Scommesse, Tar: 'Comune può chiudere Ctd che violano distanze'
Il Tar Emilia Romagna conferma il potere dei Comuni di chiudere i Ctd per la raccolta di scommesse per motivi di tutela della salute pubblica se violano distanziometro regionale.
"Il ricorso è infondato e deve essere respinto, sia relativamente alla domanda di annullamento del provvedimento comunale di chiusura della sala scommesse che nella correlata domanda risarcitoria, per evidente insussistenza dell’elemento oggettivo del fatto ingiusto, non sussistendo, altresì, i presupposti giuridici necessari per sollevare la richiesta questione di legittimità costituzionale avanzata in relazione alla possibilità di ottenere un titolo abilitativo per lo svolgimento di attività di raccolta scommesse per coloro che hanno già pagato l’imposta unica, in quanto questione non rilevante ai fini del presente giudizio, né per disporre il richiesto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per richiedere una pronuncia circa la compatibilità col diritto comunitario delle norme interne relative alla raccolta di scommesse, in quanto anch’essa non rilevante ai fini del presente giudizio".
A statuirlo è il Tar Emilia Romagna, in una sentenza con cui respinge il ricorso di una società - che svolge attività di Internet point, promozione servizi e raccolta scommesse per conto di un bookmaker comunitario - contro il provvedimento con cui il Comune di Castel San Giovanni (in provincia di Piacenza) ha ordinato di provvedere entro il 21 maggio 2019 (ossia alla scadenza del sesto mese dalla notifica della relativa comunicazione di avvio del procedimento di che trattasi, notificata dal medesimo Comune in data 21 novembre 2018), alla chiusura dell’attività di raccolta scommesse per violazione del distanziometro previsto dalla legge regionale sul gioco.
Secondo i giudici amministrativi, "emerge pienamente l’infondatezza della prima censura mossa da parte ricorrente, atteso che la chiusura di una sala scommesse ben può essere disposta per ragioni diverse da quelle afferenti l’ordine pubblico e concernenti, invece, la tutela della salute, e, conseguentemente, da Amministrazioni diverse da quelle statali (preposte alla tutela dell’ordine pubblico), ossia i Comuni delegati dalle Regioni (che dispongono di competenza concorrente in materia di tutela della salute) per l’intervento in materia di tutela della salute, come correttamente evidenziato dal Comune resistente secondo cui 'Non può allora confondersi l’ambito in cui sono destinate ad operare le licenze di p.s., segnatamente quelle rilasciate ex art. 88 Tulps, ovvero quelle che siano a queste equiparate per effetto di una regolarizzazione o di una comunicazione dell’avvio di determinate attività di gioco – ambito che appare rilevante a fini della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica – dall’ambito in cui invece trovano applicazione le regole stabilite a livello regionale sui limiti di distanza da luoghi sensibili'”.
Inoltre, non "può avere alcuna rilevanza, ai fini dell’applicazione delle disposizioni regionali sopra menzionate, la circostanza che l’odierna ricorrente sia un soggetto autorizzato allo svolgimento dell’attività di raccolta scommesse ai sensi dell’articolo 1, comma 644, della Legge n. 190/2014, atteso che la differenza tra i soggetti indicati all'art. 1, comma 643, della Legge n. 190/2014 e i soggetti di cui all’art. 1, comma 644 della medesima Legge è individuabile, essenzialmente, nel fatto di aver o meno inteso regolarizzare, a fini fiscali, la propria posizione e, pertanto, non si vede per quale ragione i soggetti cui si applica quest’ultima disposizione legislativa, rilevante - come detto - ai fini fiscali, non dovrebbero essere tenuti, al pari dei primi, a rispettare le disposizioni contenute nella Legge Regione Emilia-Romagna. n. 5/2013".