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Tassa Salvasport, Cds: 'Arretrati non dovuti dai concessionari di scommesse'

27 febbraio 2024 - 12:51

Il Consiglio di Stato accoglie gli appelli presentati da alcuni concessionari di scommesse contro la richiesta degli arretrati della tassa extra per alimentare il fondo Salvasport avanzata dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli.

Scritto da Fm
© Tingey Injury Law Firm / Unsplash

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“Gli Stati membri sono liberi di fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d'azzardo e, eventualmente, di definire con precisione il livello di tutela perseguito. Tuttavia, le restrizioni che essi impongono devono soddisfare le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda, segnatamente, la loro giustificazione sulla base di motivi imperativi di interesse generale e la loro proporzionalità. Pertanto, purché esse soddisfino quest'ultimo requisito, eventuali restrizioni delle attività di gioco d'azzardo possono essere giustificate in virtù di motivi imperativi di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione delle frodi e dell'incitamento dei cittadini a spese eccessive legate al gioco”.

Tale principio campeggia nelle sentenze con cui il Consiglio di Stato accoglie gli appelli presentati da alcuni concessionari di gioco per la riforma della sentenza con cui il Tar del Lazio lo scorso agosto aveva confermato la validità della determina con cui l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, agli inizi del 2023, ha chiesto agli operatori gli arretrati del prelievo dello 0,5 percento sulla raccolta delle scommesse previsto dal decreto Rilancio varato nel 2020 e in vigore sino al 31 dicembre 2021 per alimentare il cosiddetto “Fondo Salvasport”.

 

La controversia, puntualizza il Consiglio di Stato, “non concerne il pagamento degli importi dovuti, per il periodo di riferimento, fino al raggiungimento dei suddetti limiti di stanziamento, necessari a coprire la spesa di costituzione e funzionamento del Fondo (importi tutti già interamente versati e dei quali i concessionari non contestano la debenza), ma riguarda invece gli importi aggiuntivi loro richiesti in pagamento, calcolati sempre nella percentuale dello 0,5 percento per il periodo di riferimento, ma su tutte le complessive entrate provenienti dalla raccolta delle scommesse, a prescindere dal già avvenuto raggiungimento delle soglie di finanziamento del Fondo”.

 

In particolare, si legge nella sentenza, “ad avviso del Collegio, sono decisive in tal senso le considerazioni giuridiche ritraibili prima di tutto dal sistema normativo nazionale, e poi anche da quello euro-unitario, sulla base dei principi dei Trattati, così come costantemente interpretati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia”.

Sussistono ad avviso del Collegio “plurimi elementi, sia testuali, sia sistematici, tali per cui non devono nutrirsi dubbi circa il fatto che l’unica interpretazione corretta della disposizione recata dall’art. 217, decreto-legge n. 34/2020 sia quella che l’Amministrazione finanziaria ha seguito in fase di prima applicazione della norma, poi tuttavia dalla stessa abbandonata e sostituita da quella, opposta e qui impugnata, da ritenersi non conforme a legge, in quanto non rinveniente nel dato normativo la necessaria ‘base legale’ della pretesa impositiva”.

Per il Consiglio di Stato vi è poi una ulteriore considerazione da svolgere: “La necessità di rilanciare il settore dello sport, e in particolare il mondo delle piccole associazioni sportive e dilettantistiche che vi operano, è stata una esigenza così sentita dallo Stato da indurlo a introdurre, nell’ultima parte del secondo comma del cit. 217, la previsione che 'Qualora, negli anni 2020 e 2021, l'ammontare delle entrate corrispondenti alla percentuale di cui al presente comma sia inferiore alle somme iscritte nel Fondo ai sensi del precedente periodo, è corrispondentemente ridotta la quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145'. Questo evento, come si è già ampiamente chiarito, non si è verificato nel caso all’esame, originando difatti l’odierna controversia proprio dal fatto che le soglie di stanziamento del Fondo sono state ampiamente raggiunte”.

 

Secondo i giudici di Palazzo Spada, “non si ravvede dunque la ragione di assoggettare i concessionari dello Stato ad uno sforzo di contribuzione per esigenze solidaristiche (va ribadito, dagli stessi non contestato nei limiti necessari al raggiungimento delle soglie di stanziamento del Fondo) maggiore di quello al quale si sottoporrebbe lo Stato stesso nel caso in cui le suddette soglie non venissero raggiunte, dal momento che in questo caso è certo, per espressa previsione di legge, che la riduzione corrispondente della quota di cui all'articolo 1, comma 630 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 opererebbe solo fino al raggiungimento delle soglie, e non oltre. Il che riconferma ulteriormente che l’unica lettura possibile della disposizione normativa contenuta all’art. 217, decreto-legge n. 34/2020, nel raccordo fra il primo e il secondo comma, è esclusivamente quella che riposa sul principio del parallelismo tra il prelievo e la dotazione del fondo, con la conseguenza, a definitivo corollario, che il limite allo stanziamento del Fondo rappresenta anche il necessario limite implicito al prelievo, sulla scorta del legame teleologico perseguito dal legislatore”.

 

Il testo integrale della sentenza è disponibile in allegato.

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