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L'apollineo e il dionisiaco del gioco

05 novembre 2022 - 10:01

Secondo la scrittrice Costanza DiQuattro quello dei giocatori d'azzardo è un mondo ben distanza da quello degli scacchi, i mondi si contrappongono come il dionisiaco e l'apollineo.

Scritto da Anna Maria Rengo

Non fate come la sottoscritta e non cercate inutilmente su Google. L'origine del titolo del libro “Arrocco siciliano” (edito da Baldini+Castoldi), freschissimo di stampa, lo spiega direttamente la sua autrice, la scrittrice ragusana Costanza DiQuattro: “L'arrocco è una mossa degli scacchi, ma quello siciliano non esiste.

Semmai, esiste la mossa siciliana. Nella scelta del titolo ho dunque giocato su un errore, così da fuorviare il lettore. Per arrocco siciliano intendo il modo di vita di noi siciliani, quel nostro arroccarci su idee e principi, la nostra paura del nuovo, dell'estraneo, insomma, quelle che a volte sono le caratteristiche della nostra terra, e
ho giocato anche sul protagonista, che è un giocatore d'azzardo, avvizzito dal vizio, modo di dire che rende davvero l'idea. Quello dei giocatori d'azzardo è un mondo ben distanza da quello degli scacchi, per antonomasia il gioco dell'equilibrio, dell'attenzione, della meditazione, con le sue mosse che possono durare ore. I due mondi si contrappongono come il dionisiaco e l'apollineo. Il mio protagonista cerca di imparare gli scacchi ma non ci riesce, sono troppo distanti da lui e allora esclama: 'Adesso faccio l'arrocco siciliano', che non esiste, e da qui si sviluppa il gioco della scrittura”.

Insomma, un libro dove il gioco è il filo conduttore. Come mai ha scelto di introdurlo con citazioni, di Jorge Luis Borges, Fëdor Michajlovicˇ Dostoevskij e Gigi Proietti, nei primi due casi proprio sul gioco?
Ho scelto i tre capisaldi di tre strutture: la letteratura; la filosofia (materia nella quale mi sono laureata) e il teatro, in omaggio al Teatro Donnafugata che sta dentro
casa mia e che gestisco con mia sorella Vicky”.

Gli scrittori siciliani, da Luigi Pirandello a lei, passando per Andrea Camilleri e Simonetta Agnello Hornby, al di là delle tante differenze soggettive, sono accomunati da un uso della lingua particolarmente evocativo e caratterizzante. Come mai, secondo lei?
“Questa caratterizzazione viene dall'uso che c'è stato del siciliano, sdoganato da Camilleri fino a farlo diventare una lingua quasi nazionale. Credo poi che noi siciliani abbiamo un fortissimo senso di appartenza anche se siamo perennemente combattuti tra la voglia di andare e quella di tornare, percepiamo la nostra terra come maligna ma ne sentiamo il grande richiamo. Ci contraddistingue una grande conflittualità, che ci porta a essere quello che siamo e che siamo stati nella storia, dominati e dominanti. È difficile che il siciliano non sia quasi tronfio nella sua sicilianità, che è quasi una malattia che ci fa rischiare di essere poco oggettivi. Mettiamo la testa sotto la sabbia perchè non vogliamo ammettere alcune cose e siamo greci nell'animo. Qualsiasi cosa accada diciamo 'noi siamo greci', dunque abbiamo radici che affondano nella storia, e non di cinquanta o cento anni fa!”.

Alla sua attività di scrittrice lei abbina la gestione del Teatro Donnafugata di Ragusa. In che modo queste attività di completano e che cosa significa fare cultura in questi difficili anni e nel suo territorio?
Fare cultura è un dovere morale e civile che abbiamo soprattutto in questo periodo storico. Negli anni della pandemia tutti ci siamo resi conto di come la cultura sia l'unico modo per risollevarci dal punto di vista morale e psicologico. La gente aveva bisogno di film, di spettacoli teatrali, di presentazioni online. E anche ora non si può prescindere dalla pare culturale e romantica, nella sua accezione letteraria. Abbiamo bisogno di libri, di confrontarci, altrimenti non verranno nuove idee, non si cambierà il passo e resteremo come in uno stagno dove l'acqua imputridisce sempre di più. Inoltre, la cultura è un veicolo economico importantissimo”.

Nonostante la giovane età, lei ha scritto molti libri di successo ed è stata anche finalista del Premio Strega. Lei pensa che il valore della lettura e della scrittura
resisterà ai colpi dei social? 

“La scrittura è uno dei punti fermi che nessun TikTok o Instagram potrà surclassare. Io la paragono all'agricoltura, che talvolta passa dei momenti in cui viene snobbata ma, come dice mio nonno, imprenditore agricolo che oggi ha 92 anni, 'sempre qui dovete tornare'. Lo vediamo ora, con l'economia e il settore energetico in frantumi: l'agricoltura è uno dei punti fermi su cui costruire basi solidissime. E lo stesso vale per la letteratura, che consente alle persone e alla società di crescere, in maniera lenta e graduale. Il ritorno alle origini sarà il giusto modo per ricominciare, avendo più rispetto per la natura, ma anche per la cultura. Penso ai ragazzi che scrivono o che parlano 'in corsivo': ecco, questa è una mancanza di rispetto per le fondamenta della lingua italiana, così come lo è, nei confronti della natura, lo spreco dell'acqua o l'uso di cibi spazzatura, ed è proprio la mancanza di rispetto ad averci portato alla sitazione attuale”.

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