La parola d'ordine per il comparto del gioco pubblico continua ad essere la stessa, da qualche mese a questa parte: riaprire. In sicurezza e con tutte le restrizioni del caso: ma occorre tornare a rialzare la saracinesca dei locali, per scongiurarne la chiusura definitiva e la scomparsa di migliaia di imprese e posti di lavoro. La richiesta dei lavoratori del settore, avanzata a gran voce in occasione della recente duplice manifestazione di Roma e Milano, è di riaprire fin da subito in zona gialla, portando cioè il settore del gioco pubblico alla pari delle altre attività, eliminando quella palese discriminazione subita fino ad ora dal comparto. Invece, negli ultimi giorni, si è verificato esattamente il contrario, quando la prima regione “bianca” d'Italia, ovvero la Sardegna, ha sancito la riapertura di ogni tipo di attività al di fuori di quelle di gioco. Rendendo così ancor più evidente la discriminazione del settore e la disparità di trattamento rispetto a qualunque altra attività economica. Una mossa che ha colto un po' tutti di sorpresa, come evidenziano non solo le dichiarazioni dei rappresentanti dell'industria ma anche quelle di vari politici che hanno espresso non poche perplessità nell'apprendere la notizia dell'esclusione dei giochi dalle riaperture. Sì, perché oltre a non esserci più alcun tipo di presupposto per tenere chiuso un locale, con la zona bianca che fa saltare anche il criterio – già discutibile in sé – della presunta “essenzialità” di un attività economica, questa disparità di trattamento del settore si traduce inevitabilmente in una discriminazione per i suoi lavoratori, che a questo punto vengono formalmente considerati cittadini di “serie b”. Questo, francamente, è decisamente inaccettabile, e dovrebbe esserlo per tutti: anche per chi continua a mantenere perplessità sul settore del gioco in generale. Come scriviamo ormai da mesi, con il perdurare dell'emergenza sanitaria e delle restrizioni sul territorio nazionale, il problema ha smesso da tempo di essere confinato nella mera questione economica e industriale, finendo con l'espandersi in una ben più ampia e preoccupante questione di sopravvivenza per le decine di migliaia di imprese e per le centinaia di migliaia di persone che da questo business traggono il pane quotidiano. Non è più tempo, quindi, di applicare ideologie o erigere barriere culturali sul tema del gioco: non ora, non più. Si tratta di occuparsi della vita delle persone: proprio come si intende fare introducendo le restrizioni anti-covid. E in questo senso le misure di ristoro sono del tutto insufficienti nel caso del gioco e, anzi, per molte categorie della filiera addirittura inesistenti, al punto da ridurre sul lastrico intere famiglie, creando nuovi e ulteriori disagi.
LA PAROLA AL GOVERNO - Per questo il governo non può più fare finta di nulla di fronte a una situazione di questo tipo. Vale in generale e vale ancor più, oggi, di fronte al caso della Sardegna, che chiede risposte e invoca una soluzione politica. Per troppi mesi il settore è stato completamente ignorato: assente dalle pagine dei giornali e dai palinsesti televisivi, inesistente nell'agenda di governo e – peggio ancora – mai citato nei documenti del Comitato tecnico scientifico che ha disciplinato, da un anno a questa parte, l'andamento della nostra economia e delle nostre vite quotidiane. Se la protesta dei lavoratori del comparto è riuscita se non altro ad accendere qualche luce sul settore, di cui finalmente si stanno occupando – seppure in minima parte rispetto agli altri settori – anche i media generalisti, lo stesso non accade ancora nelle sedute del Cts. Ed è qui che occorre invertire la rotta, magari attraverso un intervento diretto dell'esecutivo che non può permettere una così evidente discriminazione subita da una parte della popolazione.
IL TEMA ECONOMICO – Ma non è tutto. Oltre alla questione “interna” al settore, il governo dovrebbe (pre)occuparsi della ripartenza del gioco pubblico anche per motivi più strettamente “pubblici”: in primis, per via della difficile situazione economica in cui si trova il paese ma anche e soprattutto per il rischio di riemersione dell'illegalità che già si ravvisa in gran parte d'Italia in seguito alla prolungata chiusura dei giochi, come denunciato da più parti e da autorevoli fonti istituzionali. Il paese ha già perso circa 5 miliardi di euro di entrate provenienti dai giochi nel 2020 e sta continuando a perdere in questi mesi, con il protrarsi del lockdown. Anche per questo l'interesse dello Stato dovrebbe essere quello di far ripartire un settore ad alto tasso di gettito come quello del gioco (nel 2019 l'Erario ha incassato circa 11 miliardi di euro dal comparto), ovviamente in sicurezza, come è possibile farlo: per poi occuparsi subito dopo di tenerli in vita, in quanto riaprire non sarà sufficiente a scongiurare la scomparsa di tante piccole e media imprese che costituiscono il cuore pulsante della filiera. Da qui la necessità di adottare una riforma generale del comparto, come quella dell'atteso Riordino già promesso e annunciato dai precedenti governi e mai avviato, passando anche per una revisione fiscale: coerentemente con la riforma del Fisco attesa dall'intero paese che il nuovo esecutivo è chiamato ad attuare nei prossimi mesi, accompagnando l'attesissimo Recovery plan. Ben sapendo che le tematiche legate alla fiscalità sono a dir poco cruciali nel dibattito sui futuri assetti del Paese. La riforma del fisco è non a caso destinata a diventare uno dei pilastri dell’azione del nuovo governo. In attesa di conoscere le reali intenzioni di Mario Draghi, che verranno presumibilmente dettagliate sia nel programma del suo Esecutivo sia nella versione definitiva del Recovery Plan, il progetto - a quanto pare – dovrebbe ruotare intorno a un robusto intervento di riordino della tassazione delle persone fisiche in chiave progressiva (in linea con i dettami dell’articolo 53 della Costituzione). Si tratta però di vedere – e lo si capirà a breve - se il nuovo scenario politico, con una maggioranza così ampia e varia a sostegno del governo, non consenta di azzardare un’operazione ancora più ambiziosa, cioè quella di una riforma fiscale complessiva, non limitata all’Irpef, ma destinata a modernizzare il sistema nella sua interezza. Una riforma condivisa tra forze politiche disposte a mediare tra loro per trovare i necessari compromessi. Immaginando una specie di “Costituente fiscale”. In questo caso sì che potrebbe trovare spazio anche una revisione della fiscalità del settore dei giochi, immaginando una messa in discussione generale di qualunque settore.
Del resto, il Recovery Plan sembra pretendere proprio questo dall’Italia: la capacità di cambiare, di riformare radicalmente ciò che da decenni attende di essere riformato. La burocrazia; la giustizia e molto altro ancora. Puntando sulla semplificazione, che guardando ancora al comparto giochi vorrebbe dire prima di tutto la creazione di un Testo Unico che consenta il superamento dell'attuale stratificazione normativa. Ma anche al di fuori delle specificità del comparto, la situazione è comunque da rivedere interamente. Se si guarda alle indicazioni del Doing Business della Banca mondiale, che certo ben conosce il premier Draghi: nel 2020, l’Italia si è collocata al 128° posto (su 190) per peso degli adempimenti fiscali. Le nostre Pmi non solo sono tra le più tartassate – il total tax rate sfiora il 60 percento degli utili – ma devono anche dedicare agli adempimenti circa 240 ore di lavoro all’anno (ovvero ulteriori costi). Su certezza e stabilità delle norme, basti dire che il Testo unico sui redditi ha subito quasi mille modifiche dal 1988 a oggi. Circa 27 ogni anno, alle quali vanno aggiunte le disposizioni – e sono numerose – che pur impattando sulle imposte dirette non sono state collocate nel Tuir: il caso più citato è quello della cedolare sugli affitti.
Poi ci sono tanti altri temi da valutare, che riguardano anche i giochi: dall’amministrazione finanziaria e il rapporto con i contribuenti alle le regole dell’accertamento, della riscossione al doppio binario del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale. Oltre alla giustizia tributaria e alla definizione di una strategia chiara per il contrasto dell’illegalità fiscale.
Durante gli ultimi decenni, il sistema fiscale italiano, con poche eccezioni, è passato attraverso una lunghissima serie di interventi e riforme poco coerenti, quando non totalmente estemporanei. Interventi fatti per raccattare gettito e talvolta per inseguire il consenso elettorale. E in questo senso il gioco è stato – suo malgrado – sempre protagonista, subendo una serie di provvedimenti “punitivi”, manovra dopo manovra, governo dopo governo.
Per imprese e lavoratori, è inutile ricordarlo, non c'è nulla di peggio dell’incertezza: nulla è peggio che affrontare le difficoltà di un cambiamento sapendo che un paio d’anni dopo tutto verrà superato. O, peggio ancora, con lo spauracchio di dover chiudere da qui a breve, come avviene oggi in molte zone d'Italia, dal Piemonte al Lazio, dove l'incombenza di leggi regionali minacciano le attività di molti locali e di conseguenza di molte imprese, in aggiunta alle altre incertezze provocate dalle norme nazionali e generali.
Il momento attuale offre quindi delle opportunità, almeno potenziali, che difficilmente si potranno presentare in futuro, con i partiti “costretti” a condividere molte scelte sul futuro del Paese. Sarebbe dunque un peccato non sfruttare questa congiunzione astrale per provare l’impossibile e riscrivere le regole del Fisco.
IL FUTURO OLTRE IL VACCINO - Quanto possono crescere turismo, consumi e Pil con il nuovo piano vaccini? E' la domanda che si pongono gli operatori dei principali settori che compongono l'economia italiana. Come quello dei giochi, che oltre a preoccuparsi della riapertura, dovrà presto affrontare il tema della ripartenza, provando a capire quanto verranno modificate le abitudini degli italiani e la loro attitudine al consumo. La risposta non è certo facile, per nessuno: ma le nuove stime macro per quel che riguarda il 2021 e il biennio successivo, in arrivo ad aprile, sono strettamente connesse proprio all'andamento dell'epidemia e della campagna vaccinale, con annesse le misure da inserire nel prossimo decreto ristori. In particolare, a metà aprile vedrà la luce il Documento di economia e finanza che aggiornerà il quadro delle variabili macroeconomiche ferme allo scenario ipotizzato nel settembre del 2020. Il primo documento programmatico del nuovo governo non potrà che partire dai dati appena diffusi dall'Istat: lo scorso anno si è chiuso con una caduta del Pil dell'8,9 percento e l'effetto di trascinamento nei primi mesi del 2021 pare inevitabile. La nuova stima per quel che riguarda il 2021 e il biennio successivo è strettamente connessa proprio all'andamento dell'epidemia e della campagna vaccinale, con annesse le misure da inserire nel prossimo decreto ristori (il “decreto Sostegno”), per il quale il Parlamento ha già autorizzato uno scostamento di bilancio di 32 miliardi (che potrebbe essere ulteriormente rafforzato).
In tal modo l'impatto sulle attività produttive maggiormente coinvolte dai provvedimenti restrittivi potrà essere attutito, anche se pare evidente che al di la degli indennizzi la vera scommessa è far ripartire la macchina dell'economia nel più breve tempo possibile. Si va in ogni caso verso l'inevitabile revisione al ribasso della stima di crescita ipotizzata dal precedente Governo al 5,1 percento in termini tendenziali, che dovrebbe attestarsi attorno al 3/3,5 percento.
Come avvenuto lo scorso anno, con il robusto rimbalzo registrato nel terzo trimestre dopo il profondo rosso del primo semestre (eravamo appena usciti dal lockdown nazionale), se l'auspicata accelerazione della campagna vaccinale riuscirà a piegare la curva dei contagi, ne trarrà beneficio prima di tutto il turismo che rappresenta il 13 percento del Pil, con effetti auspicati sui consumi e sull'intera filiera legata al turismo, dagli alberghi ai ristoranti. Occorre però superare i ritardi accumulati finora, e da questo punto di vista certamente la notevole esperienza maturata sul campo dal generale Figliuolo sul versante della logistica e della moltiplicazione di centri in grado di effettuare i tamponi costituisce senza dubbio un asset di grande importanza. Al pari del diretto coinvolgimento della Protezione civile nella campagna vaccinale. Questa sì che è una scommessa, ovviamente, per il governo e per il paese. E un vero e proprio azzardo, in quanto l'esito non è scontato, ma al momento non si intravvedono alternative altrettanto credibili e potenzialmente efficaci.