggi (relatore Franco Modugno), con cui la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il sesto comma, secondo periodo, dell’articolo 7, del decreto legge n. 158 del 2012, convertito nella legge n. 189 del 2012.
La norma censurata puniva indistintamente l’inosservanza degli obblighi di avvertimento – indicazioni su tagliandi e apparecchi da gioco, esposizione di targhe e materiale informativo delle Asl - con una sanzione di considerevole severità e fissa, non modulabile dall’autorità amministrativa e dal giudice in base alle circostanze del caso concreto.
Nella fattispecie, il titolare di un bar, in cui era presente un unico apparecchio da gioco, si era visto infliggere una sanzione di 50.000 euro per non aver esposto una targa sui rischi di dipendenza dal gioco, pur avendo adempiuto correttamente gli altri obblighi posti a suo carico per la prevenzione delle ludopatie.
La Corte ha ricordato che, secondo la propria giurisprudenza, l’attribuzione al giudice di un margine di discrezionalità nella commisurazione della sanzione – non solo penale, ma anche amministrativa – tra un minimo e un massimo, così da adeguarla alla specificità del singolo caso, rappresenta la naturale attuazione di principi costituzionali, a cominciare da quello di eguaglianza.
Nel caso esaminato, la fissità della sanzione impedisce di tener conto della diversa gravità dei singoli illeciti, che dipende dall’ampiezza dell’offerta di gioco e dal tipo di violazione commessa. In particolare, quanto alle inadempienze relative alle sale giochi, la gravità varia secondo la dimensione e l’ubicazione della sala, il grado di frequentazione, il numero di apparecchi da gioco e il carattere totale, o solo parziale, dell’inosservanza degli obblighi.
Ciò comporta che la sanzione fissa possa risultare manifestamente sproporzionata rispetto all’illecito commesso e, quindi, costituzionalmente illegittima. Nel sistema vigente non si rinviene una sanzione che possa essere sostituita dalla Corte costituzionale a quella dichiarata illegittima, considerata la non assimilabilità delle condotte sanzionate.
Ciò non impedisce, però, la dichiarazione di incostituzionalità, che, in linea generale, non è preclusa dal fatto che si determini un vuoto di disciplina. Vuoto che spetta al legislatore colmare.
Il principio vale anche quando le questioni riguardano il trattamento sanzionatorio, salvo i casi in cui l’eliminazione pura e semplice della norma sanzionatoria provochi “insostenibili vuoti di tutela”: come, ad esempio, una menomata protezione di diritti fondamentali dell’individuo o di beni di particolare rilievo per la società rispetto a gravi forme di aggressione, con eventuale conseguente violazione di obblighi costituzionali o sovranazionali. Solo in questi casi diventa indispensabile individuare, tramite “punti di riferimento” offerti dal sistema vigente, soluzioni sanzionatorie che – nel rispetto dei limiti ai poteri di intervento della Corte – possano sostituirsi a quella denunciata come illegittima dal giudice a quo.
Quest’ipotesi non ricorre nel caso in esame. Se è vero che la tutela della salute, cui sono volte le misure di contrasto della ludopatia, è un obiettivo di rilievo costituzionale, va anche aggiunto, però, che qui si tratta di inosservanze di obblighi informativi, a carattere preventivo, “sensibilmente antecedenti la concreta offesa all’interesse protetto”. La sanzione in esame va quindi rimossa puramente e semplicemente, spettando al legislatore stabilirne una nuova.