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Mance, Isi ed entrate tributarie: focus sui casinò

21 settembre 2024 - 11:07

L'analista di gaming Mauro Natta analizza i temi delle mance ai croupier, dell'imposta sugli intrattenimenti e delle entrate tributarie.

Scritto da Mauro Natta
Foto di Ibrahim Boran (Unsplash)

Foto di Ibrahim Boran (Unsplash)

La mancia al croupier, l’imposta sugli intrattenimenti e le entrate tributarie a beneficio degli enti pubblici periferici sono i temi che in questo articolo intendo trattare da diverse angolazioni.

Le mance dal punto di vista civilistico

La soluzione del problema fiscale esige che si determini la natura giuridica delle mance e la loro disciplina nei settori giuridici che le contemplano.

Dal punto di vista civilistico, assume rilievo l’art. 770 cod.civ., che nel primo comma definisce la donazione remuneratoria (“E’ donazione anche la liberalità fatta per riconoscenza o in considerazione dei meriti del donatario o per speciale remunerazione”), e nel secondo comma la liberalità d’uso (“Non costituisce donazione la liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi”).

Per comune consenso, la mancia è una liberalità d’uso.

Nelle forme più consuete, la mancia e una liberalità remuneratoria d’uso. Caratterizzata da un movente remuneratorio è infatti, ad esempio, la mancia che si dà al cameriere dell’albergo o del ristorante.

Si ritiene invece che “il carattere remuneratorio  difetta nelle cosiddette mance elargite dai giuocatori vincenti al personale delle case da gioco. L’elargizione qui non è connessa al servizio che è reso allo stesso modo a tutti i giuocatori vincenti e non. Non trae neppure occasione dal servizio, ma dalla vincita ed a questa è di solito commisurata. Se fosse collegata al servizio, la mancia, sarebbe elargita indistintamente da tutti i giuocatori. D’altra parte, il risultato del gioco dipende soltanto dalla fortuna, ed appunto come favorito dalla fortuna il tradens si determina all’elargizione.

Le mance dal punto di vista del diritto del lavoro

In effetti, le mance interessano il rapporto di lavoro solo in quanto siano regolamentate dal contratto di lavoro.

Di regola, cioè, il fenomeno della mancia esaurisce la sua rilevanza nel rapporto utente del servizio – lavoratore; in tale rapporto, la mancia è attribuzione gratuita.

Assume altra veste quando, come nel caso dei dipendenti delle case da gioco, essa ha peculiari caratteristiche (elevata entità, prevedibilità statistica), in considerazione delle quali il fenomeno è assunto nei contratti collettivi o individuali di lavoro quale elemento giustificante una retribuzione di lieve entità.

Con sentenza 9 marzo 19, n. 672, la Cassazione prendeva in esame uil caso specifico dei dipendenti delle case da gioco, in una causa instaurata da alcuni dipendenti del Casinò di Sanremo contro il Comune perché fosse dichiarato nullo il patto di devoluzione di una quota del monte mance all’ente gestore del Casinò.

La sentenza, ampiamente motivata, pone una serie di principi ai quali si è conformata la giurisprudenza successiva, Ecco, in sintesi, i principali accolti da tale sentenza:

- le mance assumono carattere retributivo quando il contratto di lavoro le include e congloba nel trattamento economico dei dipendenti;

- per tali ragioni, le mance vanno computate agli effetti dell’indennità di preavviso, della tredicesima mensilità e dell’indennità di anzianità;

- il patto che attribuisce all’azienda una parte delle mance non è nullo per mancanza di causa, dato che il datore di lavoro offre al lavoratore l’organizzazione e l’occasione per ricevere le mance.

La giurisprudenza successiva non si è discostata da tale orientamento.

Le mance da punto di vista assicurativo e previdenziale

La natura giuridica delle mance interessa anche il diritto contributivo. Per brevità, mi limito a ricordare l’ultima sentenza della Cassazione in argomento (sentenza n.1776 del 18 maggio 1976, la quale ha fissato i seguenti principi: “L’uso normativo, in forza del quale il giocatore è tenuto ad elargire una parte della vincita al croupier e questi a ripartirla con gli altri addetti al gioco ed il gestore secondo percentuali predeterminate, opera l’attribuzione immediata e diretta a ciascuno dei beneficiari, dei quali l’accipiens assume la veste di mandatario. Conseguentemente la quota di spettanza del singolo addetto non ha natura retributiva per mancanza degli estremi soggettivo (provenienza dal datore di lavoro) ed oggettivo (relazione causale col lavoro prestato) e non può essere ricompresa nella base imponibile contributiva previdenziale, se non nella misura in cui le parti, svincolandola dalla sua fonte e finalizzandola al regolamento del rapporto di lavoro, vi abbiano conferito funzione di coefficiente integrativo della retribuzione, nel rispetto del minimo retributivo”.

Da “Osservazioni sul regime fiscale dei Proventi aleatori dei dipendenti del casinò municipale di Venezia, del prof. avv. Francesco Tesauro.

Le disposizioni di cui all’art. 3, lett. i), Dm n. 314/1997, hanno provveduto alla tassazione ai fini Irpef delle mance per il 75 percento  del loro ammontare e, al tempo stesso, alla contribuzione ai fini pensionistici sullo stesso imponibile.

Non pare il caso di continuare sull’argomento “mance” ma, è importante rilevare come le appena citate disposizioni hanno incrementato i costi di gestione delle case da gioco a tutto svantaggio delle entrate tributarie che derivano agli enti locali periferici dalla casa da gioco autorizzata sul loro territorio.

La proposta allo scopo di eliminare detto decremento  potrebbe consistere nella detassazione delle mance ai fini Irpef e. contemporaneamente prevedere l’introduzione di una pensione integrativa a completo carico del dipendente.

Che la mancia (al croupier) è una parte della vincita lo si ricava dalla sentenza n. 1776 del 18 maggio 1976 della Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione di cui uno stralcio recita: “... del particolare rapporto che obbliga il giocatore vincente ad elargire una parte della vincita al croupier”.

La vincita al gioco realizzata nei casinò autorizzati è esente da imposizione in capo al giocatore vincente, infatti l’art.10 ter della L. n. 30 del 28 febbraio 1997 che prevedeva la conversione in legge della Finanziaria per il 1997, L. 31 dicembre 1996, n. 669, recita: “All’art. 30 del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600. dopo il sesto comma è aggiunto il seguente comma 1: La ritenuta sulla vincite corrisposte dalle case da gioco autorizzate è compresa nell’imposta sugli spettacoli di cui all’art.3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640”.

Non pare logico trattare in modo differente la parte principale della vincita ottenuta dal giocatore e quella minore della quale beneficia il croupier.

Ora una parte delle disposizioni in materia di imposta sugli intrattenimenti per indicare la via per incrementare le entrate tributarie a beneficio degli enti concedenti.

Per le case da gioco, l’imponibile è costituito giornalmente dalla differenza tra le somme incassate per il gioco e quelle corrisposte ai giocatori per le vincite, includendo nel calcolo anche gli accantonamenti di parte delle giocate ai fini della costituzione o dell’incremento del jackpot, poiché esse non costituiscono ancora vincite pagate ai giocato, ed escludendo quanto dovuto dalle case da gioco agli enti pubblici concedenti, ai quali la legge riserva in via esclusiva l’esercizio di tale attività.

Non credo possa disconoscersi che l’entrata in vigore delle norme di cui al decreto legislativo n.314 del 1997, art. 3, lett. i), siano intervenute ad armonizzare una situazione da normalizzare ma, concordemente i costi della produzione hanno registrato un aumento, il calo dell’utile del gestore e quello dello stesso segno relativamente alle entrate tributarie.

Concludendo non ritengo si possano nutrire dubbi sul fatto che, dopo aver constatato che la mancia è una parte della vincita, che quest’ultima non è tassabile ai fini dell’imposta personale sul reddito delle persone fisiche, che così operando si decrementano i costi di produzione dei concedenti ai quali la legge riserva in via esclusiva l’esercizio di tale attività e, allo stesso tempo, invece, si incrementano le entrate tributarie a beneficio degli stessi enti nello spirito istitutivo che possiamo trovare nei decreti che, a datare dal 1927, sono stati emanati e convertiti in leggi.

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