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CdS: 'No a risarcimento Covid, chiusura giochi era giusta prevenzione'

13 marzo 2025 - 15:43

La società chiedeva un risarcimento di 376.957,54 euro per mancato guadagno evidenziando anche una disparità di trattamento rispetto alle tabaccherie, non ravvisata dal Consiglio di Stato.

Scritto da Daniele Duso
Credit © Daderot - Wikipedia

Credit © Daderot - Wikipedia

Alle attività di gioco obbligate a una lunga chiusura a causa del Covid-19 non spetta alcun risarcimento. 

A dirlo, anzi, a ribadirlo, è il Consiglio di Stato, che respinge il ricorso con il quale una società che gestisce attività di raccolta delle scommesse e delle giocate mediante apparecchi Awp e Vlt installati presso diverse regioni italiane chiedeva la riforma di una sentenza a lei avversa del Tar del Lazio.

La società lamentava, tra il resto, un eccesso di potere per difetto di istruttoria da parte della presidenza del Consiglio dei Ministri e del ministero della Salute, oltre a una disparità di trattamento (visto che le tabaccherie, dove pure si poteva giocare, rimasero aperte), manifesta illogicità e difetto di proporzionalità; il tutto quantificando la propria richiesta risarcitoria nella somma complessiva di 376.957,54 euro (303.304,86 euro a titolo di mancato guadagno e 73.652,68 euro a titolo di spese correlate ai canoni di locazione, utenze, Tari e spese prevenzione.).

Secondo i legali della società il Tar Lazio aveva omesso "qualsiasi valutazione sull’effettiva sussistenza del rischio di contagio, rischio meramente desunto dai verbali del Comitato tecnico scientifico del 18.10.2020 e del 3.12.2020, in assenza di elementi desumibili dall’esperienza comune o dalle prolungate osservazioni del fenomeno".

Nulla da fare secondo il Consiglio di Stato, che sottolinea la sua concordanza con il parere del Tar Lazio.

Secondo i giudici del CdS, infatti, "la misura della sospensione dell’attività delle sale gioco e scommesse è conforme ai pareri resi dal Comitato Tecnico Scientifico - organo individuato e deputato dalla legge ad effettuare valutazioni tecnico scientifiche sul rischio di contagio", riportando, a proposito dei locali da gioco, che "la classificazione del rischio di contagio è stata ritenuta medio-alta, con caratteristiche elevate riconnesse all’aggregazione di persone in locali chiusi, in spazi confinati ed all’utilizzo di superfici di contatto promiscuo."

In quanto alla disparità di trattamento "rispetto all’attività delle tabaccherie per la raccolta dei giochi di pura aleatorietà e alla somministrazione di alimenti e bevande mediante il consumo al tavolo", nota il CdS, "atteso che l’attività di gioco presso le sale scommesse non si esaurisce nel tempo della singola giocata, ma implica il trattenimento presso i locali adibiti per un tempo che generalmente coincide con la propensione al gioco dell’utente, il quale non rimane normalmente confinato in un’area specifica della sala, con conseguente difficoltà nell’individuazione preventiva e nel mantenimento delle distanze".

Spiega infine il CdS che "le prescrizioni impugnate appaiono conformi anche al principio di precauzione, pilastro dell’azione amministrativa durante il periodo pandemico. In base a tale principio, quando sussistono incertezze riguardo all'esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possono essere adottate misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di detti rischi. Qualora risulti impossibile determinare con certezza l'esistenza o la portata del rischio asserito, a causa della natura non concludente dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per la salute pubblica nell'ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l'adozione di misure restrittive".

Questi i motivi che portano anche il Consiglio di Stato a non ritenere valida la richiesta di risarcimento, respingendola nettamente.

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