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Riordino gioco online e betting: una gara per pochi che scontenta tanti

26 gennaio 2024 - 11:21

I parametri del futuro bando del gioco a distanza destano forte preoccupazione fra gli operatori per la sostenibilità di un settore che nel 2023 stava crescendo del 12 percento in media tra fisico e online.

Scritto da Cesare Antonini
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Spesso abbiamo professato che la politica (tutta) avrebbe dovuto affidarsi agli operatori del mercato per scrivere qualsiasi regola nell’interesse della tutela generale dell’ordine pubblico e della salute pubblica. E non lo pensavamo nell’interesse corporativo di un settore che seguiamo proprio perché è l’industria stessa a volersi autotutelare suggerendo al regolatore le norme che sarebbero necessarie per avere un settore sostenibile e in grado di proteggere l’elemento cardine dello stesso: il giocatore.

Dalle parole di chi abbiamo intervistato per la rivista di gennaio (consultabile integralmente online a questo link) capirete quanto tutto questo sia nell’idea della maggioranza degli operatori. L’idea alla base della riforma del gioco online – secondo il testo recentemente bollinato dalla Ragioneria generale dello Stato, e ora all'esame delle commissioni parlamentari competenti di Camera e Senato, che ha incassato anche il sì, con osservazioni, della Conferenza unificata - sembra essere quella di spingere sulla concentrazione per controllare meglio il settore e combattere infiltrazioni criminali e gioco illegale.

Tuttavia sembra spuntare qualche dubbio che potrà fornire anche un discreto fumus giuridico per impugnare un provvedimento che sembra anche limitare la libera circolazione di beni, merci e servizi. Il costo di 7 milioni di euro della concessione (questo quanto prevede la bozza di decreto legislativo attuale) aumenta di ben 35 volte il canone di 200mila euro previsto nel 2018 e triplica la proposta di aumento di una precedente gara mai attuata di 2,5 milioni di euro.

Se il canone di 200mila euro distribuito su nove anni era anche irrisorio rispetto al resto d’Europa, dove il costo annuale medio si aggira intorno ai 50mila euro, una moltiplicatore tale non ha mai senso per una serie di ragioni.

Se cresce il costo di una concessione dall’altro lato dovrebbero aumentare anche i servizi e le possibilità di business. Ma se il prodotto rischia di diventare meno competitivo seppur centralizzato su pochi operatori (la relazione del Governo parla di 50 licenze contro le 20-30 stimate dai nostri dati e dall’Egba) il business può scendere e di conseguenza anche la sostenibilità dell’azienda in relazione all’elevato costo fisso della concessione.

Le prospettive di crescita del movimento netto, poi, sono fin troppo ottimiste col rischio di rendere poco sostenibile il business anche di gruppi molto importanti.

Tutto ciò rappresenta una barriera all’ingresso in un mercato in cui un nuovo operatore, poi, non può neanche pubblicizzare il proprio prodotto. E per il Governo non è in agenda neanche un ritocco del decreto Dignità.

Ma il regolatore va avanti dritto per la sua strada. Ora c’è il “rischio” che molte aziende tutelino il loro interesse maturato negli anni (pagando tasse e licenze per milioni di euro) presentando ricorsi nelle sedi competenti dall’Italia all’Europa. Va tutto ancora scritto e la gara potrebbe non partire prima della fine del 2024. E c’è chi dice che il bando neanche si farà, anche se il Governo assicura che arriverà entro l'anno.

RICCARDO BUSATO (GAME REVOLUTION): “SCOMMETTITORI ESPOSTI ALLA GIUNGLA DOT COM” - “C’è una grande volontà di concentrazione nel settore ma saranno pochi gli operatori che potranno sostenere la licenza da 7 milioni di euro, tra i 20 e i 30 operatori. Più che altro, stando a stretto contatto con i giocatori di poker, con gli scommettitori, siamo davvero preoccupati di cosa succederà all’utente finale quando tanti bookmaker e room chiuderanno con la giungla di offerte dalle room illegali che è già molto vasta. I player non sono in grado di distinguere quale sia un concessionario legale e quale sia senza licenza. E bisognerà stare molto attenti. Per capire ancora meglio quale potrà essere l’effetto della prossima gara per le licenze di gioco online che continua a monopolizzare l’attenzione del settore, abbiamo sondato gli umori di una delle società di affiliazione più importanti del mercato italiano, Game Revolution. E a parlare è Riccardo Busato, Ceo dell’azienda che controlla anche la poker academy EvBets che collabora con Gioco News e che segue, appunto, da molto vicino i player.

Ma Game Revolution lavora con tutte le società del gaming italiano tra bookmaker e siti che possiedono tutti i verticali di prodotto. Ed è assai interessante tastare il polso dell’industria.

Come mai questo incredibile innalzamento del costo delle licenze? “Noi lavoriamo con tutti gli operatori, partendo dai più grandi e la sensazione è che si voglia concentrare il settore in pochi operatori visto che, come detto, un costo tale potrà essere sostenuto da pochissime realtà aziendali. Secondo la filosofia di questo provvedimento è possibile che la polarizzazione su pochi concessionari potrebbe voler dire azzerare le infiltrazioni criminali. In ogni caso per chi lavora come noi nelle affiliazioni dovrebbe cambiare molto poco.”

In questo senso sembra andare la decisione di togliere le skin di gioco dalla riforma del mercato: “Una decisione che mi ha sorpreso molto - spiega Busato - sembra quasi sicura l’eliminazione di questa offerta di gioco e, addirittura un concessionario può aprire massimo cinque licenze per singolo gruppo. Una riduzione ancora più forte degli operatori del mercato.”

Ma questa decisione potrebbe contenere in sé qualche rischio per il mercato: “Il day after della chiusura di tutte le skin di gioco (l’ipotesi è che i giocatori potrebbero tornare tutti ai concessionari di origine, Ndr) cosa succederà ai giocatori che si ritroveranno senza il loro sito di riferimento? Il nostro timore è che senza continuità di offerta di gioco molti scommettitori che dovessero chiudere il conto si troverebbero in mezzo ad una giungla di proposte la maggioranza delle quali saranno illegali. Si trovano ovunque siti di gioco, post social, affiliatori senza scrupoli. E il problema più importante è che i giocatori non sanno nulla. Non sanno cosa sia la differenza tra punto com e punto it. Ci troviamo a parlare con centinaia di clienti e tanti player non sanno che alcuni top brand di poker online in Italia non possiedono neanche la licenza. Senza la possibilità di comunicare il gioco legale e con il decreto Dignità ancora in vigore (e in agenda non c’è neanche una revisione dello stesso, Ndr) il rischio di veder defluire tanta raccolta verso il gioco illegale è altissimo.”

Il direttore dell’Ufficio del gioco a distanza e scommesse dell’Agenzia delle dogane e dei Monopoli, Antonio Giuliani, ha chiesto di cambiare linguaggio e di non dipingere i giocatori come pronti a delinquere e a cadere nelle braccia dell’illegalità: “Ma i player vorrebbero spendere i loro soldi su piattaforme legali ed essere tutelati. Il problema - prosegue il Ceo di Game Revolution - è che non sanno discernere cosa hanno davanti. Se si può versare, giocare e incassare cosa cambia? Con i giocatori di poker è più facile perché tutti sviluppano rapporti più stretti con loro ma nel betting è molto più complesso. Non dobbiamo ragionare da addetti ai lavori, chi è digiuno ed occasionale non conosce nessuna di queste dinamiche e cade facilmente nei mercati illegali.”

Per il poker, quindi, cambierà poco? “Sì, il mercato è già di per sé polarizzato attorno ai grandi operatori e chi andrà via dalle skin potrebbe confluire comunque nella rete in cui già c’era.”

Secondo Busato l’approccio dovrebbe essere totalmente differente: “Nei Paesi scandinavi da anni vincolano il 10 percento del fatturato del gioco su investimenti stanziati per la lotta alla ludopatia. Gli operatori di gioco vogliono player che mettono l’intrattenimento al centro e non spremere i conti nel giro di un mese. Noi lavoriamo da 15 anni nel settore e abbiamo sempre pensato che i giocatori debbano avere una longevità e che vadano tutelati. Abbiamo creduto da sempre nel mercato legale e siamo stati i primi a fare affiliazioni”, conclude Busato.

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