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Ughi (Snai Servizi): "Sapere se è lo Stato a disciplinare il mercato o i tribunali"

17 giugno 2014 - 08:24

Se in Italia si può effettuare la raccolta di scommesse anche senza essere titolari di concessione, allora vuol farlo anche Snai Servizi. Altrimenti saremo di fronte a una evidente discriminazione di cui lo Stato italiano dovrà rispondere. E' questa, in estrema sintesi, la posizione della società guidata da Maurizio Ughi, fondatore ed ex leader storico di Snai, tornato ora alla guida dell'altra società, Snai Servizi che, a differenza della prima e come il nome lascia ampiamente intendere, rappresenta un società di servizi e non una concessionaria di giochi. Ma proprio questo è il punto, come spiega lo stesso Ughi a GiocoNews.it:

Scritto da Ac
Ughi (Snai Servizi): "Sapere se è lo Stato a disciplinare il mercato o i tribunali"

“La nostra società  è nella stessa situazione di un operatore estero: prima non abbiamo potuto partecipare al bando Coni, poi siamo rimasti a guardare anche dopo, con il Bando Monti, con le concessioni considerate dai giudici oggettivamente brevi. Oggi, guardando la giurisprudenza, vediamo che potremo anche noi, come altre società estere, ritenerci discriminati oggettivamente seppure non soggettivamente e sulla base di questa osservazione far valere le nostre ragioni. Pertanto, visto che in Italia continuano a proliferare punti di raccolta di scommesse collegati a operatori privi di concessione, credo sia il caso che anche noi iniziamo ad aprire dei punti di raccolta. E da qui la richiesta formale al Ministero che dovrà farci sapere se possiamo ottenere direttamente una concessione con Snai Servizi, oppure se dobbiamo fare come gli altri, piazzare un server a Malta e avviare la raccolta scommesse in Italia collegandoci a quello. Il fine, dunque, è probabilmente più provocatorio che altro. E lo stesso Ughi confida che non ci sia neppure un grande interesse a mettersi ad aprire dei centri di questo tipo. E l'azione avanzata nei confronti del Ministero è evidentemente rivolta a scatenare un corto circuito normativo e istituzionale, nel tentativo di suonare la sveglia al Legislatore, che non può più continuare a ignorare il problema. “Abbiamo fatto questa azione e lo scenario ora è chiaro e può prevedere tre situazioni: se il Ministero ci risponde in modo positivo, allora potremo aprire anche no i dei punti di raccolta. Se la risposta sarà negativa, la impugneremo subito in tribunale dichiarandoci discriminati come altri operatori. E lo stesso accadrà qualora non dovesse pervenire alcuna risposta entro i 60 giorni previsti dalla legge, trascorsi i quali si costituisce un silenzio assenso, in base al quale invocheremo la legittimità ad operare”. In tutti i casi, potremo dire, si avrebbe a che fare con un vero e proprio corto cortocircuito: la prima ipotesi,quella di un via libera da parte del Ministero,  è da ritenere non percorribile in quanto in contrasto con il regime concessorio che lo Stato dovrebbe tutelare e in virtù del quale risulta impensabile il consenso esplicito a operare senza aver conseguito una concessione. Ma anche gli altri scenari appaiono tutt'altro che rosei dal punto di vista della tutela dell'ordinamento nazionale. In quanto, come sostiene lo stesso Ughi: “Se dovesse prevalere la nostra ragione in uno di questi casi, allora avremo dimostrato che in Italia l'esercizio del gioco pubblico è disciplinato dai tribunali e non dal Legislatore. E sarà allora il momento di prendere atto di questa realtà”.

 

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