Forse la causa o una concausa devo ricercarla nel tempo che ho trascorso nel mondo delle case da gioco, prima come impiegato e dopo come non saprei come definirmi se osservatore, critico o pungolo, sempre e in ogni caso confortato solamente dall’esperienza maturata.
Chiaramente è ammissibile che siano rimasti, dopo tanto tempo, ricordi e situazioni non troppo normali e, comunque, da ricordare; ebbene, ne intendo raccontare una delle tante ma, sicuramente, interessante perché non saprei definirla diversamente.
Un pomeriggio ero a passeggiare prima di recarmi al lavoro e sul viale Piemonte, a Saint Vincent, incontro un giocatore per diletto, voleva controllare se la fortuna si può aiutare. Non era la prima volta che mi faceva domande sulla roulette francese, sulla probabilità a favore del banco fondata sul tipo di puntata e avrebbe voluto convincermi sull'esistenza dell'eventualità alla quale tentava di dare una qualche spiegazione logica.
La solita domanda: ma se gioco rosso o nero prima o poi devo vincere, ne sono convinto. La mia risposta è la solita: se si raddopia la puntata in caso di non vincita, ammesso e non concesso che non si raggiunga il massimo di puntata, nel migliore dei casi si vince la puntata iniziale, sempre che nel durante non esca la zero.
Se, invece, si giocano le due combinazioni aumentando la puntata dove si perde e lasciando l’unità dove si è vinto, nulla cambia se non l’entità del capitale investito e il rischio conseguente.
Se si puntano 18 numeri tramite tre sestine, giocando sui ritardi dei nuneri compresi nella puntata citata e non rosso o nero, pari o dispari, passe o manque, si potrebbe ipotizzare l’idea che abbiamo aumentato le probabilità; è un'illusione perché ogni colpo è sempre un colpo nuovo.
Quando ero al tavolo e lanciavo la pallina, un signore giocava tutti i numeri esclusa la finale sette, quindi 34 numeri. Per tre volte consecutive il giocatore è risultato perdente. Mi pare la dimostrazione di quanto affermato se così si può dire, per mio conto si tratta solo ed esclusivamente di fortuna, quella che inizia con la C.
Il mio interlocutore era un avvocato o, almeno, così lo indicavano; allora mi lancio e mi permetto una domanda, correva l’anno 1992 e si parlava di istituire nuove case da gioco, erano anche stati presentati disegni e progetti di legge al riguardo.
“Come potrebbe esserle noto l’argomento casinò è all’ordine del giorno, ciò premesso, ed è una mia curiosità, cosa mi può dire in merito all'applicazione dell’articolo 1933 del Codice civile in rapporto alle case da gioco”?
La risposta è stata immediata: “Sono avvocato ma specialista in diritto amministrativo e non mi è troppo professionale spingermi in un campo che non è il mio”.
Il giorno seguente ero di riposo e credo che la persona con la quale avevo piacevolmente conversato fosse partita perché non l’ho rivisto.
E questo mi è dispiaciuto non poco perché gli avrei domandato, in quanto mi sarei rivolto a uno specializzato, in quale modo deve comportarsi il proprietario della casa da gioco nel controllo della regolarità del gioco e degli incassi stante la tassa di concessione, consistente in una percentuale degli introiti, che il concessionario versa al bilancio dell’ente pubblico titolare dell’autorizzazione.
Per poco tempo ho prestato la mia opera presso l’ufficio cambio assegni, ecco spiegato il motivo della mia curiosità in tema di debiti di gioco, appunto la causa relativa all’articolo del Codice civile citato.
Mi farebbe piacere ritrovare quell’avvocato al quale, da pensionato e come sempre da curioso, avrei domandato il parere su chi e come avrebbe dovuto procedere al controllo sulla regolarità del gioco e degli incassi.
La mia idea al riguardo l’ho resa nota così come ho apprezzato l’iniziativa in merito alla metodologia del controllo in parola da parte dei controllori comunali del casinò di Sanremo che trovo attinente alla natura giuridica delle somme in questione.
In buona sostanza parto dal fatto che è indispensabile controllare l’intero ed a ciò potrebbe, come già procede, provvedere il concedente con la procedura relativa alla rilevazione dei risultati (netto e mance) per ogni gioco da gioco sia di contropartita sia di circolo. Infatti, così operando, si stabilisce che nessun tavolo può essere aperto o chiuso senza la presenza di un rappresentante del concedente.
L’organizzazione del lavoro suggerita per rilevare il risultato di un tavolo potrebbe essere gradita sia al concedente sia al concessionario.
L’organizzazione, mi pare, potrebbe essere la seguente: all’apertura si controlla la dotazione iniziale, alla chiusura l’esistenza finale, algebricamente si aggiunge il controvalore del contante trovato nell’apposita cassetta (giochi di contropartita) e le eventuali aggiunte; ciò per il netto, poi le mance con separato documento. Logicamente il contante sarà verificato in un locale diverso dalla sala da gioco. Se aggiungiamo che la dotazione in gettoni dovrà essere integrata da parte della cassa (amministrativa o di sala, in considerazione della grandezza del casinò) abbiamo chiuso il ciclo. Per quanto ai giochi di circolo è sufficiente il conteggio della cagnotte e delle mance, tavolo per tavolo, sempre alle presenze citate.
Non è in questa sede che rileva il modo di controllare le operazioni che tutte convergono nella cassa di sala anche se nell’argonizzazione è prevista quella amministrativa che, a fine giochi, deve essere integrata così come si procede per ogni tavolo di contropartita.
La dimostrazione è molto sintetica ma credo altamente utile e recepibile anche per chi, non solo non è pratico di casa da gioco, ma, non ne ha mai frequentato una.
Per il controllo in argomento tengo a evidenziare l’indispensabilità, bene inteso a mio parere, del conteggio delle mance tavolo per tavolo e non per totale riferito al quel gioco. Questo ultimo riferimento potrebbe interessare una contabilità in forma riasuntiva in quanto beneficia della documentazione allegtata.
Proviamo ad immaginare un gioco nel quale la proporzione tra mance e proventi ritenuta ammissibile vada dal 50 al 60 percento (con l’occasione rammento, non il periodo, che in un disciplinare si accennava al fatto che quanto debordava dal massimo rapporto considerato doveva ritenersi allo stesso modo degli introiti di gioco). Nella sala da gioco vi sono sette tavoli e tutti registrano proventi uguali per 1.000 e i primi sei, mance per 500, il 50 percento; uno 1.200, il 120 percento.
Ora, considerando i totali troviamo: proventi 7000, mance 4200 (3000 + 1200). La proporzione tra mance e proventi risulta del 60 percento ma provo ad insinuare la probabilità che il conteggio delle mance tavolo per tavolo e non per totali avrebbe evidenziato una realtà meritevole di controllo.
Chiaramente l’esempio che precede è spinto all’eccesso ma credo renda perfettamente l’idea che preferisco e del motivo per cui sono convinto della metodologia che ho tentato di narrare.
Chiudo ponendo una domanda: se esiste una forma di controllo differente da quella narrata sarei ben felice di conoscerla e verificarla se possibile e, unitamente, vorrei una risposta su come deve provvedervi il titolare dell’autorizzazione alla casa da gioco sul proprio territorio; resto fiducioso in attesa.
Appena possibile mi piacerebbe impegnarmi negli argomenti, assolutamente non politici, in tema di disciplinare preferibilmente nel caso di affidamento della gestione al privato del Casinò di Saint Vincent come è stato dal settembre 1959 al fine giugno 1994.