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Operazione Gambling, Cassazione: 'Non c'è metodo mafioso'

30 maggio 2016 - 11:08

Corte di Cassazione annulla modalità del metodo mafioso in ordinanza di arresti domiciliari per indagato operazione Gambling.

Scritto da Fm
Operazione Gambling, Cassazione: 'Non c'è metodo mafioso'

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un indagato dell'operazione Gambling per l'annullamento senza rinvio dell'aggravante del metodo mafioso per la misura cautelare degli arresti domiciliari disposta dal tribunale di Reggio Calabria in ordine al reato di associazione a delinquere, aggravata ai sensi dell'art. 7 d.l. n. 152/1991 (nella duplice declinazione della finalità e del metodo), avente ad oggetto il delitto di esercizio abusivo di attività di gioco e scommesse e gli ulteriori reati, ovvero quello di truffa aggravata ai danni dello Stato, omessa dichiarazione dei redditi ed Iva, in materia di intestazione fittizia, riciclaggio e reimpiego dei proventi di delitto commesso in concorso con altri soggetti.


Per i giudici "il ragionamento che pare essere stato coltivato dai giudici a quibus muove secondo un percorso circolare in forza del quale l'impiego della metodologia mafiosa nel trasformare i reati fine in figure aggravate lascerebbe in modo del tutto apodittico inalterata la fattispecie associativa, quasi come se fosse essa stessa un 'reato-fine'. Il che, evidentemente, non può ritenersi giuridicamente sostenibile con l'ovvio epilogo di rendere l'ordinanza impugnata priva di qualsiasi base argomentativa sul punto in questione".

 

Starà come ovvio "alla sede del giudizio di merito verificare, in via definitiva, l'altro e concorrente profilo della sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 7 del d.l. n. 152/1992 in riferimento non al metodo mafioso ma alla finalità perseguita dall'associazione comune di agevolare, attraverso la propria attività criminosa, uno specifico e ben determinato sodalizio di tipo mafioso. Allo stato, quest'ultimo scrutinio deve essere ritenuto congruamente supportato dagli elementi posti in luce dai giudici del gravame de libertate attraverso la evocazione di elementi di carattere funzionale e strutturale quali, in particolare, la cointeressenza di personaggi dell'una e dell'altra struttura associativa. In questa prospettiva, è infatti assorbente rilevare la compatibilità teorica tra l'aggravante della finalità agevolativa verso una struttura mafiosa da parte di una associazione comune, come per altro verso è asseverato dalla giurisprudenza formatasi nel periodo del terrorismo, nell'ambito del quale si teorizzava la possibilità di immaginare strutture associative 'di cerniera' tra gli ambienti della criminalità comune e i sodalizi di carattere terroristico ed eversivo. Da qui la scelta giurisprudenziale di ritenere contestabile anche per
l'associazione comunque l'aggravante della finalità di terrorismo e di eversione dell'ordinamento costituzionale di cui all'art. 1 d.l. n. 625/1979. In tal caso, infatti, ove l'associazione sia destinata a fornire un appoggio stabile a sodalizi 'speciali', la circostanza aggravante che evochi un siffatto e strutturale obiettivo di agevolazione non può non ritenersi compatibile come finalità qualificante della associazione di cui all'art. 416 cod. pen. D'altra parte sarebbe davvero singolare pretendere una automatica trasformazione della associazione comune in associazione terroristica ove le relative finalità qualificanti non fossero previste come obiettivo perseguito dall'associazione comunque: così come, all'inverso, risulterebbe del tutto privo di logica ritenere giuridicamente indifferente (agli effetti dell'aggravante speciale) il fine di aiuto offerto da una associazione che si pone come una sorta di 'concorrente' esterno rispetto al sodalizio di stampo terroristico. Per altro verso, non può non sottolinearsi come il giudice del riesame abbia dato per logicamente presupposti elementi che invece dovevano essere puntualmente dimostrati, dal momento che - come univocamente traspare dalla ordinanza impugnata - l'organo del riesame si è limitato, erroneamente, a desumere l'ipotizzato metodo mafioso esclusivamente dalle modalità della condotta dei reati fine, senza offrire contezza della natura e delle peculiarità che avrebbero dovuto caratterizzare, invece, la ipotizzata associazione aggravata: omettendo al tempo stesso, come si è già fatto cenno,  di enucleare adeguate argomentazioni in forza delle quali poter ritenere contestabile, rispetto ad una associazione di tipo 'comune' ex art. 416 cod. pen., l'aggravante di cui all'art. 7 d.l. n. 152/1991 integrata nel frangente dal metodo mafioso, rispetto alla paradigmatica figura - speciale e specializzante - dell'associazione di cui all'art. 416 bis cod. pen."

Per la Corte di Cassazione è però "inammissibile, poiché manifestamente infondato e generico, infine, è il motivo di ricorso relativo al difetto di attualità delle esigenze cautelari. Il ricorrente infatti si limita a censurare l'ordinanza in (relazione) alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, citando in premessa alcune massime giurisprudenziali sul tema anche alla luce della recente intervenuta modifica normativa (legge n. 47/2015) e ribadendo gli elementi di giudizio che, a suo dire, avrebbero dovuto orientare diversamente il giudice della cautela prima e del riesame poi. Difetta, invece, una specifica censura agli elementi addotti, a contrario, dal Tribunale per ritenere attuale il pericolo di reiterazione. La motivazione posta a fondamento dell'ordinanza impugnata non risulta affetta da
alcun errore nell'applicazione della legge processuale né da alcun 'vizio' motivazionale, tenuto conto che l'attualità e la concretezza delle esigenze cautelari è stata desunta dalle modalità delle condotte criminose, dal particolare allarme sociale derivante dall'esistenza di un così pericoloso sodalizio, di cui
risultano far parte personaggi legati alla criminalità organizzata, diretto a conseguire fini illeciti ed ingenti guadagni attraverso condotte sistematiche e continue, dalla stabilità della struttura (che esclude l'estemporaneità delle condotte), dalla sua diffusione territoriale (anche estera), dall'esistenza di comportamenti posti in essere in modo duraturo e programmato e dal ruolo di particolare rilievo svolto dall'indagato all'interno del sodalizio e dalla particolare esperienza dallo stesso acquisita nel settore. Non si tratta, quindi, di fare esclusivo riferimento alla gravità del titolo di reato per cui si procede, ma di valutare tale contestazione alla luce del comportamento illecito tenuto e degli elementi negativi di attualità acquisiti, specificatamente rivelatori di allarme sociale e del concreto rischio di recidiva. Né vale ad escludere o attenuare il giudizio di pericolosità la circostanza che sia intervenuto il sequestro dei brand riferibili alle società coinvolte, della cui diffusione commerciale l'indagato è artefice, tenuto conto che il ricorrente, per come evidenziato dal giudice della cautela, gode di particolari conoscenze che potrebbero essere poste a disposizione di analoghe  condotte, con la conseguenza che l'attualità del pericolo deriva non solo e  non tanto dalla struttura societaria titolare della concessione ma piuttosto dalla personalità dell'indagato, unitamente alle peculiarità delle fattispecie di reato contestate, alle modalità del fatto e al contesto di alto profilo criminale in cui si inserisce causalmente la condotta posta in essere dall'indagato. Questa Corte sul tema ha, infatti, precisato che l'attualità e concretezza delle esigenze cautelari non deve essere concettualmente confusa con l'attualità e concretezza delle condotte criminose e che ai fini della configurabilità dell'esigenza cautelare di cui all'art. 274, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., il concreto pericolo di reiterazione dell'attività criminosa può essere desunto anche dalla molteplicità dei fatti contestati, in quanto la stessa, considerata alla luce delle modalità della condotta concretamente tenuta, può essere indice sintomatico di una personalità proclive al delitto, indipendentemente dall'attualità di detta condotta e quindi anche nel caso in cui essa sia risalente nel tempo (Sez. 3, sentenza n. 3661 del
17/12/2013, Rv. 258053). Non si tratta, quindi, di fare esclusivo riferimento alla gravità del titolo di reato per cui si procede, ma di valutare tale contestazione alla luce del comportamento illecito tenuto e degli elementi negativi di attualità acquisiti, specificatamente rivelatori di allarme sociale e del concreto rischio di recidiva. Il Tribunale, quindi, risulta avere fatto corretta applicazione della norma processuale censurata anche in punto di adeguatezza e proporzionalità della misura, tenuto conto, peraltro, dell'avvenuta graduazione della misura operata dallo stesso Giudice per le indagini preliminari che ha escluso per la posizione del ricorrente l'applicazione della custodia cautelare in carcere come chiesta dal Pubblico ministero ovvero di quella più stringente del braccialetto elettronico. Inammissibile, infine, è l'ultimo motivo di ricorso relativo alla dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche sul presupposto dell'assenza di gravi indizi di reità a carico del ricorrente riguardo al delitto di cui all'art. 416
cod. pen. aggravato ex art. 7 d.l. n. 152/1991. Innanzitutto, non risulta quale censura svolta dinanzi al Tribunale del riesame (sull'inammissibilità di motivi nuovi non dedotti nel precedente giudizio di riesame, Sez. 5, sentenza n. 42838 del 27/2/2014, Rv. 261243). Inoltre, in tema di presupposti per l'autorizzazione
a disporre intercettazioni telefoniche, i gravi indizi richiesti dall'art. 267, comma 1, cod. proc. pen., non attengono alla colpevolezza di un determinato soggetto ma alla esistenza di un reato; ne consegue che per sottoporre l'utenza di una persona ad intercettazione non è necessario che gli stessi riguardino anche la riferibilità a questa del reato (Sez. 2, sentenza n. 42763 del 20/10/2015, Rv. 27 265127). Dalla lettura del provvedimento impugnato risulta che le captazioni dell'utenza in uso al ricorrente (successivamente emersa) sono state effettuate in ragione dei gravi indizi del reato associativo di cui al capo a), aggravato dall'art. 7 di. n. 152/1991, nella finalità agevolatrice dell'associazione mafiosa di cui al capo c) della rubrica, e, dunque, in presenza di un idoneo presupposto legale a fondare la legittimità delle intercettazioni".
 

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