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Dalla Russia con dolore, nel racconto di Serena Vitale

26 ottobre 2022 - 10:35

La slavista Serena Vitale a tutto campo sul paese guidato da Putin, tra naturale propensione al gioco, cultura e l'invasione dell'Ucraina.

La piazza Rossa nel 1801 in un dipinto di Fëdor Jakovlevič Alekseev

La piazza Rossa nel 1801 in un dipinto di Fëdor Jakovlevič Alekseev

Un amore che non evita un pesantissimo giudizio. E come sempre, più grande è l'amore, maggiore è la delusione se l'amato sbaglia, in questo caso in maniera differente dalla “semplice” non corresponsione dell'amore stesso.
Ma partiamo dal principio, nel colloquio con Serena Vitale, slavista, scrittrice e traduttrice. 

Da dove nasce il suo interesse per i popoli slavi e che cosa l'affascina in particolare di essi?

“Non ero una bambina prodigio, ma mia mamma mi portava con sé fin da piccola a scuola, dove insegnava, e così già a tre anni sapevo leggere e scrivere. E tra i primi libri della biblioteca di casa che ricordo di aver letto ce n'era uno di Puškin. Purtroppo, però, non mi affascina più niente della Russia di oggi e non la riconosco più. Ci ho passato un quarto di vita, ho conosciuto i problemi della Russia sovietica, pur se da privilegiata, conosco le carceri di confino russe e ho tanti amici dissidenti. Nella Russia sovietica la povertà non era un problema perchè si riusciva a mangiare, e intanto la mente e il pensiero funzionavano. Da oltre dieci anni non vado più perché la Russia putiniana mi fa schifo e si è visto di cosa Putin è stato capace. Mosca è cambiata da un giorno all'altro: da città mesta, come quelle sotto le dittature, è diventata scintillante, come un albero di Natale, e la corruzione non è stata più un problema perchè è diventata un sistema. Io amo la scrittura e la letteratura russa. Conosco il ceco, il polacco, ma il mio grande amore è stato la Russia. Con dolore dico 'è stato', e non è cosa passata a causa dei russi, ma di quel pazzo che è al governo”.

Da febbraio è in corso un sanguinoso conflitto tra Russia e Ucraina...

“No, non è un conflitto, ma un'invasione, come quando l'esercito hitleriano invase la Polonia. Ed è un conflitto che non mi aspettavo”.

Sarà possibile arrivare a un percorso di pace e grazie a chi?

“Non bisogna arrivarci attraverso la sconfitta dell'Ucraina. È giustissimo mandare le armi, lo ripeto ad altissima voce, ma chi potrà ricostruire tutto quello che è stato distrutto? Mi vergogno di essere stata una russista e posso dire che non c'è mai stata una divisione tra Ucraina e Russia. La ferocia di questa invasione è paragonabile solo a quella di Hitler e poi naturalmente c'è anche il mio dolore per le vittime russe. Putin prende ragazzi giovani, facce belle dagli occhi azzurri, dalle repubbliche più lontane e che non sanno neanche chi siano gli ucraini. Sta uccidendo i suoi”.

Quanto è importante e opportuno valorizzare la cultura russa e ucraina in questo periodo di conflitto e di divisione anche in Occidente?

“La cultura non si tocca. I brutti libri restano brutti libri, ma quelli bellissimi di Gogol (che peraltro era ucraino) e di Dostoevski non si toccano. Giù le mani dalla letteratura e dalla cultura in genere”.

Lei ritiene che in Italia esista un'adeguata conoscenza dei popoli slavi, utile anche a comprendere le attuali dinamiche?

“Abbastanza. Io ho insegnato per 42 anni e ho visto sempre interesse, almeno nei giovani. Del resto, è difficile leggere 'Delitto e castigo' senza innamorarsene”. 

Nella sua lunga prefazione a  “Briciole della vita”, libro di Pëtr Andreevic Vjazemskij edito da Adelphi, scrive che il gioco è un elemento immancabile e imprescindibile della vita russa. Come descriverebbe tale propensione al gioco?

“Il tema del gioco si ritrova in tanti autori, che forniscono una esagerazione narrativa della vita quotidiana, anche nella Russia che ho conosciuto io. Basti pensare alla 'Dama di picche' di Puškin e ai personaggi che hanno ispirato tanta narrativa e poeti. In Italia le moglie le ammazzi, in Russia te le giochi. E anche a giudicare da Dostoevski c'è un Russia una particolare propensione all'azzardo. Lui stesso è sempre vissuto in povertà per via della sua stramaledetta passione per il gioco. E ammetto.... pure io ero una giocatrice prima del Covid. Mi piaceva soprattutto il poker, al termine di una cena, ma ora non è il momento di riunirsi con gli amici”.

Nella sua ultima opera data alle stampe, sempre edita da Adelphi, la traduzione de “Il coccodrillo”, si mostra un  Fëdor Dostoevski giocoso, oltre che autore de “Il giocatore”. Ci può dire qualcosa in più?

“Si tratta di uno dei pochi racconti comici dello scrittore, in tutto sono tre o quattro. Scritto in gioventù, è una presa per i fondelli dei progressivi. In questo racconto, Dostoevski  si diverte e fa divertire come un matto. È stato un'impresa tradurlo, visti i tanti giochi di parole e lo stile complicato che non fa capire se sbaglia sul serio o se fa finta di sbagliare. Talvolta Dostoevski è un umorista come Charles Dickens, ma va letto bene, e invece finora è stata accentuata solo la sua parte seriosa”.

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