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Sanatoria Ctd, Tar Lazio: 'Stanleybet non è assimilabile ai concessionari di Stato'

26 maggio 2023 - 10:12

Il Tar Lazio respinge ricorso di Stanleybet contro i provvedimenti di Adm relativi alla disciplina della sanatoria fiscale prevista dalla legge di Stabilità 2016, ritenuti di 'scarsa chiarezza'. Il commento del legale Daniela Agnello.

Scritto da Fm
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“Ad avviso del Collegio, nessuna consolidata posizione - avente copertura nelle pronunce della Corte di giustizia - può vantare Stanley in ordine alla possibilità di proseguire la propria attività in Italia attraverso la propria rete, non risultando essa in alcun modo affrancata dal rispetto della normativa interna, non potendo desumersi da quanto affermato dalla Cgue il riconoscimento della legittimità di tali attività o la sussistenza di una posizione protetta dalla giurisprudenza comunitaria, che debba essere salvaguardata dalla nuova disciplina di cui al comma 926, pena l’attribuzione a Stanley di una posizione di ingiustificato privilegio, in ragione della possibilità in capo a questa di operare senza i vincoli derivanti dal sistema concessorio (prestazione di cauzione, rischio di decadenza, limite al numero dei punti commerciali, posizionamento dei locali, che invece gravano su coloro che abbiano partecipato alla gara del 2012 e si siano aggiudicati la concessione), anche in ragione della possibilità di stipulare contratti per la gestione dei punti di commercializzazione con persone che nei fatti non sono sottoposte ai controlli preventivi previsti dal Tulps. Non è, quindi, vero che Stanley, in quanto latrice di pregressa discriminazione, possa per sempre sottrarvisi: simile deroga vale se e fino a quando la discriminazione non venga rimossa mercé una gara depurata da ulteriori vantaggi per i concessionari in essere. Una volta verificato detto presupposto (in tal senso, la citata sentenza del Consiglio di Stato, n. 3985/2015), la posizione di Stanley è ormai quella di ogni altro aspirante operatore di settore”.

 

È questo il nodo principale della sentenza con cui il Tar Lazio respinge il ricorso con cui Stanley International Betting Limited e Stanleybet Malta Limited hanno impugnato i provvedimenti  attuativi delle previsioni contenute nella legge di Stabilità 2016 di estensione della procedura introdotta dalla legge di Stabilità 2015 volta a consentire, “in attesa del riordino della materia dei giochi pubblici”, la regolarizzazione fiscale degli operatori “che comunque offrono scommesse con vincite in denaro in Italia, per conto proprio ovvero di soggetti terzi, anche esteri, senza essere collegati al totalizzatore nazionale dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli” anche se “non hanno aderito entro il 31 gennaio 2015 alla procedura di regolarizzazione di cui al medesimo comma, nonché a quelli attivi successivamente alla data del 30 ottobre 2014”.

 

Le società, dopo aver premesso di godere di una “posizione … da considerare a tutti gli effetti assimilabile a quella dei concessionari nazionali in considerazione dei plurimi riconoscimenti ricevuti dalla Corte di giustizia” e di essere, comunque, “interessat(a) alla regolarizzazione delle proprie attività in Italia attraverso la rete dei Ctd” - hanno contestato, in particolare, le determinazioni dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli  di adozione del modello di dichiarazione di impegno alla regolarizzazione fiscale (contenente prescrizioni diverse a seconda che il richiedente intenda divenire un punto aggiuntivo della rete fisica di raccolta di un concessionario oppure far parte di una autonoma rete fisica di raccolta), di approvazione dei due disciplinari (relativi rispettivamente alla regolarizzazione presso un concessionario già operante o quale operatore autonomo) e di disciplina della procedura semplificata di dimostrazione del possesso dei requisiti da parte dei soggetti che già avevano manifestato la volontà di regolarizzarsi nonché i successivi atti di chiarimento dell’Agenzia (oltre che per omessa notifica alla Commissione europea ai sensi della direttiva 98/34/CE) in relazione all’aver tali atti creato “una situazione di totale incertezza in relazione alla sua peculiare posizione giuridica … sia per la scarsa chiarezza e complessità della disciplina della regolarizzazione, sia per le conseguenze che la regolarizzazione avrebbe potuto determinare in termini di riconoscimento delle somme dovute ad Adm a titolo di Imposta unica … nonché con riguardo ai possibili profili di autoincriminazione”.

Stanley quindi ha chiesto quindi l’annullamento di tutti tali atti, previa disapplicazione, ove occorra, del citato comma 926 (di modifica dei commi 643 e 644 dell’art. 1 della legge n. 190/2014) e, in via subordinata, la sollevazione innanzi alla Corte Costituzionale di talune questioni di legittimità costituzionale e/o la rimessione della causa, alla Corte di giustizia dell’Unione europea, per l’interpretazione pregiudiziale del diritto dell’Unione in relazione alla conformità ad esso delle norme e delle misure nazionali contestate.

Nel respingere il ricorso, i giudici amministrativi capitolini evidenziano che debba “essere, innanzi tutto, smentito l’assunto da cui muove parte ricorrente fondato sull’asserita titolarità di una posizione giuridica qualificata asseritamente impressale dalle già richiamate sentenze della Corte di giustizia, da costei ritenuta finanche 'assimilabile a quella dei concessionari nazionali' tanto da abilitarla ad operare in Italia attraverso la propria rete di Ctd pur in assenza del titolo concessorio e senza la prescritta autorizzazione di polizia (il cui rilascio presuppone la titolarità di una concessione).

Ritiene, infatti, il Collegio che l’essere stata Stanley - per come riconosciuto dalla Cgue - illegittimamente esclusa dalle procedure di affidamento delle concessioni di gioco del 1999 e del 2006 non faccia sì che la stessa abbia acquisito la titolarità di una speciale posizione rispetto alla generalità degli esercenti, che le consenta di affrancarsi dal quadro regolatorio vigente in Italia.

La portata degli invocati arresti della Cgue riverbera effetti, quanto alla posizione di Stanley rispetto all'ordinamento italiano, solo con riferimento alla non suscettibilità di applicazione delle sanzioni penali per l’esercizio del gioco da parte di propri esponenti aziendali o titolari dei Ctd, in quanto illegittimamente esclusa dalle precedenti gare in virtù di una disciplina contraria ai principi del Trattato, senza che il sistema concessorio italiano - espressamente ritenuto ammissibile in quanto giustificato da scopi di interesse generale e, di per sé, proporzionato al perseguimento degli stessi - ne sia per l’effetto in tal modo scalfito.

Se, quindi, le pronunce comunitarie esplicano certamente effetti sul piano delle conseguenze penali previste dall’ordinamento italiano per l’esercizio dell’attività di gioco e raccolta scommesse tramite rete fisica senza concessione e senza autorizzazione di polizia (ciò a fronte dell’illegittima esclusione di Stanley dalle precedenti procedure di affidamento delle concessioni, come derivante da riscontrati profili di contrasto con il diritto comunitario di talune previsioni dettate dalle discipline delle gare precedentemente indette), giammai è stata affermata, nelle citate pronunce, la conformità al diritto interno italiano del modus operandi di Stanley.

Tali pronunce si sono, infatti, limitate ad affermare - si ripete - come in ragione della illegittima esclusione, derivante da talune previsioni riferite alle gare del 1999 e 2006, non potessero derivare conseguenze sul piano penale.

Né, sulla base di una inammissibile trasposizione delle conseguenze penali delle sentenze della Corte di giustizia sul piano amministrativo, può riconoscersi all’attività di Stanley il carattere di legittimo esercizio delle libertà di stabilimento e di prestazione di servizi: ciò proprio perché tali pronunce si erano limitati ad affermare la non punibilità penale dei soggetti incorsi nelle ipotesi di reato di cui all’art. 4, comma 1 e comma 4 bis della l. n. 401/1989 (intermediazione nella raccolta delle scommesse) in ragione dell’esercizio di attività di gioco in assenza di una concessione che era stata loro illegittimamente negata”.

Il Tar poi sottolinea che non si può ravvedere “alcuna discriminazione a danno di parte ricorrente sia rispetto ai concessionari di Stato, attesa la non assimilabilità di Stanley a quest’ultimi, sia rispetto agli altri operatori aderenti alla procedura di cui al comma 643, per aver Stanley liberamente scelto di non parteciparvi, pur potendovi”.

Poi, in merito alla necessità di richiedere ed ottenere l’autorizzazione di cui all’art. 88 del Tulps (comma 633, lett. a) e lett. g)) – chiarito come la discriminazione patita in passato da Stanley non legittimi affatto i suoi Ctd ad operare in assenza di tale titolo abilitativo prescritto in Italia per offrire scommesse, il Collegio “rileva il carattere meramente ricognitivo di tale previsione a ben vedere volta a ribadire l’obbligo di conseguire la licenza di pubblica sicurezza nell’ambito di un sistema normativo italiano per l’appunto basato sul binomio 'concessione più autorizzazione', come già evidenziato, riconosciuto legittimo e conforme al diritto dell’Unione dalla Corte di giustizia.

A ciò si aggiunga come la Corte di cassazione penale, sulla scorta di quanto affermato dalla Cgue nelle sentenze 'Placanica' e 'Costa - Cifone', abbia riconosciuto la non applicabilità ai Ctd Stanley del reato di cui all’art. 4, comma 1 e comma 4 bis della l. n. 401/1989 (intermediazione nella raccolta delle scommesse) solo in caso di presentazione dell’istanza di cui all’art. 88 del Tulps (in tal senso, Sezione Terza, n. 39094/2013, nonché da ultimo n. 5568/2022)”.

Ai giudici amministrativi appare, infine, “del tutto pretestuosa la pretesa di Stanley a che la propria rete di Ctd debba rimanere integra nel tempo in ogni suo singolo componente, essendo al contrario fisiologico che alcuni punti possano non essere in grado di munirsi di tale titolo e che, pertanto, debbano chiudere.

Quanto, poi, alla presunta violazione del divieto di autoincriminazione che renderebbe da un lato illegittimi i provvedimenti impugnati e dall’altro la normativa presupposta contraria al prefato principio di cui all’art. 6 della Cedu, osserva il Collegio come esso sia stato nel caso di specie oggetto di un ragionevole contemperamento da parte del legislatore con altri interessi pubblici, parimenti rilevanti, come il contrasto della diffusione del gioco irregolare o illegale in Italia, la tutela della sicurezza, dell’ordine pubblico e dei consumatori, specie minori d’età.

D’altra parte, ben si comprende come l’applicabilità di tale principio si ponga in una posizione di radicale incompatibilità logica con la ratio che sorregge le disposizioni dettate ai commi 643 e 644, dove il contestato obbligo di comunicazione, a ben vedere, non è altro che uno strumento utilizzato dal legislatore per individuare i centri di raccolta scommesse che non abbiano provveduto nemmeno ad inviare l’istanza di cui all’art. 88 del Tulps, esigenza ineludibile per uno Stato che regoli la raccolta scommesse sulla base del sistema concessorio.

L’obiettivo della procedura di regolarizzazione di cui si discorre rimane, infatti, quello di riportare nella legalità il mondo dei giochi, attraverso attività autorizzate e regolamentate, con norme che valgano per tutti gli operatori del settore.

Il legislatore non persegue, dunque, l’intento di ottenere una autoincriminazione degli esercenti interessati, invero consentendo a quest’ultimi, di conseguire, con l’adesione alla procedura, un diritto avente contenuto analogo a quello degli operatori titolari di concessione rilasciata dall’Agenzia, in forza del quale costoro sono pienamente legittimati a svolgere l’attività di raccolta scommesse.

Il meccanismo della regolarizzazione introdotto dalla l. n. 190/2014, se, dunque, comporta l’emersione di attività precedentemente illecite, determina al contempo il venir meno, per definizione, di tale carattere illecito, in sostanza riportando quelle attività nella legalità come confermato dal superamento di eventuali denunce od incriminazioni penali pregresse, che consegue all’adesione alla procedura (valevole, infatti, anche quale richiesta di rilascio della licenza di pubblica sicurezza).

In definitiva, l’obbligo di comunicazione previsto alla lett. e) del comma 644 non appare violare il principio di autoincriminazione, in quanto non solo desumibile già in base al combinato disposto delle norme penali ed amministrative già vigenti e, pertanto, già esistente in subiecta materia, non essendo ammissibile né alcuna attività libera, né, quanto agli effetti della relativa istanza, alcuna ipotesi di Scia o silenzio-assenso, ma anche perché riferito a esercenti già soggetti (per definizione) al rischio di deferimento all’autorità giudiziaria in relazione al semplice riscontro dell’effettivo esercizio di un’attività di raccolta non comunicata.

Ne discende, per l’effetto, la radicale infondatezza della censura, invero, basata su non certo né meglio precisato potenziale deferimento all’autorità giudiziaria, tanto più in considerazione della circostanza, già evidenziata, che la Corte di Cassazione penale considera tale adempimento come lo strumento per evitare il rinvio a giudizio o la condanna per il reato di intermediazione nella raccolta delle scommesse”.

Inoltre, al Tar Lazio appare “priva di qualsiasi fondamento la pretesa violazione dell’art. 3 della Costituzione, non corrispondendo al vero che Stanley, per effetto delle sentenze della Corte di giustizia, goda di posizione giuridica qualificata che di fatto la equipari ai concessionari, sicché non sembra rinvenibile alcuna relativa discriminazione rispetto a quest’ultimi, siano essi legittimi in ragione delle precedenti procedure di aggiudicazione ovvero legittimati per effetto della procedura di regolarizzazione di cui si discorre.

Lo stesso è a dirsi per quel che riguarda la sospetta incostituzionalità delle disposizioni in discorso 'sotto il profilo della violazione del principio della libertà di concorrenza'”.

Per il Collegio è “Stanley a pretendere di operare nel mercato della raccolta di gioco mediante scommessa a condizioni diverse da quelle che derivano dal quadro regolatorio nazionale e come, in un tale contesto, siano - semmai - i concessionari di Stato a potersi dolere della concorrenza non paritaria che pratica Stanley e la rete fisica di raccolta che ad essa è contrattualizzata, ricorrendo al vantaggio competitivo a cui si è già accennato e che parte ricorrente, fino ad oggi, è stata in grado di sfruttare per effetto di quel singolare 'salvacondotto' di cui pure si è detto.

Né può essere condiviso quanto affermato da parte ricorrente in merito all’essere impedito 'il normale svolgimento dell'attività di Stanley e dei suoi Ctd', per l’effetto 'priva(ti) della loro libertà contrattuale', in ragione dell’evidente ribaltamento del concetto di normalità su cui si fonda: 'normali' sono, infatti, i concessionari di Stato e le loro reti, nella misura in cui si conformino al quadro regolatorio nazionale e non anche coloro che operino in assenza dei prescritti titoli abilitativi.

Non è dunque ravvisabile, sotto tale aspetto, l’incostituzionalità di una disciplina procedurale che, a ben vedere, offre a Stanley e alla sua rete di allinearsi, anche concorrenzialmente, ai concessionari di Stato”.

 

IL COMMENTO DELL'AVVOCATO DANIELA AGNELLO: "RICORSO AL CONSIGLIO DI STATO" - Ecco le parole con cui il legale di Stanleybet, l'avvocato Daniela Agnello, commenta la sentenza: "Il Tar Lazio, in contrapposizione anche con il Consiglio di Stato, non ha valutato la posizione di Stanleybet quale soggetto sanato dalla giurisprudenza. Ha omesso di prendere in considerazione le reiterate discriminazioni subite nell’accesso al sistema concessorio italiano e non ha valutato la sentenza Laezza della Corte di giustizia Ue o i reiterati ostacoli frapposti dall’autorità  nel corso degli ultimi 20 anni e che hanno costretto l’operatore ad avviare faticosi e onerosi contenziosi nazionali. 
La sentenza emessa sulla regolarizzazione fiscale verrà impugnata al Consiglio di Stato ove verrà chiesto anche il giudizio di interpretazione pregiudiziale davanti alla Corte Ue per la conferma della discriminazione fiscale subita dall’operatore Stanleybet".

 

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