Fulvio Ervas, c'è sempre bisogno di un Eden
Il papà dell'ispettore Stucky racconta la lunga genesi e il messaggio della sua ultima fatica letteraria, 'Piccolo libro di entomologia fantastica'.
Anche nel “Piccolo libro di entomologia fantastica” Fulvio Ervas ci fa incontrare i temi a lui cari della natura, vista con un occhio scientifico che però non perde la capacità e la voglia di stupirsi, e il sentimento, inteso quasi come forma di dialogo, sia interiore che con il mondo esterno. Il padre dello scanzonato ispettore “Stucky” (otto romanzi e un’apparizione al cinema con “Finché c’è prosecco c’è speranza”), ama spesso deliziare i suoi lettori con storie che stimolano riflessioni profonde, come “Se ti abbraccio non aver paura”.
Come nasce invece questo ultimo libro, da quale esigenza scaturisce? “È un libro che nasce 17 anni fa, dopo una visita a un farfallario a Montegrotto Terme (Pd) e una villa tra i colli euganei. I due mondi mi sembravano incredibilmente fantastici e ho provato a unire due contenitori di bellezza e di tempo. Forse cercavo una favola un po’ originale, un’attraversata delle esperienze del vivere mescolando piccoli insetti, piccoli uomini e grandi giardini. Il bisogno di un Eden, in fin dei conti, dove si coltiva, ci si ascolta, si fanno dei bilanci e dove c’è spazio per diventare farfalle”.
È una storia che, in qualche modo, si collega a qualcuna delle sue precedenti? “Penso in particolare a 'Il convegno dei ragazzi che salvano il mondo', se non altro per i protagonisti, che anche in questo caso sono dei bambini.
Ne 'Il convegno dei ragazzi' il tema è esplicitamente ambientalista e parla a un pubblico di ragazzi, solleva il bisogno, che si sente in tante piazze che si battono per la tutela ambientale, di avere cura per la Terra, perché non c’è davvero un pianeta B. I ragazzi si autoconvocano in un convegno mondiale, dove non c’è posto per gli adulti, quelli che stanno mettendo in crisi l’ambiente. È il sogno di una generazione che si prende il diritto al futuro, con gioia, coraggio e molto sentimento. I ragazzi del Piccolo libro non sono coscientemente degli ambientalisti, sono degli aspiranti collezionisti, dei ragazzi curiosi, anche originali e finiranno per intraprendere un viaggio in cui la cosa più bella da collezionare è l’esperienza e la relazione”.
Nel libro si racconta dell’incontro di due poli opposti: da una parte i ragazzi, perennemente in cerca di novità, dall’altra gli anziani, chiusi in una villa e intenti a una ordinata e paziente cura dell’orto.
Ma possiamo leggerla anche come un incontro che è anche “scontro”, per quanto a lieto fine, tra due realtà molto diverse, qui presentato quasi come le due facce della stessa medaglia? “Sì, anzi nella versione di 17 anni fa, i due mondi si confrontavano piuttosto duramente. Ma la riscrittura attuale mi ha spinto a limare certe contrapposizioni, penso che il conflitto generazionale debba evolvere in una compenetrazione tra i diversi stadi della vita. Probabilmente è utopistico, ma il bisogno di una alleanza tra umani è sempre più urgente e necessaria, come ci mostra questa pandemia. Non ci si salva da soli”.
C’è anche una diversa concezione del tempo negli spazi della narrazione… “I tempi dei due mondi, ragazzi e anziani, scorrono diversamente per una parte del libro. È un fatto di diversa velocità dell’agire, del sognare, del pretendere. Però poi si incontrano e lì, forse, la sfida narrativa era più forte e, spero, sia stata più emotivamente coinvolgente. I tempi si mescolano, sia pure temporaneamente, come due maree lasciando uno scambio di piccoli, affettuosi, detriti, come piccoli doni”.
I ragazzi del libro non hanno adulti di riferimento, possiamo vederla come una critica al periodo attuale, alla difficoltà (o impossibilità) di comunicazione tra giovani e adulti? “Sono i figli di famiglie distratte, come accade spesso e lo dico senza accuse. Essere genitori è un lavoro complesso. I loro adulti sono presenze in transito, apparizioni, certo non prive di forza come la mamma di Red. Probabilmente hanno fame di persone adulte, ma non riescono a trovare il posto dove nutrirsi di questo bisogno affettivo. Paradossalmente convergono in un luogo dove gli adulti sono giunti a una fase delicata della vita e, tuttavia, è in quel luogo bello e fragile che possono entrare in contatto due mondi temporali diversi.
Invece i ragazzi hanno una guida forse atipica, una bambina, una pippicalzelunghe che con intelligenza e carisma riesce a crearsi un gruppo attorno e a convincere tutti a seguirla. Il suo essere l’unica ragazza del gruppo pone ancora più in risalto il personaggio.
È la forza delle ragazze, Daisy è miscela di carisma e di sogno, sospesa tra il fascino delle farfalle e la volontà di aiutare la madre, la dolce balena. È acuta, competente, sa tessere relazioni e sa confidarsi con gli adulti, quando ne trova di speciali come madame Lamarr. È, insomma, quel tipo di adolescente che comincia ad imparare a tessere i fili della sua vita, magari provocando qualche nodo ma con grande energia”.