Secondo il Consiglio di Stato è infondato l'appello proposto da alcuni concessionari contro la sentenza che nel maggio 2024 ha confermato la validità della circolare applicativa varata dalla Regione Lazio nel gennaio 2023 per definire alcuni chiarimenti sulla legge n 5/13, come modificata dalla legge 11 agosto 2022, n°16, con una serie di prescrizioni volte “a interrompere l’eventuale l’immersione compulsiva nel gioco” attraverso orologi, sistemi di diffusione sonora e cartelli informativi da installare nelle sale”.
Per il CdS, l'atto impugnato “deve essere interpretato in modo compatibile con il contenuto della l.r. n. 5 del 2013.La nota gravata, infatti, ha innanzitutto specificato alcune modalità di adempimento alle prescrizioni recate dall’art. 4 comma 1 lett. b punto 3 della l.r. n. 5 del 2013. L’Amministrazione si è pertanto autovincolata a considerare che l’adozione delle misure dalla stessa indicate costituiscano adempimento degli obblighi legislativi: l’invio della nota agli uffici pubblici è finalizzato ad assicurare l’efficacia di detto autovincolo.
La stessa Regione non ha invece precluso agli esercenti la possibilità di ottemperare alle prescrizioni legislative con altre modalità, che saranno di volta in volta valutate dall’Amministrazione.
Specularmente l’art. 12 della l.r. n. 5 del 2013, che disciplina le sanzioni amministrative di settore, dispone che il parametro di applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria (nella misura compresa tra 5.000 e 15.000 euro) sia costituito dalla 'violazione delle disposizioni di cui all'articolo 4, comma 1 e all'articolo 7'.
La stessa sanzione della chiusura dell’esercizio è prevista per il caso della reiterata, per più di due volte, 'violazione delle disposizioni di cui all'articolo 4, comma 1'.
Pertanto non è di per sé l’adozione di misure di ottemperanza all’obbligo di assicurare una 'pausa obbligatoria di cinque minuti delle operazioni di gioco ogni trenta minuti consecutivi di utilizzo dell’apparecchio di gioco da parte del singolo cliente', contenuto nell’art. 4 comma 1 lett. b punto 3 della l.r. n. 5 del 2013, diverse da quelle previste dalla nota a essere causa di applicazione delle sanzioni previste dall’art. 12 della l.r. n. 5 del 2013, ma il fatto che l’obbligo non venga adempiuto.
Piuttosto l’adozione delle misure indicate nella nota da parte degli esercenti vincola la parte pubblica a ritenerle esaustive, non esercitando il potere afflittivo.
Pertanto, il contenuto della nota sul punto è tale da assicurare il vantaggio della certezza per coloro che hanno adottato le misure previste nella nota, ma non produce effetti sfavorevoli nei confronti di coloro che intendono adempiere diversamente”.
Secondo i giudici di Palazzo Spada, “le prescrizioni specificamente richiamate dall’appellante, cioè la riduzione della frequenza delle singole giocate e la prescrizione della pausa obbligatoria, oltre che l’interruzione dell'attività nelle fasce orarie individuate dai comuni per non meno di otto ore al giorno, sono preordinate a tutelare la salute pubblica. La frequenza delle giocate e le pause di gioco sono infatti accorgimenti funzionali a evitare la tendenza all’ossessione per il gioco, che si esplica anche in relazione al tempo impiegato per lo stesso e all’incapacità di sottrarsi all’attrazione patologica.
L’interdizione dal gioco ai soggetti in stato di manifesta ubriachezza e il divieto di ubicazione delle apparecchiature di gioco all'interno di istituti scolastici di qualsiasi ordine e grado, centri sportivi, luoghi di aggregazione giovanile sono finalizzati a tutelare i soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché in stato confusionale.
La stessa separazione dello spazio dedicato agli apparecchi per il gioco dalla restante struttura complessivamente a disposizione per lo svolgimento delle attività, mediante installazione di pannelli o pareti divisorie, e il distanziamento minimo di due metri tra i suddetti apparecchi non è volto a stabilire le regole di svolgimento dell’attività in concessione, così come l’art. 110 del r.d. n. 773 del 1931 e le disposizioni da esso richiamate, ma è funzionale a evitare comportamenti emulativi che potrebbero incentivare, anche per tale via, l’attrazione per il gioco.
Rientrano infatti nella competenza legislativa concorrente delle regioni in materia di tutela della salute gli interventi volti a 'evitare la prossimità delle sale e degli apparecchi da gioco a determinati luoghi, ove si radunano soggetti ritenuti psicologicamente più esposti all'illusione di conseguire vincite e facili guadagni e, quindi, al rischio di cadere vittime della “dipendenza da gioco d'azzardo' (Corte cost. 11 maggio 2017 108). Sicché è la stessa Corte costituzionale a ritenere che le scelte di ubicazione dei macchinari possano rilevare ai fini del contrasto alla ludopatia e quindi nella prospettiva della tutela della salute pubblica.
Il divieto di fumo nei luoghi dove sono installate le postazioni per il gioco è evidentemente una misura posta a tutela della salute, anche nel senso che impedisce lo svolgimento di un’attività piacevole in prossimità degli apparecchi per il gioco, così compulsando un allontanamento dalla 'tentazione' al fine di soddisfare l’esigenza del fumatore. Il complesso delle prescrizioni, pertanto, risulta finalizzato a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili, o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio assistenziale, o comunque a 'prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo' attraverso varie misure concrete (Corte cost. 27 febbraio 2019 n. 27)”.
Infine, per il Collegio non “si rileva la violazione della libertà di impresa. L’iniziativa economica privata infatti, enunciata dall’art. 41 Cost, esprime la tutela dell’attività d’impresa (alla luce anche dei Trattati dell’Unione europea e dell’art. 16 della Carta di Nizza) nel rispetto dell’utilità sociale.
La Corte costituzionale ha precisato come non sia 'configurabile una lesione della libertà d'iniziativa economica allorché l'apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale', purché, per un verso, l'individuazione dell’utilità sociale 'non appaia arbitraria' e, 'per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue' (Corte cost. 31 marzo 2015 n. 56).
Nel caso di specie il fine di utilità sociale che viene in rilievo, come possibile limite della libertà di attività economica privata, attiene alla tutela della salute.
Con specifico riferimento al bilanciamento fra libertà di impresa e tutela della salute la Corte costituzionale ha riconosciuto la competenza legislativa delle regioni”.
Né è “comprovato che le misure decise dalla Regione Lazio risultino incongrue rispetto al fine, considerato quanto sopra illustrato.
In tale prospettiva deve essere valutata anche la prescrizione riguardante la distanza di due metri lineari tra un apparecchio e l’altro: la disposizione, come visto, è funzionale alla tutela della salute, né richiede particolari accorgimenti tecnici. Pertanto non risulta determinante la circostanza che non coincida con le previsioni statali riguardanti i metri quadrati minimi richiesti per l’installazione di ogni singolo apparecchio (art. 9 della determinazione primo giugno 2021 n. 172999/RU), preordinata a perseguire altre finalità.
Né può addebitarsi al legislatore regionale la regolamentazione della sorte dei macchinari che, in tesi, non potrebbero essere più utilizzati.
In disparte la valutazione concreta di quanto possa essere l’impatto della misura, che sconta considerazioni connesse alla specifica struttura dei locali, si rileva che non è demandato alla Regione di valutare l’incidenza riflessa dei vincoli imposti. Sul punto la Corte costituzionale ha infatti affermato che 'la supposta perdita totale o parziale del capitale investito (di cui l’ordinanza di rimessione non fornisce tuttavia alcun riscontro, a fronte del presumibile ammortamento dei relativi costi, come ha rilevato la difesa dello Stato) costituirebbe al più un’incidenza solo riflessa dei vincoli di gestione imposti dalle norme denunciate, e si collocherebbe, come tale, fuori dall’ambito di protezione della norma costituzionale' (Corte cost. 31 marzo 2015 n. 56)”.
Il testo integrale della sentenza del Consiglio di Stato è disponibile in allegato.