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Sala gioco prima autorizzata e poi chiusa, Comune Cagliari dovrà risarcire i danni

11 febbraio 2025 - 16:33

Il Consiglio di Stato sottolinea che la sala gioco aveva conseguito tutte le autorizzazioni di legge ed è stata chiusa in forza a due ordinanze sindacali illegittime.

Scritto da Fm
© Pxhere

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Il Comune di Cagliari  dovrà risarcire una società che si è vista chiudere una sala giochi a causa dell'introduzione di un distanziometro con due ordinanze sindacali, prima che fosse varata una legge regionale in materia.

A stabilirlo è il Consiglio di Stato con una sentenza particolarmente interessante.

Le due ordinanze firmate dal sindaco di Cagliari infatti risalgono al 4 maggio e al 25 luglio del 2017 e sono quindi successive all'avvio dell'iter necessario per l'apertura dell'esercizio, risalente al mese di marzo dello stesso anno.

Il dirigente del Suape - Sportello unico per le attività produttive e l'edilizia il 26 luglio ha comunicato alla ricorrente l’avvio del procedimento volto all’adozione del "provvedimento interdittivo dell’attività di sala giochi” e il 26 settembre ha ordinato la chiusura dell’attività tenuto conto del mancato rispetto della distanza minima di 500 metri tra essa e alcuni “luoghi sensibili”: una chiesa e tre edifici scolastici.

 

Peccato che nel frattempo la società avesse stipulato un contratto di locazione commerciale della durata di sei anni, ottenuto da un concessionario formale incarico per l’attività di raccolta delle giocate tramite apparecchi e l'autorizzazione e presentato la comunicazione d’inizio lavori di opere interne e inizio di attività proprio al Suape, sostenendo varie spese e  ottenendo anche un finanziamento ai sensi della c.d. legge de minimis per 25mila euro.

La società perciò ha chiesto il risarcimento integrale di tutti i danni subiti nella misura complessiva di 223.855,06 euro, oltre rivalutazione e interessi, con condanna del Comune di Cagliari al pagamento delle relative somme e con vittoria delle spese del giudizio e restituzione del contributo unificato, istanza bocciata dal Tar Sardegna, che ha respinto il ricorso ritenendo insussistente il requisito della colpa.

Non così il Consiglio di Stato.

Nella sentenza difatti si legge: “Il ricorrente assume che, contrariamente a quanto affermato dal Tar, il bene della vita al momento dell’emanazione del provvedimento illegittimo era già entrato nella sfera dei diritti dell’appellante che ne ha subito la privazione (e l’inevitabile perdita) solo ed esclusivamente in conseguenza dei provvedimenti impugnati e poi annullati.

Se il Comune non avesse adottato gli atti illegittimi poi annullati, la società non avrebbe subito alcun danno, applicandosi il regolamento comunale disciplinante il limite delle distanze solo per il futuro e solo alle nuove attività da avviare, mentre l’appellante aveva già un’attività commerciale in corso di svolgimento sin dal 2017”.

I motivi di appello proposti dalla società per i giudici di Palazzo Spada sono fondati. “Il Collegio è dell’avviso che nel caso di specie sussistano tutti i presupposti per la configurabilità della responsabilità aquiliana del Comune di Cagliari in relazione al danno patrimoniale cagionato alla società in conseguenza della adozione dell’ordine interdittivo”.

I provvedimenti adottati dal Comune di Cagliari hanno cagionato “un danno ingiusto, dal momento che la loro illegittimità è stata definitivamente accertata in sede giurisdizionale dalla sentenza n. 927/2018 del Tar passata in giudicato in parte qua. Il danno consiste nella definitiva preclusione della possibilità di esercizio dell’attività economica già avviata alla data di adozione del provvedimento dirigenziale interdittivo e nelle conseguenti perdite economiche sia in termini di danno emergente - riferito alle spese sostenute per l’avvio dell’attività economica - che di lucro cessante - riferito alle mancate occasioni di guadagno in termini di perdita di chance connesse agli utili di esercizio per il periodo di durata degli accordi contrattuali intercorsi con il concessionario autorizzato”.

Inoltre “incombe sull’amministrazione la prova della ricorrenza di un’ipotesi di errore non imputabile e come tale scusabile, come accade nei casi di sussistenza di contrasti giudiziari, di incertezza del quadro normativo di riferimento o di particolare complessità della situazione di fatto.

Ebbene nel caso di specie, contrariamente a quanto rilevato dal Tar, non ricorre alcuna delle ipotesi cui la giurisprudenza ricollega la scusabilità dell’errore in cui è incorso il Comune.

Non ricorre infatti una ipotesi di particolare complessità del fatto, trattandosi di un ordine di chiusura di un’attività economica fondato sull’accertamento di un limite distanziale introdotto da una ordinanza sindacale annullata per incompetenza, quindi di un’ipotesi di attività vincolata presupponente l’accertamento di un fatto semplice, sulla base di un giudizio certo (la misurazione della distanza).

Non ricorre alcuna incertezza del quadro normativo di riferimento per il semplice fatto che nel caso di specie mancava la legge regionale che avrebbe dovuto disciplinare la materia, vuoto poi temporaneamente colmato in via suppletiva mediante la adozione dell’ordinanza sindacale ma con l’effetto di determinare l’invasione della competenza legislativa regionale o, in ogni caso, della competenza del Consiglio comunale.

All’epoca non sussistevano neppure contrasti giurisprudenziali poiché la Corte costituzionale aveva chiarito l’insussistenza di una competenza sindacale in materia di disciplina delle sale da gioco per fini di prevenzione delle ludopatie mediante previsione di limiti distanziali”.

 

Ma non è detto che la società ricorrente avrà il risarcimento richiesto.

“Secondo principi giurisprudenziali consolidati, il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo deve essere limitato, quanto al danno emergente, alle perdite che possano dirsi 'conseguenza immediata e diretta' del fatto o atto lesivo, ai sensi degli artt. 2056, comma 1, e 1223 c.c.; il lucro cessante deve essere valutato dal giudice 'con equo apprezzamento delle circostanze del caso' (art. 2056, comma 2, c.c.)”, sottolinea il Consiglio di Stato.

Ai fini della quantificazione del danno, il Collegio reputa necessario disporre una verificazione nominando allo scopo il direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, con facoltà di delega in favore di un qualificato funzionario, affinché, nel contradditorio tra le parti e nel termine di 120 giorni dalla comunicazione della presente sentenza, provveda a quantificare le voci di danno”.

 

 

Il testo integrale della sentenza del Consiglio di Stato è disponibile in allegato.

 

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