“La nostra cultura ha le sue radici nel mondo classico, che ha sempre influenzato, pur secondo modi e tempi diversi, il pensiero della civiltà occidentale nel percorso del suo sviluppo storico. Appare pertanto ovvio che a quel mondo e al suo sapere dobbiamo comunque rivolgere viva attenzione e adeguati studi: in fondo conoscerlo non può che produrre una migliore riflessione e un approfondimento sul senso del nostro essere attuale, ignorarlo ci renderebbe interiormente orfani”.
Questo l'invito che arriva da Mino Gabriele, professore di Iconografia e iconologia e di Scienza e filologia delle immagini presso l'Università di Udine, nonché autore di numerosi libri, ultimo dei quali “I sette talismani dell'Impero" (Adelphi Edizioni) nel quale trasporta i lettori in un mondo di grande fascino, quello sacro degli antichi.
In che modo e in quali ambiti convivevano il credibile e l'incredibile?
“Il ‘credibile’ e l’‘incredibile’ convivevano in sintonia in quanto la visione del mondo era unitaria e coniugava i suoi molteplici aspetti in una trama che tutto nutriva e avvolgeva. La chiave di volta di questo insieme eterogeneo eppure omogeneo, presso i Romani (ma non solo), era il rapporto con il divino e dunque con il sacro ad esso congiunto. L’armonia di tale relazione, che garantiva benefici per il popolo e impero per l’Urbe, era demandata alla perfetta esecuzione delle pratiche religiose, prescrittive affinché il dialogo con il divino, tra ‘credibile’ e ‘incredibile’, mai si guastasse e desse continua cifra all’esistenza. In quest’ottica, per un romano, sacro e realtà coincidevano, si trattava solo di interpretare correttamente e religiosamente le dinamiche per mantenere tanto accordo ed evitare possibili discordie”.
Dei sette talismani, quale l'affascina di più e quale aveva conseguenze maggiori sul modo di agire e di sentire delle persone?
“Il più noto e ambito, non soltanto dai Romani, fu il Palladio, il simulacro per eccellenza donato da Zeus, che dava ogni benessere e potere alla città che lo custodiva. Prestigio che lo fece desiderare, rubare, falsificare, trasportare da una città all’altra, come se il corso degli eventi si muovesse con esso: da Troia a Roma e poi a Costantinopoli. In questo caso l’intrigo delle fonti tra leggende e storia, il confondersi dell’originale con le copie che ne vennero fatte, rende ancora più affascinante l’intera vicenda”.
Lei ha studiato a fondo l'antichità greca e romana. Che valore aveva il gioco per queste civiltà e in che modo il gioco si sposava a riti magici o propiziatori?
“Domanda troppo complessa per una breve risposta!”
A tutti noi capita di passeggiare per le nostre belle città storiche, ammirandone le bellezze e le effigi ma senza conoscerne origini e significati. Come si può diventare più consapevoli e informati?
“Certamente la stratificazione storica di monumenti che è presente in Italia non ha paragoni al mondo, una sterminata enciclopedia del bello a disposizione dei nostri occhi. Pare banale, ma per essere più 'consapevoli e informati' in merito basta inizialmente portarsi dietro una buona guida, per esempio quelle del Touring, e poi osservare con cura quanto si vede e rifletterci, farsi domande: la curiosità è il sale dell’intelligenza. Se poi ci sono aspetti che rimangono oscuri e vogliamo approfondirli, allora bisogna cercare la bibliografia in merito e studiarla. Non dimentichiamo che anche un piccolo sapere è il risultato di molteplici informazioni e non poca fatica”.
Nell'antichità i simboli, anche nell'iconografia, erano importantissimi. Quale è il loro ruolo attuale?
“Il simbolo ha svolto un ruolo rilevante nel mondo antico in quanto, in generale, è un segno sintetico, un contrassegno che evoca, richiama un concetto, un’idea determinata e concordata tra alcuni, tale da essere da questi stessi riconoscibile nel suo intimo significato ma non da altri. Da ciò la valenza di riservatezza o di segreto che lo caratterizza. Oggi, rispetto a quello antico, il mondo è talmente desacralizzato che il simbolo, a parte quelli tradizionali religiosi, è per lo più ridotto a cartello stradale o a logo pubblicitario, o a popolare contrassegno di partiti. Pertanto viene del tutto invertito nella sua funzione originaria, ovvero invece di celare contenuti di alto profilo concettuale e speculativo, ora manifesta in chiaro, palesa ciò che rappresenta, richiamando volutamente l’attenzione su ciò che veicola. A questa sorta di declino simbolico segue il modesto livello dell’interpretazione”.
(L'intervista completa a Mino Gabriele è pubblicata sul numero di giugno della Rivista Gioco News, sfogliabile anche online, gratuitamente)